Decine di oppositori sotto processo in Tunisia per “complotto contro lo stato”

Il 4 marzo si è aperto a Tunisi il processo contro decine di esponenti dell’opposizione, tra cui politici, avvocati, imprenditori e giornalisti, accusati di “complotto contro la sicurezza dello stato”.

Uno degli imputati, l’avvocato Jawhar Ben Mbarek, attualmente in prigione, ha denunciato “una persecuzione giudiziaria il cui obiettivo è reprimere qualunque forma di dissenso”, una posizione condivisa dalle ong per i diritti umani.

Da quando il presidente Kais Saied ha assunto i pieni poteri, nell’estate del 2021, l’opposizione e le ong hanno denunciato una costante erosione dei diritti umani e delle libertà in Tunisia, il paese in cui nel 2011 era cominciata la “primavera araba”.

Circa quaranta persone sono accusate di “complotto contro la sicurezza interna ed esterna dello stato” e “adesione a un gruppo terroristico”. Molte di loro sono state arrestate durante un giro di vite contro l’opposizione nel 2023.

Rischiano condanne molto pesanti, che possono arrivare alla pena di morte.

Secondo la difesa, alcuni imputati sono accusati di aver avuto contatti considerati sospetti con diplomatici stranieri.

Tra gli imputati più noti ci sono Issam Chebbi, leader del partito Al Jumhuri, e Abdelhamid Jelassi, del partito islamista Ennahda.

Ci sono anche gli attivisti Khayam Turki e Chaima Issa, l’imprenditore Kamel Eltaief e l’ex deputata e attivista femminista Bochra Belhaj Hmida, che si trova in Francia.

Il presidente Saied aveva definito le persone arrestate nel 2023 “terroristi”.

Molti degli imputati sono attualmente in prigione, altri sono in libertà o sono fuggiti all’estero.

Di recente altri oppositori sono stati condannati. Tra loro c’è Rached Ghannouchi, leader di Ennahda ed ex presidente del parlamento, condannato a ventidue anni di prigione per “attentato alla sicurezza dello stato”.

L’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i diritti umani (Unhcr) ha più volte denunciato la “persecuzione degli oppositori” in Tunisia, affermando che molti di loro “sono stati condannati semplicemente per aver esercitato i loro diritti e le loro libertà”.



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