Il bilancio di un attacco nel nordovest del Pakistan sale a diciotto morti

Il bilancio dell’attacco condotto la sera del 4 marzo da un gruppo filo-taliban contro una caserma a Bannu, nel nordovest del Pakistan, è salito a diciotto morti (tredici civili e cinque soldati), ha affermato l’esercito.

“Le esplosioni hanno danneggiato anche cinque case e una moschea, ferendo trentadue persone”, ha dichiarato all’Afp Pakhtoun Yar Khan, un ministro della provincia di Khyber Pakhtunkhwa.

Secondo l’esercito, “l’attacco è stato condotto da sedici terroristi, tra cui quattro attentatori suicidi, e tutti sono stati uccisi”.

All’inizio dell’attacco, condotto dal gruppo Hafiz Gul Bahadur, che sostiene il regime dei taliban in Afghanistan, gli attentatori suicidi hanno diretto due automobili cariche di esplosivi contro il complesso della caserma.

Il primo ministro Shehbaz Sharif ha denunciato “un attacco terroristico che prende di mira civili innocenti durante il mese sacro del Ramadan”.

Il 28 febbraio un attentato suicida nella storica scuola coranica dei taliban nella provincia di Khyber-Pakhtunkhwa aveva causato quattro morti, tra cui il direttore Hamid ul Haq.

Secondo il Centro per la ricerca e gli studi sulla sicurezza di Islamabad, il 2024 è stato l’anno più letale in Pakistan da quasi un decennio, con più di 1.600 persone uccise negli attacchi, tra cui 685 membri delle forze di sicurezza.

Gli attacchi sono aumentati da quando i taliban sono tornati al potere in Afghanistan, nell’agosto 2021.

Islamabad accusa Kabul di non contrastare i miliziani che si rifugiano in territorio afgano e da lì pianificano attacchi in Pakistan.

Il regime dei taliban smentisce e a sua volta accusa il Pakistan di sostenere cellule terroristiche in Afghanistan, riferendosi in particolare al ramo regionale del gruppo Stato islamico.

“Rapporti d’intelligence confermano inequivocabilmente il coinvolgimento dei taliban afgani nell’attacco”, ha affermato l’esercito pachistano il 5 marzo.

Kabul non ha ancora reagito all’accusa.

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Internazionale
Frank12 Marzo 2025InternazionaleA Roma i partecipanti a una mezza maratona non hanno ricevuto le previste medaglie all’arrivo perché erano state fabbricate in Cina e durante il trasporto sono rimaste bloccate nel canale di Suez (1). A Brindisi quattro militari di grado diverso sono stati condannati perché con una nave della marina trasportavano dalla Libia in Italia sigarette e Cialis (2). A Gaeta (Latina) un imprenditore importava illegalmente dall’India farmaci per la disfunzione erettile e poi li rivendeva al dettaglio nel basso Lazio (3). A Cosenza un falso medico aveva comprato la laurea dalla camorra (4). Nel santuario di Pompei (Napoli) un falso prete ascoltava le confessioni dei fedeli a cui poi dava consigli e assoluzioni (5). A Linarolo (Pavia) un falso prete è entrato in una casa con la scusa di benedirla e ha rubato 150 euro in contanti (6). Ad Arcella di Montefredane (Avellino) un prete è stato sospeso dal vescovo perché ha causato un incidente guidando in stato di ubriachezza (7). A Enna alcuni fedeli cattolici hanno chiesto che le processioni pasquali non siano guidate dal vescovo accusato di aver coperto un prete pedofilo (8). A Vercelli è scoppiata una polemica perché un prete tiktoker durante un incontro con gli studenti di una scuola superiore avrebbe fatto discorsi omofobi (9) (10). A Gallarate (Varese) gli studenti di una scuola superiore hanno applaudito un attore porno che si era incatenato ai cancelli del loro istituto dopo che l’ufficio scolastico aveva annullato un incontro con lui sulla sessualità (11). A Tarquinia (Viterbo) è stato annullato l’incontro in una scuola con uno scrittore autore di un romanzo su un adolescente neofascista e secondo l’editore questo è avvenuto per le pressioni di Fratelli d’Italia (12). All’università La Sapienza di Roma su richiesta dell’Unione giovani ebrei d’Italia è stata annullata la presentazione di un libro del defunto leader di Hamas Yahya Sinwar che in un primo tempo era stata autorizzata dai vertici accademici (13). A Milano alcuni studenti di un liceo hanno realizzato delle felpe con il nome dell’istituto e la scritta 1312, un messaggio cifrato che significa “acab” (all cops are bastards, tutti i poliziotti sono bastardi) e il preside li ha diffidati dall’accostare il nome della scuola a quel messaggio (14). Ad Ancona gli studenti di un liceo si sono vestiti da senzatetto per una giornata girando per le strade della città nell’ambito di un progetto scolastico sulla sensibilizzazione alle povertà (15). A Mercogliano (Avellino) si è scoperto che una senzatetto che girava in paese era stata una famosa cantante pop olandese (16). A Latina il comune vuole espellere i senzatetto dalla città con un Daspo urbano (17). A Piacenza un senzatetto ha ricevuto una multa di 1.800 euro perché uno dei suoi cagnolini era scappato dalla baracca in cui viveva ed è stato ritrovato in città dalla polizia municipale (18). A Venezia un senzatetto aspetta i politici fuori dal consiglio regionale poi li insegue cercando di picchiarli (19). A Milano un operatore sanitario ha detto che guadagna 1.100 euro al mese ma ne paga 650 d’affitto quindi “deve vivere d’aria” (20). A Bologna un uomo e una donna arrestati per spaccio hanno detto che lo facevano perché gli stipendi non gli bastavano a pagare l’affitto (21). A Milano l’azienda dei trasporti non riesce a trovare tranvieri a causa del caro affitti e allora ha deciso di trasformare un suo vecchio deposito in appartamenti da affittare a prezzi calmierati ai futuri dipendenti (22). A Napoli durante le manifestazioni del carnevale ci sono state proteste per il caro affitti e contro i bed and breakfast (23). A Bolzano c’è stata una manifestazione per chiedere una tassa sui turisti usandone i soldi per rendere i mezzi pubblici gratuiti per i bolzanini (24). A Roma per la Pasqua dell’anno giubilare un bed and breakfast di tre locali vicino al Vaticano è proposto a 1.500 euro al giorno (25). A Cortina d’Ampezzo (Belluno) un bilocale è proposto in affitto a diecimila euro al mese (26). A Polignano (Bari) una suite di settanta metri quadri più terrazzo vista mare è proposta a diecimila euro al giorno (27). A Sala Comacina (Como) una villa sul lago è in vendita a 34 milioni di euro (28). A Chiusdino (Siena) è in vendita a 1,7 milioni di euro il mulino bianco usato come marchio di una linea di biscotti e merendine molto pubblicizzata (29). In Emilia-Romagna è nato un progetto per attirare i turisti lgbtq+ con itinerari e pacchetti ad hoc (30). In Toscana è nato un progetto di “turismo delle radici” per attrarre i discendenti degli emigrati italiani che vogliono conoscere i luoghi delle proprie origini (31). A Roccaraso (L’Aquila) gli albergatori lamentano un crollo di presenze (32) dopo la domenica di iperturismo a fine gennaio causato dall’appello di un’influencer (33). A Torino per attirare i turisti entrerà in servizio una flotta di battelli elettrici sul Po con la possibilità di fare feste di matrimonio a bordo (34). Nel centro di Roma tre ignoti hanno pagaiato sul Tevere a bordo di un unicorno gonfiabile da spiaggia (35). A Selva di Cadore (Belluno) l’84 per cento degli immobili è disabitato (36). A Comunanza (Ascoli Piceno) l’arrivo di braccianti indiani che sono andati a vivere nelle case abbandonate ha riportato in vita il borgo che si stava spopolando (37). A Roma centinaia di migranti richiedenti asilo hanno protestato per le notti al freddo trascorse in coda davanti alla questura per avere un documento (38). A Milano alcuni migranti sono stati prelevati forzatamente mentre erano in coda davanti alla questura per richiedere i documenti e quindi sono stati reclusi nel centro di permanenza e rimpatrio (39). A Lampedusa (Agrigento) è arrivata la nave di una ong che ha salvato 32 migranti rimasti per quattro giorni senza cibo e al freddo sulla piattaforma petrolifera presso la quale erano naufragati (40). A Bitonto (Bari) la società calcistica Terribile soccer, interamente composta da migranti che vivono nel centro richiedenti asilo, è iscritta al campionato dilettanti terza categoria e la sua stella è un ex giocatore della serie B marocchina (41). A Mantova un gruppo di quindici medici e infermieri in pensione ha aperto un ambulatorio per curare i migranti gratis e senza chiedere loro alcun documento (42). A Firenze è stata apposta una targa commemorativa sul ponte dove nel 2018 fu ucciso un ambulante senegalese (43). A Voze (Savona) è stata apposta una targa commemorativa su quello che resta di un antico olmo che un tempo segnava il confine tra la repubblica di Noli e il marchesato di Finale (44). A Bologna è stata rimossa la targa commemorativa della “svolta della Bolognina” del Pci di Achille Occhetto, avvenuta nel 1989, e Occhetto ha detto che potevano almeno avvisarlo (45) (46). A Roma il proprietario di una Porsche ha aggiunto una piccola striscia di nastro adesivo nero alla “F” sulla targa della sua automobile per trasformarla in una “E” poi è entrato più volte nella ztl evitando la multa, che veniva recapitata a un’altra persona (47). A Napoli circolano circa 35mila auto con targa polacca o bulgara per pagare meno di assicurazione e non essere reperiti in caso di multe (48). A San Nicolò (Piacenza) un collezionista di auto d’epoca ha trovato una Fiat degli anni settanta con una targa del Connecticut che riportava la scritta “Ziano-1” e ha scoperto che era stata acquistata e personalizzata negli Stati Uniti – e quindi portata in Italia – da un vecchio sindaco di Ziano (Piacenza) (49). Il sindaco di Todi (Perugia) ha respinto la proposta di passare alla provincia di Terni argomentando che a Terni abitano gli umbri della torta e a Todi gli umbri della pizza (50). A Ponte di Legno (Brescia) un pasticcere ha presentato un grosso bigné che sembra una pizza, con il fondo di apparente pomodoro che in realtà è una crema di lamponi e fette di apparente prosciutto fatto con un gel di pesche (51). A Sorrento (Salerno) per carnevale un pasticcere ha inventato i coriandoli di carnevale commestibili (52). A Milano la società di medicina ambientale ha denunciato che i coriandoli di plastica usati a carnevale non si biodegradano prima di seicento anni (53). Una ricerca accademica ha scoperto che le particolari alghe coralline di Capo Gallo (Palermo) sono molto efficaci nell’assorbire l’anidride carbonica dall’atmosfera (54). Secondo una ricerca accademica la siccità in Sardegna è concausata dai cambiamenti climatici della corrente del golfo proveniente dal Messico (55). A Foggia a causa della siccità gli invasi sono ai minimi storici (56) e per parte della Puglia si prevede un’estate senz’acqua (57). La nebbia di Milano e della pianura padana potrebbe essere trasformata in acqua per ridurre il problema della siccità nel Mezzogiorno (58). Sorgente ↣ : I maratoneti rimasti senza medaglie e altre storie – Alessandro Gilioli [...] Read more...
Frank12 Marzo 2025InternazionaleIl dipartimento dell’istruzione degli Stati Uniti ha annunciato l’11 marzo il licenziamento di quasi il 50 per cento del personale. Si tratta di un primo passo verso lo smantellamento del dipartimento, finito nel mirino del presidente Donald Trump. Il presidente statunitense, che sta promuovendo un drastico ridimensionamento dell’amministrazione pubblica federale, non ha mai fatto mistero della sua volontà di abolire il dipartimento dell’istruzione, accusato di promuovere idee progressiste. Il dipartimento ha affermato in un comunicato che la sua forza lavoro sarà ridotta da poco più di 4.100 effettivi a circa 2.200. Quando l’emittente Fox News le ha chiesto se i licenziamenti fossero il primo passo verso lo smantellamento del dipartimento, la segretaria all’istruzione Linda McMahon, ex presidente e amministratrice delegata dell’azienda di wrestling Wwe, ha risposto “sì”. “Ovviamente non stiamo eliminando l’istruzione, ma solo la burocrazia dell’istruzione”, ha dichiarato. Secondo il ministero, nelle ultime settimane quasi seicento dipendenti avevano accettato di andarsene nell’ambito di un piano di ridimensionamento dell’amministrazione pubblica federale promosso da Elon Musk, che guida una commissione per l’efficienza governativa. Altri 1.300 saranno messi in congedo amministrativo a partire dal 21 marzo, si legge nel comunicato. Durante la campagna elettorale Trump si era impegnato a sbarazzarsi del dipartimento dell’istruzione e a trasferire tutte le competenze ai singoli stati. Al momento di nominare McMahon, le aveva chiesto di “rendersi disoccupata”. Creato nel 1979 dal presidente democratico Jimmy Carter, il dipartimento dell’istruzione non potrà però essere completamente smantellato senza una legge approvata dal senato con una maggioranza qualificata di sessanta voti, mentre i repubblicani dispongono attualmente di 53 seggi. Negli Stati Uniti il sistema dell’istruzione è ampiamente decentralizzato, ma il governo federale mantiene una certa influenza attraverso i fondi che stanzia, in particolare per le scuole in aree povere o per i bambini con difficoltà di apprendimento. Trump ha già sospeso vari finanziamenti alle scuole, tra cui quelli legati alle politiche per la diversità e l’inclusione. Lo smantellamento del dipartimento è contestato dal Partito democratico, dai sindacati degli insegnanti e da molti genitori, che lo considerano un attacco senza precedenti all’istruzione pubblica. Sorgente ↣ : Stati Uniti, il dipartimento dell’istruzione licenzia quasi il 50 per cento del personale [...] Read more...
Frank12 Marzo 2025InternazionaleIl 12 marzo la Commissione europea ha annunciato dei dazi doganali “significativi ma proporzionati” su una serie di prodotti statunitensi a partire dal 1 aprile, in risposta ai dazi del 25 per cento imposti da Donald Trump sull’acciaio e l’alluminio. “L’Unione europea è profondamente delusa per le misure adottate da Donald Trump”, ha dichiarato la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen. “I dazi sono tasse. Sono un male per le imprese e un male ancora maggiore per i consumatori. Metteranno a rischio i posti di lavoro e faranno aumentare i prezzi sia in Europa sia negli Stati Uniti”, ha aggiunto. Secondo le stime della Commissione europea, i dazi statunitensi riguarderanno prodotti per un valore di circa ventisei miliardi di euro. La risposta di Bruxelles prenderà quindi di mira prodotti per un valore equivalente. I dazi del 25 per cento sulle importazioni di acciaio e alluminio sono entrati in vigore negli Stati Uniti alla mezzanotte e un minuto del 12 marzo, segnando una nuova tappa nella guerra commerciale lanciata da Washington contro i suoi principali partner commerciali. Unione europea, Cina, Giappone, Australia e Canada sono colpiti da questi dazi, anche se l’obiettivo dichiarato di Trump è proteggere l’industria siderurgica statunitense, in difficoltà da anni a causa di una concorrenza particolarmente agguerrita, soprattutto in Asia. Il presidente statunitense aveva già introdotto dei dazi sull’acciaio e l’alluminio durante il suo primo mandato (2017-2021), ma “stavolta non ci saranno eccezioni o esenzioni”, aveva dichiarato all’inizio di febbraio. La risposta europea sarà duplice. Il 1 aprile saranno automaticamente riattivate le contromisure già adottate durante il primo mandato di Trump. “Rispetto ad allora la differenza è queste misure di riequilibrio saranno applicate per intero”, ha affermato la Commissione europea, aggiungendo che i dazi riguarderanno prodotti che vanno dalle barche alle moto e al bourbon”. Ma dato che i dazi statunitensi entrati in vigore il 12 marzo vanno ben al di là di quelli del primo mandato di Trump, la Commissione ha anche avviato una procedura in vista dell’adozione di misure aggiuntive contro i prodotti statunitensi, in modo di arrivare a un valore equivalente. Le misure aggiuntive dovrebbero entrare in vigore alla metà di aprile, dopo una “fase di consultazione di due settimane il cui obiettivo è garantire che siano presi di mira i prodotti giusti, in modo da rispondere con efficacia riducendo al minimo le conseguenze per le imprese e i consumatori europei”. Sorgente ↣ : La Commissione europea risponde ai dazi statunitensi sull’acciaio e l’alluminio [...] Read more...
Frank12 Marzo 2025InternazionaleL’opposizione di centrodestra ha vinto le elezioni legislative dell’11 marzo in Groenlandia, caratterizzate anche da un aumento dei consensi dei nazionalisti, favorevoli all’indipendenza dell’isola dalla Danimarca. Le elezioni erano molto attese anche perché negli ultimi mesi il presidente statunitense Donald Trump ha più volte affermato di voler annettere l’isola. La formazione di centrodestra dei Democratici, che si proclama “social-liberale”, ha ottenuto il 29,9 per cento dei voti, triplicando i consensi rispetto alle elezioni del 2021. I nazionalisti di Naleraq, il partito che chiede con più insistenza di recidere gli ultimi legami con Copenaghen, sono arrivati secondi con il 24,5 per cento dei voti. La coalizione di governo uscente, composta da Inuit ataqatigiit (Ia, ambientalisti di sinistra) e dai socialdemocratici di Siumut, ha invece subìto una dura sconfitta. “Rispettiamo il risultato delle elezioni”, ha dichiarato il primo ministro Múte Egede, leader di Ia. Dato che nessuno dei partiti ha i numeri per governare da solo, ci saranno delle trattative per formare una coalizione. “Siamo pronti a discutere con tutti i partiti per formare un governo forte e stabile, più che mai necessario nel nuovo contesto internazionale”, ha dichiarato Jens-Frederik Nielsen, 33 anni, leader dei Democratici ed ex campione groenlandese di badminton. Forse a causa dell’effetto Trump, il tasso di partecipazione è stato molto alto, superiore al 70 per cento. Convinto di annettere la Groenlandia “in un modo o nell’altro”, Trump ha cercato di condizionare l’esito del voto, suscitando reazioni di stupore, rifiuto e, più raramente, entusiasmo. Secondo un sondaggio pubblicato a gennaio, circa l’85 per cento dei groenlandesi è contrario a far parte degli Stati Uniti. I groenlandesi accusano la Danimarca di averli sempre trattati come cittadini di seconda classe, soffocando la loro cultura e attuando in passato politiche di assimilazione forzata. I principali partiti groenlandesi sono tutti favorevoli all’indipendenza, ma hanno idee diverse su come e quando ottenerla. I nazionalisti di Naleraq la vorrebbero in tempi rapidi, mentre altre formazioni vorrebbero prima accelerare lo sviluppo economico dell’isola. Con l’80 per cento della superficie ricoperta dai ghiacci, la Groenlandia dipende fortemente dalla pesca, che rappresenta la quasi totalità delle esportazioni, e dagli aiuti danesi, che ammontano a circa 530 milioni di euro all’anno, pari al 20 per cento del pil locale. Naleraq sostiene invece che l’isola potrebbe cavarsela da sola grazie alle sue risorse minerarie, ma il settore è ancora in fase embrionale. La Groenlandia ha circa 57mila abitanti, per il 90 per cento inuit. Sorgente ↣ : L’opposizione di centrodestra vince le elezioni legislative in Groenlandia [...] Read more...
Frank12 Marzo 2025InternazionaleQuindici metri quadrati: è la superficie che João Pedro Lima, un padre single di 21 anni con le braccia muscolose e tatuate, condivide con Sophia, la figlia di un anno. Il piccolo appartamento è nel seminterrato di un edificio di mattoni di tre piani, in fondo a una strada stretta e buia. È l’unico alloggio che Lima ha trovato in affitto a Rocinha, un’enorme baraccopoli arroccata su una collina nell’area sud di Rio de Janeiro. Padre e figlia dormono su un letto a una piazza e mezza. Il gabinetto è dentro la doccia, separata dal resto della stanza solo da una porta scorrevole. Dato che non c’è spazio per il tavolo, Sophia mangia con il piatto sulle ginocchia, seduta su un divano attaccato al letto e coperto con un tessuto a fiori. João mangia in piedi. Lima, che lavora in un’agenzia di viaggi, non si lamenta . Anzi, si considera un privilegiato: “Qui avere un posto dove dormire è un lusso”, dice. Come il resto delle favelas del Brasile, a Rocinha c’è una forte crescita demografica. “È sempre più difficile trovare un alloggio di qualità”, spiega Lima. “Nella casa in cui vivevo prima non c’era ventilazione e mia figlia aveva crisi d’asma”. Secondo l’ultimo censimento, condotto nel 2022 e pubblicato l’11 novembre 2024, il numero di persone residenti nelle favelas brasiliane è passato da undici a sedici milioni in dieci anni, cioè dal 6 all’8,1 per cento della popolazione complessiva, che era di 203 milioni di persone nel 2022. In questo periodo Rocinha, la favela più grande del paese, ha accolto almeno 2.860 nuovi abitanti. Oggi ci vivono 72.021 persone. Con 48.367 abitanti per chilometro quadrato, la baraccopoli ha la densità demografica più alta del Brasile. Secondo l’associazione dei residenti locali, gli abitanti sarebbero molti di più: 170mila. Questo affollamento è dovuto soprattutto alla “posizione privilegiata di Rocinha nella città”, sottolinea Kharine Gil, sociologa e ricercatrice che collabora con il Dicionário de favelas Marielle Franco, che si occupa di studiare e mappare le baraccopoli. Circondata da due dei quartieri più ricchi della città, São Conrado a sud e Gávea a nord, Rocinha “attira molte persone dalla regione povera del nordest, che cercano lavoro nei quartieri più benestanti come muratori, camerieri o collaboratori domestici”. Secondo il censimento, il 56,8 per cento della popolazione di Rocinha si dichiara pardo (bruno o meticcio) mentre il 16,1 nero. Oggi la favela non riesce più ad accogliere una popolazione in crescita costante. “Non c’è più spazio per uno sviluppo orizzontale”, afferma Alex de Jesus Telles, 48 anni, venditore ambulante di occhiali da sole. In piedi accanto alla sua bancarella, all’uscita della stazione della metropolitana ai piedi della favela, osserva le piccole case di mattoni o cemento addossate le une alle altre in modo disordinato. Le strutture coprono quasi interamente una collina dove un tempo c’era la foresta tropicale. “Rocinha spinge verso l’alto”, dice Telles, che ha costruito due piccoli appartamenti nella casa ereditata dai genitori per dare un tetto ai figli. A circa quindici minuti di cammino dalla metropolitana, sulla strada principale che si arrampica attraverso la favela, un palazzo ha battuto ogni record: ha undici piani e gli abitanti lo hanno soprannominato Empire state. Le costruzioni informali non rispettano quasi mai le norme di sicurezza e pianificazione urbana. “Molte non hanno una ventilazione adeguata, sono buie e senza illuminazione”, sottolinea Geronimo Leitão, architetto e urbanista dell’università federale di Rio de Janeiro. I nuovi alloggi, tirati su senza nessuna regola, ostruiscono spesso le finestre dei vicini, cancellano gli ultimi spazi verdi rimasti e occupano i marciapiedi di strade rumorose dove sfrecciano i mototaxi. Alcune stradine, chiamate becos, sono così strette da somigliare a tunnel. Nella maggior parte dei casi non sono percorribili dalle auto, il che complica la consegna della posta (i residenti tra l’altro non hanno quasi mai un indirizzo ufficiale) o il passaggio dei camion dei pompieri e delle ambulanze. “Mi è capitato di caricare persone malate o disabili su un carretto per portarle in ospedale”, racconta Giliard Barreto, impiegato nel settore sanitario e tra i fondatori dell’associazione di beneficenza Tamo junto Rocinha. Anche lo smaltimento dei rifiuti è difficile. Gli abitanti buttano la spazzatura in grandi contenitori sistemati nelle strade più larghe dove i camion riescono a passare per raccoglierla. Ma i contenitori non bastano a gestire le circa 200 tonnellate di rifiuti prodotte ogni giorno a Rocinha: pile di sacchi di plastica, scarti alimentari ed elettrodomestici si accumulano ai bordi delle strade emanando un odore nauseabondo. Quando piove, “nelle strade senza canalizzazione adeguata, l’acqua trascina i rifiuti fino ai piedi della collina”, spiega João Mina, sociologo dell’istituto di studi sociali e politici. I detriti si concentrano spesso in un canale che costeggia una strada nella zona est della favela, dove si raccolgono anche le acque di scarico. Questa fogna a cielo aperto è un focolaio di malattie. A Rocinha “gli alloggi insalubri, non ventilati e densamente popolati favoriscono l’insorgenza di malattie”, afferma Roberta Gondim, ricercatrice della scuola nazionale di salute pubblica della fondazione Oswaldo Cruz, a Rio. Nel 2023 il tasso d’incidenza della tubercolosi nella favela, con 35,4 casi per diecimila abitanti secondo i dati dell’amministrazione comunale, è stato dieci volte superiore rispetto alla media nazionale (3,7 casi per diecimila abitanti). Nonostante gli sforzi degli operatori dei tre centri sanitari presenti nella favela, la tubercolosi persiste. “Fino a quando le condizioni di vita dei residenti non miglioreranno, la gente continuerà ad ammalarsi”, sottolinea Gondim. “Il problema non è la mancanza di medicine, dottori o tecnologia, ma la disuguaglianza sociale”. L’associazione dei residenti di Rocinha si adopera per trovare delle soluzioni. “Negoziamo con le aziende private per ottenere acqua potabile, purificare l’acqua e garantire ai residenti prezzi ridotti per la corrente elettrica”, spiega il presidente João Bosco. A Rocinha 3.861 famiglie vivono in una situazione di povertà estrema, con un reddito inferiore a 209 real (32 euro) al mese e senza poter pagare la fornitura elettrica. La maggior parte di queste famiglie si allaccia illegalmente alla rete elettrica. Ma oggi, a causa dell’espansione demografica, i blackout sono sempre più frequenti: “Nel 2024 una zona della favela con circa duemila case è rimasta senza elettricità per venti giorni”, dice Bosco. Gli aiuti del settore privato non bastano. “Rocinha ha bisogno di regolamentazione e controllo”, spiega Marat Troina Menezes, urbanista ed esperto della favela che lavora per il Laboratório habitação e forma urbana. Secondo lui, bisogna garantire “i servizi pubblici, compreso il lavoro delle forze dell’ordine per bloccare le costruzioni illegali”. Menezes ricorda che i grandi lavori infrastrutturali avviati durante i primi due governi di Luiz Inácio Lula da Silva (2003-2011) e quello di Dilma Rousseff (2011-2016), entrambi del Partito dei lavoratori, hanno portato alcuni progressi nella favela. Diverse strade sono state ampliate e alcune famiglie che vivevano in case insalubri sono state trasferite. In quel periodo sono stati costruiti anche un centro sportivo, una biblioteca e una clinica. “Abbiamo addirittura ottenuto una stazione della metropolitana al confine della favela”, dice Antônio Xaolin Ferreira de Melo, ex dipendente della metro di Rio che all’epoca si era battuto per collegare Rocinha alla metropolitana. Nel 2011 lo stato di Rio de Janeiro ha alcune operazioni di polizia per riprendere il controllo della baraccopoli, governata dai narcotrafficanti. Ma in seguito all’inchiesta anticorruzione lava jato (autolavaggio), che nel 2016 ha portato alla destituzione di Rousseff , “molte iniziative a Rocinha sono state congelate”, dice Menezes. Il gigante dell’edilizia Odebrecht, responsabile di diversi progetti urbanistici nella favela, ha sospeso i lavori dopo essere stato accusato di aver corrotto leader politici e funzionari. “Da allora Rocinha vive una regressione. La densità aumenta e i problemi si aggravano”, aggiunge. Anche se Lula, rieletto nel 2023, ha annunciato un nuovo programma di accelerazione della crescita , Menezes crede che “per Rocinha il futuro non sia promettente”. Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it Sorgente ↣ : Nella favela più popolosa di Rio – Anne-Dominique Correa [...] Read more...
Frank12 Marzo 2025InternazionaleNella notte tra il 10 e l’11 marzo l’Ucraina ha condotto un attacco in Russia con 337 droni, che ha colpito anche la regione di Mosca. L’attacco ha causato tre morti, secondo le autorità russe. “I sistemi di difesa aerea hanno intercettato e distrutto 337 droni ucraini, 91 dei quali nella regione di Mosca”, ha affermato il ministero della difesa russo. I droni hanno preso di mira anche le regioni di Kursk, Brjansk e Belgorod, che confinano con l’Ucraina, nonché quelle di Rjazan, Kaluga, Voronež e Nižnij Novgorod. “Sono stati presi di mira edifici residenziali e infrastrutture civili”, ha sottolineato il portavoce del Cremlino Dmitrij Peskov, citato dalle agenzie di stampa russe. Kiev ha affermato che l’obiettivo dell’attacco era “convincere la Russia ad accettare una tregua aerea”, proposta da Kiev per facilitare eventuali negoziati. “È un ulteriore segnale inviato al presidente Vladimir Putin”, ha dichiarato Andrij Kovalenko, portavoce del Centro governativo ucraino contro la disinformazione. L’attacco con i droni, il più massiccio dall’inizio della guerra, è arrivato poche ore prima dell’apertura a Jedda, in Arabia Saudita, dei colloqui tra una delegazione ucraina e una statunitense sulla fine delle ostilità in Ucraina. Il 10 marzo sono arrivati in Arabia Saudita il presidente ucraino Volodymyr Zelenskyj e il segretario di stato statunitense Marco Rubio. I colloqui sono i primi dalla lite senza precedenti alla Casa Bianca tra Zelenskyj e il presidente statunitense Donald Trump. Da allora Washington ha sospeso gli aiuti militari all’Ucraina, oltre alla condivisione dell’intelligence, per costringerla ad accettare condizioni molto dure per la pace. Sorgente ↣ : L’Ucraina conduce un attacco in Russia con 337 droni, causando almeno tre morti [...] Read more...
Frank11 Marzo 2025InternazionaleIl 10 marzo alcuni operai hanno cominciato a cancellare, su iniziativa del Partito repubblicano, un’enorme scritta del movimento di protesta antirazzista Black lives matter su una strada di Washington. Il nome del movimento, salito alla ribalta dopo la morte di George Floyd, un afroamericano ucciso da un poliziotto bianco nel maggio 2020, era stato scritto a caratteri cubitali gialli sull’asfalto di una strada non lontano dalla Casa Bianca. La scritta era però finita nel mirino dei repubblicani dopo il ritorno al potere di Donald Trump, che all’epoca dell’omicidio di Floyd era in carica per il suo primo mandato. “Vogliono cancellare la memoria di quello che è successo”, ha dichiarato all’Afp una donna afroamericana venuta a dare un’ultima occhiata alla scritta. “Questa scritta era importante per noi”, ha detto invece Tajuana McCallister, 57 anni, un’infermiera del Maryland. “Ma evidentemente la storia degli afroamericani in questo paese non è importante per lui”, ha aggiunto, indicando la Casa Bianca in un chiaro riferimento a Trump. La sindaca democratica di Washington, l’afroamericana Muriel Bowser, ha spiegato che non era più possibile difendere la scritta, aggiungendo che “purtroppo in questo momento abbiamo problemi più gravi”. “Stiamo cercando di garantire la sopravvivenza dei nostri abitanti e della nostra economia”, ha dichiarato la sindaca, riferendosi ai licenziamenti di massa dei dipendenti pubblici federali voluti dall’amministrazione Trump, e in particolare da Elon Musk, che dirige una commissione per l’efficienza governativa. Alla domanda se la cancellazione della scritta fosse la conseguenza di forti pressioni da parte della Casa Bianca, Bowser ha preferito non entrare nei dettagli, limitandosi a dire: “Mi sembra evidente che ad alcune persone non piaceva”. Sorgente ↣ : Cancellata a Washington la scritta gigante del movimento Black lives matter [...] Read more...
Frank11 Marzo 2025InternazionaleL’11 marzo il presidente statunitense Donald Trump ha dato il benvenuto alla sua maniera al futuro primo ministro canadese Mark Carney, intensificando le minacce commerciali contro il Canada e ribadendo che “l’unica cosa sensata da fare è diventare il cinquantunesimo stato americano”. Reagendo a un annuncio della provincia canadese dell’Ontario di una sovrattassa sulle esportazioni di elettricità verso tre stati americani, Trump ha affermato sul suo social network Truth Social che porterà al 50 per cento, dal precedente 25 per cento, i dazi doganali sull’acciaio e sull’alluminio canadesi, che entreranno in vigore il 12 marzo. Ha anche dichiarato che il 2 aprile imporrà dazi sulle automobili così alti “da mettere definitivamente in ginocchio l’industria automobilistica canadese”. “L’unica cosa sensata che Ottawa può fare è diventare il cinquantunesimo stato americano”, chiudendo di fatto la guerra commerciale tra i due paesi, ha affermato il presidente statunitense, che considera l’annessione del Canada una priorità. Trump ha aggiunto che se il Canada entrasse a far parte degli Stati Uniti “i canadesi non dovrebbero preoccuparsi dei dazi, pagherebbero molte meno tasse e avrebbero più sicurezza”. Ha inoltre definito “artificiale” il confine che separa i due paesi. Il 9 marzo il futuro premier canadese Mark Carney aveva tenuto un discorso in cui si scagliava contro Trump, affermando anche che “il Canada non farà mai parte degli Stati Uniti”. Dal suo insediamento, il 20 gennaio, Trump ha fatto una serie di annunci spettacolari sull’introduzione di dazi contro vari paesi, spesso seguiti da parziali retromarce, destabilizzando la finanza e l’economia globale. Il Canada è gradualmente emerso come il principale obiettivo della retorica commerciale aggressiva e delle mire espansionistiche del presidente statunitense, che punta anche ad annettere la Groenlandia e il canale di Panamá. Trump ha più volte definito la parola “dazi” una delle più belle del vocabolario, sostenendo che riporteranno le fabbriche negli Stati Uniti e ridurranno il deficit commerciale del paese, anche a costo di causare “temporanee perturbazioni finanziarie”. Questa “età dell’oro” propagandata dal presidente statunitense convince però sempre meno gli investitori, che ipotizzano una recessione negli Stati Uniti, una cosa impensabile solo poche settimane fa. “L’economia statunitense non può permettersi questa ferita autoinflitta in un momento in cui i rischi di recessione sono in aumento”, ha commentato l’ex segretario al tesoro Larry Summers sul social network X. Sorgente ↣ : Donald Trump intensifica la guerra commerciale con il Canada, che vorrebbe annettere [...] Read more...
Frank11 Marzo 2025InternazionaleLa presidenza siriana, che sta cercando di riunificare la Siria dopo tredici anni di guerra civile, ha annunciato il 10 marzo uno storico accordo per integrare nello stato le istituzioni civili e militari dell’amministrazione autonoma curda nel nordest del paese. L’accordo, firmato dal presidente ad interim Ahmed al Sharaa e dal leader delle Forze democratiche siriane (Fds), a maggioranza curda, Mazloum Abdi, dovrebbe essere attuato entro la fine dell’anno. Secondo un comunicato diffuso dalla presidenza siriana, l’accordo prevede “l’integrazione nello stato di tutte le istituzioni civili e militari nel nordest della Siria, compresi i valichi di frontiera, l’aeroporto e i giacimenti di petrolio e gas”. L’accordo afferma inoltre che “la comunità curda è una componente essenziale dello stato siriano”. È anche prevista una collaborazione “nella lotta contro quel che rimane del regime di Bashar al Assad e contro tutte le minacce alla sicurezza e all’unità della Siria”. “Quest’accordo è il primo passo verso la costruzione di una nuova Siria, che includa tutte le sue componenti”, ha dichiarato Abdi sul social network X. L’amministrazione autonoma curda, sostenuta dagli Stati Uniti, controlla un ampio territorio nel nord e nell’est della Siria, ricco di grano, petrolio e gas, risorse fondamentali per la ricostruzione del paese. Il suo braccio armato, le Fds, ha svolto un ruolo chiave nella lotta contro il gruppo jihadista Stato islamico. Più di recente ha anche dovuto difendersi dagli attacchi delle milizie filoturche. Emarginati all’epoca del regime Assad, i curdi sono stati privati per decenni del diritto di parlare la loro lingua, di celebrare le loro feste e, in molti casi, della nazionalità siriana. Durante la guerra civile, scoppiata nel 2011, hanno però creato un’amministrazione autonoma nel nordest del paese. L’accordo arriva quasi due settimane dopo lo storico appello di Abdullah Öcalan, leader del Partito dei lavoratori del Kurdistan (Pkk, curdi di Turchia), ad abbandonare la lotta armata. L’appello è stato accolto con favore dai curdi siriani. Negli ultimi giorni la Siria ha vissuto le peggiori violenze dalla caduta di Assad. Secondo l’ong Osservatorio siriano per i diritti umani, più di 1.500 persone sono morte nell’ovest del paese nei combattimenti tre le forze di sicurezza siriane e le milizie fedeli al presidente deposto Bashar al Assad, e nelle esecuzioni di massa di civili. Sorgente ↣ : Siria, accordo tra il governo ad interim e l’amministrazione autonoma curda [...] Read more...
Frank11 Marzo 2025InternazionalePiù posti di lavoro per i britannici e meno immigrazione: erano queste le grandi promesse fatte da chi voleva la Brexit. Oggi, i cittadini dell’Unione che lasciano il Regno Unito sono più di quelli che vi si trasferiscono, ma sono stati in gran parte sostituiti da persone provenienti dall’Asia e dall’Africa. La richiesta di manodopera è particolarmente alta nel settore dell’assistenza e dell’agricoltura. Il video di Arte. Questo reportage video è prodotto dalla piattaforma europea Arte ed è disponibile in nove lingue grazie a un progetto di collaborazione tra vari giornali europei: El País (Spagna), Gazeta Wyborcza (Polonia), Internazionale (Italia), Ir (Lettonia), Kathimerini (Grecia), Le Soir (Belgio) e Telex (Ungheria). Il progetto, coordinato da Arte, si chiama Emove ed è finanziato dall’Unione europea nell’ambito delle sue politiche multimediali. Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it Sorgente ↣ : La nuova ondata di immigrazione dopo la Brexit [...] Read more...
Frank11 Marzo 2025InternazionaleDue città, due contesti diversi. A Jeddah, in Arabia Saudita, l’11 marzo il presidente ucraino Volodymyr Zelenskyj incontra per la prima volta gli statunitensi dopo l’umiliazione subita alla Casa Bianca e la sospensione degli aiuti militari e il sostegno dell’intelligence al suo paese. Allo stesso tempo, circa trenta paesi si ritroveranno a Parigi senza gli Stati Uniti per parlare di Ucraina, in gran parte tra capi di stato maggiore. Tra i temi in discussione ci saranno l’aiuto all’esercito di Kiev durante e dopo la guerra, e la possibilità di inviare una forza europea nel paese, il cui obiettivo non sarà quello di combattere ma di garantire un cessate il fuoco. Emmanuel Macron prenderà la parola davanti agli alti ufficiali europei. È il segno di uno sviluppo inedito. I due appuntamenti non hanno la stessa natura, ma entrambi nascono da una frenesia diplomatica, specchio di un mondo in subbuglio, in cui svaniscono i punti di riferimento e gli alleati di ieri diventano i nemici di oggi, o smettono di essere affidabili. Dopo essere stato cacciato in malo modo dalla Casa Bianca, Zelenskyj è stato sottoposto a una pressione enorme. Da allora ha moltiplicato i gesti concilianti, consapevole del fatto che l’Europa non è nelle condizioni di sostituire gli Stati Uniti. Soprattutto, il presidente ucraino vuole cercare di avere un peso sulla trattativa imminente fra Trump e Putin. Ma Washington impone a Kiev un gioco sadico. La sospensione degli aiuti militari, in un momento in cui la Russia non sembra avere intenzione di fermarsi, è una pugnalata alle spalle. La battaglia è anche psicologica: il 9 marzo, su X, è andato in scena uno scontro tra Elon Musk, proprietario della piattaforma e personaggio chiave dell’amministrazione Trump, e il ministro degli esteri polaccoRadosław Sikorski. Il ministro ha reagito con sdegno alla minaccia velata del miliardario di privare l’esercito ucraino della rete satellitare Starlink. Il miliardario gli ha risposto invitandolo a calmarsi e definendolo small man, piccolo uomo. Sikorski ha chiesto quindi rispetto nei rapporti tra alleati. E sarebbe il minimo, in effetti. L’Europa è all’altezza della situazione? La mobilitazione all’interno dell’Unione europea è senza precedenti, in particolare sulle questioni legate alla difesa. Non avevamo mai visto una simile collaborazione tra francesi e britannici, soprattutto dopo la Brexit. Resta il fatto che molti stati europei non hanno ancora superato il trauma della brutalità di Trump, orfani della protezione statunitense di cui hanno goduto per decenni. Ancora oggi, alcuni paesi sono in bilico tra il rifiuto della realtà e la paura di assumersi troppi rischi. In ogni caso, l’idea è quella di permettere a un gruppo di nazioni “volenterose” di andare avanti senza aspettare un consenso unanime, che sembra impossibile. pubblicità L’Unione cerca di conquistare un posto al tavolo dei negoziati tra Mosca e Washington per evitare che Trump, nella sua foga di ottenere la pace che aveva promesso di realizzare in “24 ore”, ceda sui punti essenziali, come la smilitarizzazione dell’Ucraina (che sarebbe un invito a riattaccarla in seguito) o le garanzie di sicurezza che gli europei sono pronti a fornire. In questa confusione sta prendendo forma il nuovo ordine mondiale, non più basato sulle alleanze e sul diritto, ma sui rapporti di forza. E il messaggio dei capi dello stato maggiore riuniti a Parigi è chiaro: noi esistiamo. (Traduzione di Andrea Sparacino) Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it Sorgente ↣ : Il nuovo ordine mondiale va in scena a Jeddah e Parigi – Pierre Haski [...] Read more...
Frank11 Marzo 2025InternazionaleL’ex presidente delle Filippine Rodrigo Duterte è stato arrestato l’11 marzo all’aeroporto di Manila in applicazione di un mandato d’arresto emesso dalla Corte penale internazionale (Cpi), che lo accusa di crimini contro l’umanità per la sua cosiddetta “guerra alla droga”. Secondo le organizzazioni per i diritti umani, decine di migliaia di persone sono state uccise dalla polizia e da gruppi di autodifesa, spesso senza alcuna prova che fossero coinvolte in reati di droga. La Cpi aveva aperto un’inchiesta su questa campagna, avviata nel 2016, sospettando possibili crimini contro l’umanità. “Nelle prime ore del mattino Interpol Manila ha ricevuto la copia ufficiale di un mandato d’arresto emesso dalla Cpi”, ha affermato la presidenza in un comunicato, aggiungendo che “Duterte è attualmente in detenzione”. In un video postato sull’account Instagram della figlia minore Veronica, Duterte ha contestato il suo arresto. “Quale legge avrei violato, quale crimine avrei commesso? Sono stato privato della libertà senza alcuna giustificazione”, ha affermato. L’ex presidente (2016-2022), 79 anni, è stato arrestato appena tornato nel paese da un breve viaggio a Hong Kong. Il 9 marzo, in un discorso pronunciato a Hong Kong davanti a migliaia di lavoratori filippini, Duterte aveva contestato l’inchiesta della Cpi, definendo gli inquirenti dei “figli di puttana”. Le Filippine si sono ritirate dalla Cpi nel 2019, ma il tribunale, che ha sede all’Aja, sostiene di avere giurisdizione sui crimini avvenuti prima di quella data, compresi alcuni omicidi commessi a Davao quando Duterte era sindaco. Secondo i dati ufficiali filippini, più di seimila persone sono state uccise durante la guerra alla droga di Duterte. La procura della Cpi stima però che il numero dei morti sia compreso tra dodicimila e trentamila. L’ex presidente, ancora molto popolare nelle Filippine, sostiene di aver agito per evitare che il paese si trasformasse in un “narco-stato”. Ai ferri corti con Marcos L’ong Human rights watch ha invitato il governo guidato dal presidente Ferdinand Marcos Jr. a “consegnare Duterte alla Cpi in tempi rapidi”, in modo che il paese “possa fare i conti con il passato”. La figlia Sara Duterte si era candidata alla successione, prima di ritirarsi per allearsi con Marcos e ottenere la carica di vicepresidente. Ma di recente quest’alleanza tra le due dinastie politiche è implosa, e Duterte è attualmente sottoposta a una procedura d’impeachment. Sorgente ↣ : Filippine, l’ex presidente Rodrigo Duterte arrestato per crimini contro l’umanità [...] Read more...
Frank11 Marzo 2025InternazionaleDopo l’annullamento delle elezioni presidenziali dell’autunno scorso, il 9 marzo la commissione elettorale ha respinto la candidatura di Călin Georgescu per il nuovo scrutinio, previsto a maggio, una decisione che ha provocato violente proteste dei suoi sostenitori. Secondo la commissione elettorale, che ha basato la sua decisione su una sentenza della corte costituzionale a dicembre, “la candidatura non soddisfa le condizioni di legalità perché il candidato ha violato le regole democratiche di un suffragio onesto e imparziale”. Georgescu, 62 anni, un candidato di estrema destra in testa ai sondaggi con circa il 40 per cento delle intenzioni di voto, ha denunciato sul social network X “un attentato alla democrazia”. “L’Europa è ormai una dittatura e la Romania è sottoposta a una tirannia”, ha aggiunto. Dopo l’esclusione di Georgescu, centinaia di manifestanti si sono radunati davanti alla sede della commissione elettorale a Bucarest, gridando “abbasso la dittatura”. Dopo alcuni scontri iniziali nel tardo pomeriggio, le tensioni si sono aggravate in serata dopo che la commissione elettorale ha pubblicato le motivazioni della sua decisione. La polizia ha usato i gas lacrimogeni per disperdere la folla, che ha cercato di fare irruzione nell’edificio, lanciando bottiglie e petardi. Due agenti sono rimasti feriti. Poco conosciuto fino a poche settimane prima del voto, Georgescu era arrivato in testa a sorpresa nel primo turno delle elezioni presidenziali del 24 novembre con circa il 23 per cento dei voti. Pochi giorni dopo la corte costituzionale aveva annullato le elezioni in seguito alla declassificazione di alcuni documenti dei servizi di sicurezza romeni che descrivevano nel dettaglio presunte interferenze russe, soprattutto sui social network. Il 26 febbraio la procura l’aveva incriminato e posto sotto controllo giudiziario “per false dichiarazioni sul finanziamento della sua campagna elettorale e sul suo patrimonio, oltre che per altre accuse”. Il sostegno dell’amministrazione Trump Georgescu, che ha una posizione dura nei confronti dell’Unione europea e della Nato, è contrario all’invio di aiuti all’Ucraina. La sua ascesa ha suscitato forti preoccupazioni tra gli alleati europei della Romania, che dopo l’invasione russa dell’Ucraina è diventata un pilastro dell’alleanza atlantica. Georgescu può però contare sul sostegno dell’amministrazione Trump, in particolare di Elon Musk e del vicepresidente JD Vance. Sorgente ↣ : Il candidato di estrema destra Georgescu escluso dalle presidenziali in Romania [...] Read more...
Frank10 Marzo 2025InternazionaleIl 10 marzo il ministero della difesa siriano ha annunciato la fine di un’operazione militare nell’ovest del paese, dove i combattimenti con i miliziani fedeli al presidente deposto Bashar al Assad e le esecuzioni di massa di civili hanno causato quasi 1.500 morti dal 6 marzo. “Le forze di sicurezza hanno raggiunto tutti gli obiettivi”, ha dichiarato Hassan Abdel Ghani, un portavoce del ministero della difesa, citato dall’agenzia ufficiale Sana. Il portavoce ha aggiunto che località e strade sono state messe in sicurezza. Le violenze sono state le più gravi in Siria dalla caduta del regime di Assad, nel dicembre scorso. Il 6 marzo centinaia di miliziani fedeli ad Assad avevano attaccato le forze di sicurezza a Jable, nella regione di Latakia, una roccaforte della minoranza alawita a cui appartiene anche il presidente deposto. Secondo l’ong Osservatorio siriano per i diritti umani, i combattimenti hanno causato quasi cinquecento morti, mentre almeno 973 civili, in maggioranza alawiti, sono stati uccisi “in esecuzioni sommarie e operazioni di pulizia etnica”. Le Nazioni Unite, Washington e altre capitali hanno condannato le uccisioni di civili, chiedendo spiegazioni alle nuove autorità siriane. Il presidente ad interim siriano Ahmed al Sharaa si è impegnato il 9 marzo a “perseguire i responsabili delle uccisioni di civili”. In un discorso tenuto in una moschea della capitale Damasco, Al Sharaa ha lanciato un appello al “mantenimento dell’unità nazionale e della pace civile” e annunciato una commissione d’inchiesta per fare luce sui massacri. Intanto, il 10 marzo l’Iran, grande alleato dell’ex regime, ha smentito qualunque coinvolgimento nelle violenze degli ultimi giorni in Siria. “Sono accuse ridicole”, ha dichiarato il portavoce del ministero degli esteri iraniano Esmail Baghai, smentendo le recenti affermazioni di alcuni mezzi d’informazione, in particolare dell’emittente saudita Al Arabiya. Sorgente ↣ : Si conclude l’operazione militare nell’ovest della Siria, quasi 1.500 morti [...] Read more...
Frank10 Marzo 2025InternazionaleÈ sorprendente quanto poco si parli della pandemia di covid-19 nelle analisi su “come siamo arrivati a questo punto”. Un fatto che ha toccato tutto il mondo e ogni aspetto sociale ha inevitabilmente lasciato impronte sulle nostre vite a ogni livello, ma la resistenza individuale e collettiva a parlare di eventi di questo tipo porta spesso a sottovalutarne gli effetti profondi. Questa dinamica riguarda tutti ma, come spesso succede, è particolarmente esasperata nel caso degli Stati Uniti. È inevitabile partire dalle questioni che hanno a che fare con la salute. Nelle ultime settimane in Texas è scoppiata un’epidemia di morbillo che ha causato centinaia di contagi e la morte di un bambino non vaccinato, il primo decesso per questa malattia da dieci anni. I contagi sono partiti dalla contea di Gaines, che nel 2024 aveva uno dei tassi più alti di bambini non vaccinati per il morbillo e altre malattie per motivi religiosi. Tra il 2013 e il 2023 la quota di scolari che non hanno fatto i vaccini raccomandati è più che raddoppiata, passando dal 7 al 18 per cento. La risposta immediata dei politici locali è rivelatrice su come la pandemia abbia cambiato il discorso pubblico sulla sanità. Invece di affrontare la crisi sanitaria, i legislatori del Texas hanno continuato a discutere nuovi progetti di legge per allentare le norme sui vaccini. Nel primo mese della sessione legislativa sono state introdotte 37 proposte di legge contro i vaccini, tra cui una che renderebbe più facile per i genitori esentare i figli dagli obblighi vaccinali e un’altra che darebbe ai politici, invece che ai funzionari sanitari, il controllo su quali siano i vaccini obbligatori. La politica della crudeltà Donald Trump ha smantellato l’agenzia del governo statunitense che finanziava progetti umanitari in tutto il mondo. La decisione colpirà milioni di persone. E rivela un’idea delle relazioni internazionali basata sulla forza Le pressioni per far approvare queste proposte sono partite dalla Texans for vaccine choice, un’organizzazione contraria ai vaccini. La leader del gruppo, Rebecca Hardy, ha ammesso all’Economist che prima della pandemia gli attivisti come lei dovevano parlare a bassa voce nei corridoi del campidoglio del Texas, ma nel 2020 è cambiato tutto: “Le persone hanno cominciato a informarsi su internet per fare il vaccino contro il covid-19 e lo scetticismo è aumentato. A quel punto le mamme texane che erano già contrarie ai vaccini sono entrate nelle grazie dei ricchi finanziatori del Partito repubblicano, e i legislatori hanno cominciato a corteggiarle per ottenere il loro sostegno”. Per molto tempo gli statunitensi sono stati più favorevoli ai vaccini rispetto agli europei, oggi invece la maggior parte dei contenuti online contro i vaccini proviene dagli Stati Uniti. In quel periodo si sono innescate dinamiche che hanno cambiato in modo profondo l’opinione pubblica. L’ostilità verso i vaccini e le misure restrittive approvate per contenere il virus si è fusa un po’ alla volta con il malcontento nei confronti delle istituzioni sanitarie che covava da decenni in vari settori della società, dando vita a qualcosa di simile a una nuova visione del mondo, basata sulla diffidenza verso tutto ciò che ha a che fare con il governo. Dal movimento Make America great again è nato il Make America healthy again (Maha, rendiamo l’America di nuovo sana), in cui è confluito di tutto, spiega il New York magazine: “Gli hippie fissati con l’alimentazione naturale; le donne antifemministe che cucinano pasti ‘ancestrali’; i tanti pazienti, spesso donne, le cui malattie debilitanti sono spesso ignorate dai medici, e che hanno finito per ricorrere a medicine alternative e all’autodiagnosi; i sostenitori di teorie false come quella secondo cui i vaccini causano l’autismo; tante persone comprensibilmente preoccupate da problemi che le autorità non sono riuscite ad affrontare e aggravati dallo strapotere delle multinazionali, come l’obesità e l’abuso di oppiodi. I seguaci del Maha hanno trovato il loro paladino in Robert Kennedy Jr., la cui storia in effetti contiene tutte le contraddizioni del movimento – avvocato per anni impegnato nelle battaglie contro l’inquinamento e propagatore di teorie complottiste, democratico diventato fervente trumpiano – e che è stato scelto da Trump come segretario alla salute e alle risorse umane. Di fronte alla diffusione del morbillo in Texas, Kennedy ha promosso rimedi antiscientifici come l’olio di fegato di merluzzo (che contiene vitamina a), poi di fronte alle tante critiche ricevute ha invitato le famiglie a vaccinare i bambini, attirandosi curiosamente le ire del movimento Maha. Questo slittamento ha innescato tendenze politiche impensabili fino a poco tempo fa. Abbiamo sempre dato per scontato, per esempio, che i giovani statunitensi sono in maggioranza, e solidamente, progressisti. Nel 2008 l’enorme partecipazione e affluenza giovanile portò Barack Obama alla Casa Bianca, e nel 2020 gli elettori tra i 18 e i 29 anni si schierarono nettamente con Joe Biden (24 punti di vantaggio su Trump in questa fascia elettorale). Nel 2024 Trump ha colmato la maggior parte del divario, perdendo gli elettori sotto i 30 anni con un margine di soli 4 punti (51 a 47). Secondo un sondaggio condotto dalla Cbs a inizio febbraio, gli americani sotto i trent’anni sono più favorevoli a Trump rispetto a chi ha più di 65 anni. Lo spostamento a destra dei giovani rientra in una grande ondata conservatrice alimentata dall’inflazione, dalla debole crescita dei salari e dall’aumento dei flussi migratori, ma anche l’esperienza della pandemia sembra aver avuto un ruolo decisivo. Ha scritto Derek Thompson sull’Atlantic: “Secondo gli studi, dopo le pandemie la fiducia nelle autorità scientifiche tende a ridursi invece che ad aumentare. Un’analisi svolta dal Systemic Risk Center della London School of Economics in vari paesi ha rilevato che le persone che affrontano un’epidemia quando hanno tra i 18 e i 25 anni hanno meno fiducia nella leadership scientifica e politica. Questa perdita di fiducia dura per anni, perfino per decenni, in parte perché le idee politiche tendono a consolidarsi intorno ai vent’anni”. Il voto decisivo dei maschi più giovani Trump è riuscito a guadagnare consensi tra gli elettori che votavano per la prima volta, e in questo modo ha spaccato la tradizionale base del Partito democratico. Una tesi confermata dai dati raccolti dall’Harvard Political Review, secondo cui i giovani statunitensi che hanno votato per la prima volta nel 2024 erano “più sfiduciati che mai sullo stato della politica americana”. Un’analisi del 2024 sugli elettori sotto i 30 anni ha rilevato i “livelli più bassi di fiducia nella maggior parte delle istituzioni pubbliche dall’inizio del sondaggio”. Bisogna poi considerare che durante e dopo la pandemia si sono ridotte drasticamente le interazioni dei giovani statunitensi nel mondo reale ed è aumentato fortemente il tempo che trascorrono sui social media. Online c’è stata una proliferazione di spazi frequentati quasi solo da uomini, che in molti casi sono diventati sacche di risentimento antifemminista che hanno contribuito ad avvicinare alla destra molti giovani, soprattutto quelli che un tempo non votavano o non si interessavano di politica. pubblicità Allargando lo sguardo, si può interpretare lo spostamento a destra di tutto il settore tecnologico anche come una risposta a ciò che è successo durante la pandemia, quando furono introdotte misure a tutela dei lavoratori e di giustizia sociale che sono state mal digerite dai capi della Silicon valley. Dopo la fine dell’emergenza sanitaria c’è stata una reazione che ha riguardato sia il lato aziendale, con i dirigenti che hanno cercato di riprendere il controllo sulla forza lavoro, anche imponendo alle persone di tornare in ufficio, sia il lato politico e culturale, nel senso che i leader del settore hanno fatto marcia indietro sulle politiche di moderazione dei contenuti e sono diventati più sfacciati nell’usare la loro presa sul dibattito pubblico per imporre la propria visione del mondo, per poi allearsi con la nuova amministrazione Trump. Sono tanti altri i modi in cui la pandemia ha cambiato gli Stati Uniti. Secondo David Wallace-Wells, opinionista del New York Times, ha inaugurato una nuova era di darwinismo sociale, ha fermato il declino del cristianesimo negli Stati Uniti, ha messo fine a un decennio di grandi proteste per la giustizia sociale, ha sconvolto la vita delle città, ha affondato il sogno della sinistra di una vera trasformazione politica, ha causato la sconfitta di Trump nel 2020 e poi ha condannato la presidenza di Biden, ha stravolto la geografia del lavoro, ha contribuito a far entrare il paese in una nuova era di crescita economica, ha fatto schizzare alle stelle il debito pubblico, ha alimentato la propensione degli americani a scommettere e a investire in modo rischioso, ha radicalizzato le posizioni degli americani sull’immigrazione, ha danneggiato e spaventato una generazione di bambini. Questo testo è tratto dalla newsletter Americana. Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it Sorgente ↣ : Come la pandemia di covid-19 ha cambiato gli Stati Uniti – Alessio Marchionna [...] Read more...
Frank10 Marzo 2025InternazionaleIl 5 marzo del 2025 il Pentagono ha affidato alla Scale Ai, un’azienda statunitense che si occupa di intelligenze artificiali, lo sviluppo di Thunderforge. È un sistema di ia che deve velocizzare la pianificazione militare, con particolare attenzione alle operazioni militari in Europa e nella regione indo-pacifica. L’obiettivo del progetto è fornire all’esercito statunitense strumenti basati su modelli linguistici di grandi dimensioni, simulazioni avanzate e simulazioni di guerra interattive per migliorare la capacità di prendere decisioni rapide in contesti operativi. La Defense innovation unit, l’agenzia che supervisiona il progetto, ha descritto Thunderforge come un sistema capace di testare scenari di battaglia, anticipare minacce e decidere la disposizione di risorse strategiche su scala globale. Non sappiamo quanto valga, economicamente, l’accordo fra Pentagono e Scale Ai. Sappiamo, però, che ci sarà anche la collaborazione della Anduril e della Microsoft. La Anduril è una delle aziende più attive nel settore della difesa: fornirà il suo sistema Lattice, una piattaforma che raccoglie e analizza dati provenienti da droni e altri sensori per ottimizzare le operazioni di combattimento. La Microsoft, invece, contribuirà con i suoi modelli di ia, potenzialmente integrando le capacità di elaborazione degli llm in Thunderforge. L’ammiraglio Sam Paparo, responsabile del comando unificato delle forze armate degli Stati Uniti nell’oceano Pacifico e nell’oceano Indiano, ha dichiarato già a febbraio 2025 che l’intelligenza artificiale potrebbe svolgere un ruolo chiave nel monitorare le attività della Cina, identificando potenziali minacce come esercitazioni militari usate come copertura per azioni offensive. L’ammiraglio ha inoltre sottolineato che il suo comando sta sviluppando una piattaforma, chiamata Mission partner environment, per condividere informazioni e analisi in tempo reale con gli alleati. Ma la pianificazione strategica è solo una parte dell’integrazione dell’intelligenza artificiale nelle guerre moderne: si va dai droni autonomi ai sistemi di sorveglianza avanzata, dai software di attacco informatico alle armi capaci di identificare e colpire bersagli senza supervisione umana. Non solo. L’uso dell’ia nelle guerre contemporanee ha già cambiato il modo in cui si combatte. Nel conflitto tra Russia e Ucraina, per esempio, i droni dotati di intelligenza artificiale vengono impiegati da entrambi gli eserciti per individuare e attaccare postazioni nemiche. Israele ha utilizzato algoritmi di ai per selezionare obiettivi nei bombardamenti a Gaza e in Libano. In un tentativo di fermare la corsa all’armamento automatico, il 2 dicembre 2024, l’assemblea generale delle Nazioni unite ha approvato la risoluzione 79/L.77 sui sistemi d’arma autonomi letali, con 166 voti a favore, tre contrari (Bielorussia, Russia e Corea del Nord) e quindici astensioni (fra cui quelle della Cina e di Israele). Il documento riconosce i rischi posti dall’uso dell’ia in ambito militare e apre il dibattito su una possibile regolamentazione internazionale. Tuttavia, non prevede alcun divieto vincolante e si limita a invitare gli stati membri a partecipare a consultazioni informali durante l’anno 2025. Gli Stati Uniti hanno votato a favore della risoluzione, ma al tempo stesso hanno fatto sapere di non avere intenzione di fermare le proprie ricerche sull’applicazione dell’ia in ambito bellico. Probabilmente la resistenza a una regolamentazione più stringente è legata al timore di perdere il proprio vantaggio competitivo. Purtroppo l’assenza di un quadro normativo condiviso rischia di favorire una corsa agli armamenti basata sull’ia, con conseguenze potenzialmente destabilizzanti per la sicurezza globale. L’uso di queste tecnologie abbassa la soglia per l’uso della forza: se a combattere sono macchine, la guerra rischia di diventare più frequente, non meno sanguinosa. Eric Schmidt, ex amministratore delegato della Google, è stato uno dei principali sostenitori della militarizzazione dell’intelligenza artificiale. Negli ultimi anni ha investito milioni di dollari nello sviluppo di tecnologie belliche basate su ia e ha spinto per un coinvolgimento diretto delle aziende tecnologiche nei progetti del dipartimento della difesa. Eppure, nel suo recente documento strategico, scritto con Dan Hendrycks e Alexandr Wang, ha espresso preoccupazione per il rischio di una corsa incontrollata alla superintelligenza. Schmidt critica il piano di finanziamento governativo su larga scala per lo sviluppo dell’intelligenza artificiale generale proposto dal congresso degli Stati Uniti. Secondo Schmidt, una competizione senza freni potrebbe aumentare le tensioni internazionali e innescare attacchi informatici su larga scala da parte di paesi rivali come la Cina. Il rischio è che un paese in vantaggio nello sviluppo dell’ia possa essere visto come una minaccia esistenziale, spingendo gli avversari ad adottare misure drastiche, comprese azioni militari preventive. Come alternativa, Schmidt propone la strategia del mutual assured ai malfunction (maim), un meccanismo di deterrenza che prevede: il blocco delle esportazioni di chip avanzati per impedire ad altri paesi di sviluppare superintelligenze militari; il potenziamento delle capacità di cyberattacco per disattivare progetti di ia ostili prima che diventino una minaccia; la creazione di accordi internazionali per limitare lo sviluppo di intelligenze artificiali generali (agi) in ambito militare. pubblicità Questa visione non è meno aggressiva della corsa agli armamenti, ma sposta l’attenzione dal vincere la gara al dissuadere gli altri dal parteciparvi. Il modello ricorda la dottrina della mutua distruzione assicurata della guerra fredda: se nessuno può sviluppare l’arma finale senza rischiare il collasso del sistema, allora nessuno la svilupperà. Viviamo in un momento storico in cui anche molti intellettuali indossano elmetti metaforici – è difficile che poi partano per il fronte imitando Ungaretti o D’Annunzio – e cavalcano retoriche belliche globali, chiedendosi che fine abbiano fatto i guerrieri. Penso sia utile, allora, non solo ricordare cos’è la guerra, ma anche comprendere bene quali armi esistano oggi, quali siano le applicazioni tecnologiche possibili e quali le conseguenze. Armi autonome, analisi predittive, sorveglianza totale e attacchi informatici automatizzati stanno sostituendo progressivamente le dinamiche tradizionali dei conflitti. Ma le vittime sono sempre umane. Una guerra automatica non è più pulita, non fa meno morti o meno danni. È una guerra, e va evitata in ogni modo possibile. Questo testo è tratto dalla newsletter Artificiale. Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it Sorgente ↣ : Venti di guerra artificiale – Alberto Puliafito [...] Read more...
Frank10 Marzo 2025InternazionaleIl 10 marzo una delegazione israeliana è partita per Doha, in Qatar, dove parteciperà a dei negoziati indiretti sulla fragile tregua nella Striscia di Gaza, dopo che Israele ha interrotto le forniture di elettricità nel territorio per fare pressione su Hamas. Prima dell’avvio dei negoziati, Israele ha bloccato l’unica linea elettrica di Gaza, che alimenta il principale impianto di desalinizzazione dell’acqua del territorio. Hamas ha reagito denunciando “un ricatto inaccettabile”. “Questa decisione mette inoltre a rischio gli ostaggi, che saranno liberati solo in caso di applicazione dell’accordo di tregua nella sua interezza”, ha avvertito il 10 marzo Abdul Latif al Qanua, il portavoce di Hamas. Lo stesso giorno la Germania ha chiesto a Israele di “sbloccare immediatamente l’ingresso degli aiuti umanitari a Gaza”. L’accordo di tregua, raggiunto grazie alla mediazione di Stati Uniti, Qatar ed Egitto, è entrato in vigore il 19 gennaio. Durante la prima fase dell’accordo, che si è conclusa il 1 marzo, Hamas ha restituito trentatré ostaggi israeliani, otto dei quali morti, mentre Israele ha rilasciato circa 1.800 prigionieri palestinesi. La delegazione israeliana a Doha è guidata da un alto funzionario dello Shin Bet, il servizio di sicurezza interna, e dal mediatore incaricato degli ostaggi, Gal Hirsch. Secondo l’esercito israeliano, a Gaza ci sono ancora 58 ostaggi, 34 dei quali morti. I negoziatori di Hamas, guidati da Mohammed Darwish, sono arrivati a Doha il 9 marzo. Lo stesso giorno l’inviato statunitense per gli ostaggi, Adam Boehler, ha espresso il suo ottimismo su un accordo per il loro rilascio, definendo i recenti colloqui diretti con Hamas come “molto utili”. I disaccordi riguardano la prosecuzione della tregua. Hamas chiede l’applicazione della seconda fase dell’accordo, che prevede un cessate il fuoco permanente, il ritiro completo israeliano da Gaza e il rilascio di tutti gli ostaggi. Israele, però, punta a una proroga della prima fase della tregua fino alle metà di aprile e, per passare alla seconda fase, chiede la “demilitarizzazione totale” della Striscia di Gaza e la restituzione di tutti gli ostaggi. “Israele continua a chiedere modifiche all’accordo originario”, ha affermato Hamas in un comunicato. Sorgente ↣ : Una delegazione israeliana a Doha per i negoziati sulla tregua a Gaza [...] Read more...
Frank10 Marzo 2025InternazionaleAlmeno sedici persone sono morte nelle alluvioni, causate da una tempesta, che hanno colpito la città portuale di Bahía Blanca, in Argentina, mentre decine di persone risultano disperse, hanno affermato le autorità il 9 marzo. Tra i dispersi ci sono due bambine di uno e cinque anni, strappate dalle braccia della madre da un improvviso innalzamento del livello dell’acqua. Il presidente Javier Milei ha proclamato tre giorni di lutto nazionale. “Il governo farà tutto il possibile per aiutare le comunità colpite”, ha dichiarato in un comunicato. Secondo il sindaco di Bahía Blanca, Federico Susbielles, le alluvioni hanno causato danni per circa 370 milioni di euro. Il 7 marzo sulla città, che ha 350mila abitanti e si trova nella provincia di Buenos Aires, sono caduti circa quattrocento millimetri di pioggia nel giro di poche ore, la quantità che di solito cade in un anno. Il fiume Maldonado ha straripato sommergendo vari quartieri. Secondo i dati ufficiali, quasi mille persone sono state costrette a lasciare le loro case. “Questo disastro è chiaramente legato al cambiamento climatico”, ha dichiarato Andrea Dufourg, responsabile delle politiche ambientali a Ituzaingó, un’altra città nella provincia di Buenos Aires. “Non abbiamo altra scelta che investire nelle misure di adattamento, preparando le nostre città e i nostri cittadini a una moltiplicazione degli eventi estremi”. Nel dicembre 2023 Bahía Blanca era già stata colpita da una violenta tempesta che aveva causato tredici morti. Sorgente ↣ : Argentina, le alluvioni a Bahía Blanca causano sedici morti e decine di dispersi [...] Read more...
Frank10 Marzo 2025InternazionaleLa scorsa settimana ha fatto discutere la decisione della corte di cassazione di accogliere il ricorso di un cittadino eritreo, ribaltando la sentenza della corte di appello di Roma del 13 marzo del 2024 che gli aveva negato il risarcimento dei danni subiti quando è stato trattenuto a bordo della nave della guardia costiera italiana “Ubaldo Diciotti ”, dal 16 al 25 agosto 2018. Era stato prima negato l’attracco e poi lo sbarco di un gruppo di 177 migranti soccorsi nel Mediterraneo centrale per undici giorni, per ordine dell’allora ministro dell’interno Matteo Salvini. Il ragazzo eritreo, che nel frattempo ha ottenuto lo status di rifugiato nel Regno Unito, faceva parte di un gruppo di 44 persone che nel dicembre 2018 aveva presentato una richiesta di risarcimento allo stato italiano. Per la vicenda, il tribunale dei ministri di Palermo (una sezione specializzata del tribunale ordinario competente per i reati commessi dal presidente del consiglio e dai ministri nell’esercizio delle loro funzioni) indagò l’allora ministro Salvini con l’accusa di sequestro di persona, ritenendo illegittimo il trattenimento dei profughi sulla nave militare. Il caso fu poi passato al tribunale di Catania per competenza territoriale e la procura chiese l’archiviazione. Il tribunale dei ministri la respinse chiedendo al senato l’autorizzazione a procedere per il leader della Lega, ma la giunta parlamentare per le autorizzazioni a procedere votò contro e impedì che il procedimento penale contro Salvini andasse avanti. “Abbiamo incontrato un gruppo di una quarantina di eritrei a settembre del 2018, subito dopo il loro trasferimento a Rocca di Papa, dopo il blocco della nave Diciotti”, racconta Giovanna Cavallo, coordinatrice dell’associazione Legal aid, che ha seguito il ricorso dell’uomo insieme alle associazioni Baobab experience, Medu e A buon diritto. “I migranti sembravano spaesati e non si erano resi conto pienamente di quello che avevano subìto. Li abbiamo informati sui loro diritti e hanno deciso di fare ricorso per ottenere un risarcimento in sede civile”, continua Cavallo, che spiega di essere rimasta in contatto telefonico con la maggior parte di loro. Qualche settimana dopo la firma delle procure agli avvocati, la maggior parte dei migranti ha lasciato l’Italia per raggiungere familiari e amici in paesi europei ritenuti più accoglienti, ma il processo è andato avanti fino alla sentenza di appello del 2014, che ha negato il risarcimento. Ma la corte di cassazione ha dato ragione all’eritreo escludendo che “il rifiuto dell’autorizzazione allo sbarco dei migranti soccorsi in mare protratto per dieci giorni possa considerarsi quale atto politico sottratto al controllo giurisdizionale”. Per la corte “l’azione del governo, ancorché motivata da ragioni politiche, non può mai ritenersi sottratta al sindacato giurisdizionale quando si ponga al di fuori dei limiti che la costituzione e la legge gli impongono, soprattutto quando siano in gioco i diritti fondamentali dei cittadini (o stranieri), costituzionalmente tutelati”. Inoltre, secondo i giudici della cassazione la responsabilità civile per i danni subiti dai naufraghi a bordo della nave Diciotti non può essere esclusa per il fatto che il senato avesse negato l’autorizzazione a procedere nei confronti del ministro, perché in questo caso sono stati attaccati “diritti della persona inviolabili e come tali non comprimibili né suscettibili di minorata tutela di compromesso”. Infine, la sentenza richiama l’Italia all’obbligo di soccorso in mare secondo le convenzioni internazionali, e stabilisce che “lo stato responsabile del soccorso deve organizzare lo sbarco nel più breve tempo ragionevolmente possibile (convenzione Sar, capitolo 3.1.9), fornendo un luogo sicuro in cui terminare le operazioni di soccorso. È solo con la concreta indicazione del place of safety (pos), e con il successivo arrivo dei naufraghi nel luogo sicuro designato, che, infatti, l’attività di search and rescue (ricerca e soccorso) può considerarsi conclusa”. pubblicità “Questa ordinanza di risarcimento è un precedente importante”, commenta Giovanna Cavallo, secondo la quale si può mettere in discussione la legittimità di assegnare porti di sbarco molto lontani, come avviene ormai con il decreto Piantedosi per tutte le navi delle imbarcazioni umanitarie, o anche di trasferire i migranti in Albania per molti giorni come è avvenuto a tre gruppi di richiedenti asilo a partire dall’ottobre 2024. “La cassazione chiarisce che i naufraghi devono essere portati a terra più velocemente possibile e non possono essere privati della libertà personale per giorni come è avvenuto a tutti i richiedenti asilo che sono stati trasportati in Albania negli ultimi mesi”. Il giurista, esperto di diritto del mare, Fulvio Vassallo Paleologo è della stessa opinione: “La valutazione sulla tollerabilità del trattenimento a bordo della nave soccorritrice potrebbe comportare conseguenze rilevanti sia sulla ammissibilità dell’assegnazione di porti sicuri di sbarco ‘vessatori’, eccessivamente lontani dal luogo del soccorso, sia sulle ipotesi di trattenimento ai fini dell’identificazione, nel caso dei naufraghi soccorsi da navi militari italiane in acque internazionali, e poi bloccati a bordo per giorni, in attesa di un successivo trasferimento verso i centri di detenzione previsti dal protocollo Italia-Albania”. Il 7 marzo, dopo la pubblicazione dell’ordinanza, la presidente del consiglio Giorgia Meloni ha criticato la corte sui social network definendo la decisione “opinabile e frustrante”, mentre il vicepremier Matteo Salvini ha parlato di una decisione “vergognosa”, di “un’altra invasione di campo indebita”. Alle reazioni del governo ha risposto con una nota la prima presidente della corte, Margherita Cassano, dicendo: “Le decisioni della corte di cassazione, al pari di quelle degli altri giudici, possono essere oggetto di critica. Sono invece inaccettabili gli insulti che mettono in discussione la divisione dei poteri su cui si fonda lo stato di diritto”. Questo articolo è stato tratto dalla newsletter Frontiere. Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it Sorgente ↣ : Perché il caso Diciotti è così importante – Annalisa Camilli [...] Read more...
Frank10 Marzo 2025Internazionale  La scoperta di un meccanismo immunitario finora sconosciuto, il settimo test del razzo Starship della Space X e il calo del numero di farfalle negli Stati Uniti: l’attualità scientifica, in breve. Sorgente ↣ : Le notizie di scienza della settimana  [...] Read more...
Frank10 Marzo 2025InternazionaleFin dalla caduta del regime di Bashar al Assad, tre mesi fa, i siriani hanno costantemente trattenuto il respiro nella speranza di uscire dal ciclo di violenze che ha distrutto il loro paese. Purtroppo, però, negli ultimi giorni circa mille persone, di cui la maggioranza civili, sono state massacrate nel più grave episodio dopo la fine della dittatura. Ogni aspetto di questa tragedia era abbastanza prevedibile: i soldati del vecchio regime che si erano rifiutati di arrendersi hanno organizzato azioni di guerriglia nei territori degli alawiti, la minoranza a cui appartiene il clan degli Assad. La conseguenza è stata un’ondata di violenza cieca che ha colpito i sostenitori armati dell’ex presidente siriano, ma anche i civili alawiti, vittime della vendetta di massa per i morti degli ultimi giorni e per i decenni di dittatura. Da tre mesi, il mondo intero temeva uno sviluppo di questo tipo. Secondo l’Osservatorio siriano per i diritti umani (Osdh) i massacri sono stati commessi su entrambi i fronti, colpendo indistintamente uomini, donne, bambini, anziani e intere famiglie. Tra gli autori delle violenze ci sono alcuni jihadisti (anche stranieri), ancora armati. È arrivata quindi la fine della transizione pacifica? Questa oggi è la grande paura. Il governo ad interim guidato da Ahmed al Sharaa cerca con difficoltà di rassicurare le minoranze del paese – alawiti, cristiani, curdi, drusi – e di riunire tutti i gruppi armati sotto un’unica autorità nazionale. Su questi due aspetti, però, la fiducia è ormai svanita. Al Sharaa ha provato a calmare le acque con un discorso alla nazione. “Quello che sta succedendo era prevedibile. Dobbiamo mantenere l’unità nazionale e la pace per quanto possibile. Se dio vuole, saremo capaci di vivere insieme in questo paese”, ha dichiarato l’ex jihadista, ora presidente del governo di transizione. Ascolta | La puntata del Mondo sulla situazione politica in Siria con il governo ad interim guidato da Ahmed al Sharaa I siriani sperano che il nuovo leader del paese riesca a frenare alcuni dei suoi sostenitori più radicalizzati, che non condividono la sua conversione pragmatica. Questa crisi ha conseguenze anche sul piano internazionale, uno dei nodi centrali della transizione. C’è da considerare Israele, che ha distrutto l’esercito siriano dopo la caduta di Assad, occupa alcune aree sulle alture del Golan e si presenta come difensore delle minoranze siriane. Lo stato ebraico guarda con sospetto la crescente influenza turca a Damasco, soprattutto alla luce delle posizioni pubbliche molto dure espresse da Ankara sulla guerra a Gaza. C’è poi la Russia, che continua a negoziare il destino delle sue basi navali e aeree in Siria, situate proprio nella regione in cui si sono verificati i massacri. E paradossalmente, Israele preferirebbe avere i russi invece dei turchi come vicini di casa. pubblicità La situazione attuale influisce poi sulla cancellazione delle sanzioni che colpiscono ancora la Siria. Il recente alleggerimento delle misure potrebbe restare un caso isolato se il governo di Damasco non riuscisse a fermare la diffusione di quest’ondata di violenza. La Siria ha vissuto sulla sua pelle il caos che ha travolto il vicino Iraq dopo la caduta di Saddam Hussein, con la nascita del gruppo Stato islamico. Anche per questo oggi è assolutamente indispensabile che qualcuno spenga l’incendio siriano. (Traduzione di Andrea Sparacino) Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it Sorgente ↣ : L’esplosione delle violenze in Siria ha conseguenze internazionali – Pierre Haski [...] Read more...
Frank10 Marzo 2025InternazionaleIl 9 marzo il Partito liberale, al governo, ha eletto Mark Carney come nuovo leader e futuro primo ministro in sostituzione di Justin Trudeau, che aveva annunciato le dimissioni il 6 gennaio dopo alcune settimane di crisi politica. Dopo la sua elezione Carney ha tenuto un discorso in cui si è scagliato contro il presidente statunitense Donald Trump, affermando che “il Canada non farà mai parte degli Stati Uniti”. “Noi canadesi siamo sempre pronti quando qualcuno ci lancia il guanto di sfida. Gli americani devono stare molto attenti. Nel commercio come nell’hockey, sarà il Canada a vincere”, ha dichiarato, con un riferimento ai dazi doganali di Trump e alla rivalità sportiva tra i due paesi. “Trump sta attaccando le famiglie, i lavoratori e le imprese canadesi, e noi non gli permetteremo di avere successo”, ha aggiunto. Il presidente statunitense ha avviato una guerra commerciale con il Canada, imponendo dazi sui prodotti canadesi e ripetendo più volte che il paese dovrebbe diventare il “cinquantunesimo stato americano”. “Gli americani vogliono le nostre risorse, la nostra acqua, la nostra terra”, ha avvertito Carney. “Se ottenessero quello che vogliono, distruggerebbero il nostro stile di vita. Negli Stati Uniti non avremmo neanche il diritto di usare la lingua francese”, ha aggiunto, passando più volte dall’inglese al francese, la lingua usata nella provincia del Québec. “Sono giorni bui, causati da un paese di cui non ci possiamo più fidare”, ha proseguito. Carney, 59 anni, che in passato è stato governatore sia della banca del Canada sia della banca d’Inghilterra, diventerà ufficialmente primo ministro nei prossimi giorni. Tuttavia, potrebbe non rimanere in carica per molto tempo, dato che le elezioni legislative dovranno essere indette entro ottobre. “Carney era considerato l’unico candidato che avrebbe dato ai liberali una possibilità di vincere le elezioni”, ha commentato Cameron D. Anderson della University of Western Ontario. Sfiderà Pierre Poilievre, leader del Partito conservatore, in leggero vantaggio nei sondaggi. Sorgente ↣ : L’ex banchiere centrale Mark Carney sarà il prossimo primo ministro canadese [...] Read more...
Frank10 Marzo 2025InternazionaleDa Wonderfuck di Katharina Volckmer a I bambini di Himmler di Caroline De Mulder. Le recensioni della stampa straniera. Leggi Sorgente ↣ : I libri scelti da Internazionale [...] Read more...
Frank9 Marzo 2025InternazionaleLa Cina registra da tempo uno sviluppo dell’energia pulita senza precedenti. Come scrive Bloomberg, nel 2024 il paese asiatico ha installato nuovi impianti solari ed eolici che hanno aggiunto altri 356 gigawatt di potenza. Le autorità promettono a più riprese di ridurre l’impiego delle fonti d’energia fossili: il presidente Xi Jinping ha annunciato un uso minore del carbone dal 2026. Pechino è inoltre leader nel campo dell’auto elettrica: nel 2025 in Cina le vendite di veicoli dotati di questa tecnologia supereranno per la prima volta quelle delle auto con motore a combustione. L’obiettivo sarà raggiunto dieci anni prima rispetto alle previsioni del governo. Quest’anno nel paese i veicoli elettrici e ibridi potrebbero registrare una crescita del 20 per cento rispetto al 2024, superando i dodici milioni di unità vendute. Nel 2022 le vendite erano state di 5,9 milioni. Il mercato dei veicoli tradizionali, invece, dovrebbe calare del 10 per cento rispetto all’anno scorso, a undici milioni, quasi il 30 per cento in meno di tre anni fa. Per il momento, comunque, le fonti fossili sono tutt’altro che in ritirata. Lo dimostrano i dati di quella più inquinante, il carbone, che sta battendo ogni record. Questa realtà ridimensiona i progressi nel campo delle rinnovabili e conferma la Cina come il paese con le maggiori emissioni di anidride carbonica al mondo, con una quota del 30 per cento. In uno studio uscito a febbraio il Centre for research on energy and clean air (Crea), con sede a Helsinki, in Finlandia, e il californiano Global energy monitor (Gem) affermano che Pechino sta costruendo centrali elettriche alimentate a carbone per una potenza complessiva di 94,5 gigawatt, la più alta degli ultimi dieci anni. Allo stesso tempo il governo cinese ha riattivato progetti sospesi, che aggiungeranno altri 3,3 gigawatt di potenza. Dietro la straordinaria resistenza del carbone c’è soprattutto la necessità di compensare le intermittenze a cui sono soggette le fonti rinnovabili, garantendo la sicurezza dell’offerta di fronte a una domanda di elettricità in forte aumento (+6,8 per cento nel 2024, e si prevede una crescita simile quest’anno, ben al di sopra di quella del pil nazionale), in seguito all’espansione della produzione manifatturiera, alla progressiva elettrificazione di molti settori (vedi il successo delle auto con motore elettrico) e alla crescita dell’intelligenza artificiale, soprattutto dopo la comparsa della startup Deepseek. La Cina non è un’eccezione. Tempo fa Economica ha parlato del caso dell’India in quest’articolo. Secondo l’Agenzia internazionale per l’energia (Iea), nel 2024 il carbone si è confermato tra le fonti più richieste e quindi, visto che la sua domanda sembra inarrestabile, è ancora troppo presto per consegnare questa fonte fossile alla storia. L’anno scorso, scrive ancora Bloomberg, sono stati venduti circa 8.770 milioni di tonnellate di carbone, contro le 8.680 del 2023: la differenza è pari all’incirca alla domanda del Giappone, il quarto consumatore mondiale di carbone, e degli Stati Uniti. L’elettricità generata grazie al carbone nel 2024 ha raggiunto la quota record di 10.700 terawattora. E tutto questo non è destinato a finire: l’Iea prevede che la domanda cinese di carbone continuerà a battere record almeno fino al 2027. La verità è che, come sottolinea lo storico britannico Adam Tooze, la sfida della transizione energetica – sostituire completamente le fonti fossili con quelle rinnovabili – è particolarmente impegnativa, perché non ha precedenti nella storia dell’umanità. In genere si racconta l’evoluzione dell’energia come una “serie di transizioni” in cui una fonte nuova sostituisce quella vecchia: la prima avvenne quando la forza fisica, il vento e l’energia idraulica cedettero il passo al carbone; e la seconda quando arrivarono il petrolio e il gas. La terza transizione è quella caratterizzata dall’avvento delle fonti rinnovabili. Ma in realtà, spiega Tooze recensendo un saggio dello storico francese Jean-Baptiste Fressoz, non si è trattato di vere e proprie sostituzioni, bensì di accumulazioni: le fonti nuove non hanno sostituito del tutto quelle vecchie, ma vi sono sovrapposte: “L’uso del carbone non fece finire il consumo di legname; l’arrivo del petrolio non fece sparire il carbone”. Invertire la tendenza all’accumulazione nella storia delle fonti energetiche richiede quindi una drastica rottura con il passato. Cosa non facile da realizzare. Questo testo è tratto dalla newsletter Economica. Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it Sorgente ↣ : Il carbone resiste grazie alla Cina – Alessandro Lubello [...] Read more...
Frank8 Marzo 2025InternazionaleIl 4 marzo sono entrati in vigore i dazi imposti dall’amministrazione Trump sulle merci provenienti dal Canada e dal Messico e sono aumentati quelli già esistenti sui prodotti che arrivano dalla Cina. Il Canada ha risposto imponendo dazi del 25 per cento sulle merci provenienti dagli Stati Uniti: con effetto immediato su prodotti per un valore complessivo di 21 miliardi di dollari all’anno, mentre su altri 107 miliardi di dollari di prodotti entreranno in vigore il 25 marzo. La Cina ha deciso di imporre dazi del 10 o del 15 per cento su una serie di prodotti agricoli e alimentari provenienti dagli Stati Uniti (tra gli altri pollo, maiale, grano, mais, soia, frutta e verdura e cotone). Lo stesso giorno la presidente messicana Claudia Sheinbaum ha reso noto in un comunicato che aspetterà fino a domenica per annunciare quale sarà la risposta del suo governo alle misure annunciate da Washington. “È inconcepibile”, ha detto, “che non si pensi al danno che l’aumento dei prezzi dei beni prodotti nel nostro paese causerà sia ai cittadini sia alle aziende statunitensi, né al danno provocato dalla perdita di posti di lavoro che ci sarà in entrambi i paesi. Nessuno vince con questa decisione, che anzi si ripercuote contro i popoli che rappresentiamo”. Per giustificare l’imposizione dei dazi, annunciata a febbraio ma poi rimandata a patto che il Messico rispettasse alcune condizioni, la Casa Bianca ha detto che il vicino del sud non aveva fatto abbastanza per combattere il traffico di droga, soprattutto di fentanyl – un potente oppioide sintetico – e per frenare l’arrivo di migranti alla frontiera. In particolare, secondo Trump “i cartelli della droga operano senza ostacoli, perché hanno una relazione inaccettabile con il governo” mentre le autorità messicane darebbero “rifugio” ai narcotrafficanti. Un’allenaza del genere, ha sottolineato la Casa Bianca, mette in pericolo la sicurezza nazionale degli Stati Uniti e “bisogna quindi sradicare l’influenza di questi pericolosi cartelli della droga”. Sheinbaum ha definito “diffamatorio, offensivo e senza nessuna base” il comunicato e ha annunciato delle contromisure che avrebbe comunicato nel dettaglio il 9 marzo. La presidente messicana ha preso tempo, spiega il giornalista Daniel Pardo su Bbc mundo. Rimandare l’annuncio di qualche giorno è stato un modo per dare alle delegazioni di negoziatori il tempo di dialogare in cerca di concessioni e compromessi per evitare i dazi. Sul tavolo delle trattative Sheinbaum ha giocato varie carte: aver estradato negli Stati Uniti 29 persone detenute in Messico per narcotraffico e altri crimini, tra cui Rafael Caro Quintero, ex leader del cartello di Guadalajara che ha evitato l’estradizione per quarant’anni dopo aver ucciso nel 1985 Enrique “Kiki” Camarena, un agente della Drug enforcement administration (Dea, l’agenzia antidroga statunitense); aver ridotto il flusso di migranti irregolari al confine e aver sequestrato decine di tonnellate di fentanyl. Evidentemente la strategia ha funzionato, perché ieri Trump ha annunciato la sospensione di un mese dei dazi su alcuni prodotti provenienti dal Messico e dal Canada, in particolare quelli che si commerciano in base alle regole del Trattato di libero scambio tra Messico, Stati Uniti e Canada (Usmca), firmato dallo stesso leader repubblicano durante il suo primo mandato. In un post pubblicato sul social network Truth, Trump ha scritto: “Dopo aver parlato con la presidente Sheinbaum ho deciso che il Messico non dovrà pagare dazi su nessun prodotto che ricade nell’accordo Usmca. Quest’accordo è valido fino al 2 aprile. L’ho fatto per rispetto verso la presidente Sheinbaum. Stiamo lavorando duramente insieme al confine, per impedire l’ingresso di migranti irregolari negli Stati Uniti e per fermare il fentanyl. Grazie presidente Sheinbaum per il suo impegno e la sua collaborazione”. pubblicità Come ha fatto la leader messicana a trasformare quella che sembrava una tormenta perfetta in un successo per il suo governo, almeno per il momento?, si chiede Pardo sempre su Bbc mundo. Da una parte sta cercando di convincere Trump che gli Stati Uniti, per rafforzare la loro industria e la loro economia, hanno bisogno del Messico; dall’altra la politica di sicurezza del suo governo – che si differenzia da quella del predecessore López Obrador ispirata al motto “abbracci e non pallottole” – va maggiormente incontro alle esigenze del vicino del nord. Il 4 marzo, quando la Casa Bianca ha annunciato i dazi, Sheinbaum ha convocato i messicani nella grande piazza dello Zócalo a Città del Messico per ascoltare le contromisure che avrebbe annunciato. Ora che i dazi sono stati revocati, l’evento si svolgerà lo stesso: “Faremo una festa, celebreremo l’accordo che abbiamo raggiunto e inviteremo dei gruppi musicali per festeggiare”, ha detto la presidente. “Che vengano tutti gli abitanti dei paesi, sono la parte migliore del Messico”, ha aggiunto riferendosi ai contadini che avevano già comprato il biglietto per raggiungere la capitale. Per ora Sheinbaum ha tutte le ragioni di festeggiare. Ha ottenuto una vittoria diplomatica e la sua popolarità, già alta, è aumentata: otto messicani su dieci sostengono le sue politiche. Questo testo è tratto dalla newsletter Sudamericana. Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it Sorgente ↣ : Passi indietro sui dazi al Messico – Camilla Desideri [...] Read more...
Frank8 Marzo 2025InternazionaleCome impedire una guerra quando due potenze si convincono che lo scontro sia inevitabile? È il caso degli Stati Uniti e della Cina, avversari dichiarati e allo stesso tempo legati da una molte relazioni. Mentre l’Europa è concentrata sulla minaccia russa, Washington è ossessionata dall’ascesa di Pechino. La risposta del ministro del commercio Wang Wentao ai nuovi dazi introdotti da Trump è di una brutalità sorprendente: “Se gli Stati Uniti insisteranno nel portare avanti una guerra commerciale o qualsiasi altro tipo di conflitto, la Cina si batterà fino all’ultimo”. Il tono aggressivo di Pechino nasce da alcune dichiarazioni che il segretario alla difesa statunitense Pete Hegseth aveva rivolto agli europei, sottolineando che a suo parere lo scontro con la Cina è “inevitabile”, e che gli Stati Uniti hanno bisogno di conservare in quest’ottica le armi che producono, invece di inviarle in Europa. Parole a dir poco raggelanti. Sotto l’amministrazione Biden gli Stati Uniti e la Cina avevano tentato a più riprese, senza troppo successo, di definire le regole del gioco per restare rivali strategici senza necessariamente farsi la guerra. I contatti tra militari erano ripresi ed erano state avviate alcune consultazioni, come ai tempi della guerra fredda tra Washington e Mosca. Questo, però, non ha impedito l’imposizione di sanzioni nel campo della tecnologia da una parte e dall’altra, e anche una serie di scambi di “cortesie” in un quadro più o meno controllato. Ma con l’arrivo di Trump le sottigliezze diplomatiche non hanno più diritto di esistere. Il nuovo presidente adora gli attacchi brutali e umilianti. L’aggiunta di un altro 10 per cento sui dazi nei confronti della Cina (per un totale del 20 per cento) arriva proprio nel momento in cui a Pechino comincia l’appuntamento politico dell’anno, con la doppia sessione di sedute del Congresso nazionale del popolo e della Conferenza politica consultiva del popolo. È una mossa incosciente, oltre che una provocazione, e quindi la risposta non poteva che essere perentoria e immediata. Anche in Cina, d’altronde, l’opinione pubblica non apprezza la prepotenza di Washington. Esiste davvero il rischio dello scoppio di un conflitto? Le guerre si dividono tra quelle che vengono dichiarate (come l’invasione russa dell’Ucraina) e quelle che non si riesce a impedire. Un esempio: qualche giorno fa gli Stati Uniti hanno confermato un trattato di alleanza con le Filippine. Può sembrare una notizia di secondo piano, ma l’arcipelago situato nel Mar cinese meridionale è uno dei luoghi (insieme a Taiwan e al mar del Giappone) dove potrebbe effettivamente esplodere un conflitto. La Cina rivendica una zona marittima che sconfina nelle acque territoriali filippine. In questo momento si verificano regolarmente scontri (moderati) tra i due eserciti, ma cosa succederebbe se un giorno uno di questi incidenti degenerasse provocando vittime? pubblicità I leader cinesi sono convinti da anni che la guerra con gli Stati Uniti sia inevitabile, e si preparano allo scontro. Questo sentimento sembra ormai condiviso dalla nuova amministrazione a Washington, che non intende permettere a Pechino di conquistare lo status di prima potenza mondiale. Il governo cinese si chiede se le pressioni attuali siano il preludio a un confronto militare o se invece l’obiettivo sia quello di preparare un grande deal, un accordo di quelli che piacciono tanto a Trump. Questa incertezza è uno strumento nelle mani del presidente-affarista, ma allo stesso temo alimenta il rischio di uno scontro tra due paesi che da tempo giocano con il fuoco della guerra. (Traduzione di Andrea Sparacino) Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it Sorgente ↣ : Pechino e Washington giocano con il fuoco della guerra – Pierre Haski [...] Read more...
Frank8 Marzo 2025InternazionaleIl 7 marzo le forze di sicurezza siriane hanno lanciato una grande operazione di rastrellamento nell’ovest della Siria in seguito ai combattimenti con i miliziani fedeli all’ex presidente Bashar al Assad, che hanno causato più di settanta morti, secondo l’ong Osservatorio siriano per i diritti umani. Il ripristino della sicurezza è la sfida più urgente per le nuove autorità siriane, al potere da quando una coalizione ribelle ha deposto Assad, l’8 dicembre. “In ventiquattr’ore i combattimenti hanno causato 71 morti, tra cui 35 membri delle forze di sicurezza, 32 combattenti fedeli ad Assad e quattro civili”, ha affermato l’ong. Secondo l’ong, ci sono anche decine di feriti e prigionieri su entrambi i fronti. Ascolta | La puntata del Mondo sulla situazione politica in Siria con il governo ad interim di Ahmed al Sharaa “Una grande operazione di rastrellamento è cominciata nelle città, nei villaggi, nelle località e nelle aree montuose delle regioni di Latakia e Tartus, dopo l’arrivo di rinforzi militari”, ha riferito la mattina del 7 marzo l’agenzia di stampa ufficiale Sana, citando una fonte delle forze di sicurezza. Secondo questa fonte, l’operazione sta prendendo di mira “le milizie di Assad e tutti quelli che le hanno sostenute”. Il ministero della difesa ha confermato l’invio di rinforzi nelle città di Latakia e Tartus “per ripristinare la sicurezza”. Le violenze sono cominciate nella regione di Latakia, una roccaforte della minoranza alawita a cui appartiene anche il presidente deposto. I combattimenti più intensi si sono verificati nella città di Jable e nei villaggi vicini alla costa. “In un attacco pianificato con cura alcuni gruppi di miliziani fedeli ad Assad hanno attaccato le nostre postazioni nell’area di Jable”, ha dichiarato Mustafa Kneifati, responsabile della sicurezza a Latakia. Secondo l’Osservatorio siriano per i diritti umani, “l’attacco è stato il più violento contro le nuove autorità dalla caduta di Assad”. Il 6 marzo le autorità hanno proclamato un coprifuoco a Latakia e Tartus, oltre che in una parte della regione di Homs. Sorgente ↣ : Settantuno morti nei combattimenti più violenti in Siria dalla caduta di Assad [...] Read more...
Frank7 Marzo 2025InternazionaleIl 6 marzo la Guyana ha presentato ricorso alla Corte internazionale di giustizia (Cig) contro il Venezuela, che punta a organizzare delle elezioni nella regione contesa dell’Esequibo. La regione, ricca di petrolio, è amministrata dalla Guyana ma rivendicata da Caracas. Il ministero degli esteri di Georgetown ha chiesto alla Cig, il principale organo giudiziario delle Nazioni Unite, di “ordinare al Venezuela di astenersi da qualsiasi azione sul territorio sovrano della Guyana”. È la seconda volta che la Guyana presenta ricorso alla Cig contro il Venezuela. Alla fine del 2023 i giudici avevano ordinato a Caracas di “astenersi da qualunque azione che possa alterare la situazione nella regione contesa”. Il Venezuela ha fissato per il 25 maggio le elezioni per il rinnovo dei governatori dei suoi più di venti stati, precisando che si svolgeranno anche nell’Esequibo, una regione di 160mila chilometri quadrati sulla quale Caracas ha proclamato la propria sovranità nel 2024, in seguito a un referendum organizzato in Venezuela. Il governo venezuelano non ha chiarito chi potrà votare e come funzionerà lo scrutinio nella regione, che ha 125mila abitanti, cioè un quinto della popolazione della Guyana. Caracas sostiene che un accordo firmato a Ginevra nel 1966, prima dell’indipendenza della Guyana, ponga le basi di una soluzione negoziata della disputa al di fuori della Cig, e che il fiume Esequibo costituisca un confine naturale, come nel settecento all’epoca dell’Impero spagnolo. La Guyana sostiene invece che il confine attuale, risalente all’epoca della colonizzazione britannica, sia stato fissato definitivamente nel 1899 da un tribunale arbitrale di Parigi. La disputa si è intensificata dopo che nel 2015 l’azienda petrolifera statunitense ExxonMobil ha scoperto alcuni giacimenti di petrolio al largo delle coste dell’Esequibo. Nel dicembre 2023 il presidente della Guyana Irfaan Ali e il suo collega venezuelano Nicolás Maduro avevano concordato che i due paesi non avrebbero “usato la forza l’uno contro l’altro in nessuna circostanza, né direttamente né indirettamente”. Sorgente ↣ : La Guyana denuncia il Venezuela alla Cig per le elezioni in una regione contesa [...] Read more...
Frank7 Marzo 2025InternazionaleDa Nothing dei Darkside a End of the middle​ di Richard Dawson. Le recensioni della stampa straniera. Leggi Sorgente ↣ : Gli album da ascoltare   [...] Read more...
Frank7 Marzo 2025InternazionaleIl 7 marzo la giustizia britannica ha confermato in appello pesanti pene detentive per sedici attivisti dell’organizzazione Just stop oil, anche se sei di loro se le sono viste ridurre. I sedici attivisti erano stati condannati in primo grado a pene tra i quindici mesi e i cinque anni di prigione per aver partecipato a una serie di iniziative di protesta, tra cui il blocco di un’autostrada vicino a Londra, una sentenza che aveva scioccato le ong per la difesa dell’ambiente. Per quanto riguarda i sei che passeranno meno tempo dietro le sbarre, cinque erano stati condannati nel luglio 2024 a pene tra i quattro e i cinque anni di prigione. Tra loro c’è il fondatore di Just stop oil Roger Hallam. “Si tratta delle pene più dure mai comminate per reati di questo tipo nella storia moderna del Regno Unito”, aveva dichiarato Danny Friedman, uno degli avvocati degli attivisti, durante un’udienza del processo d’appello a gennaio. Subito dopo la lettura della sentenza, circa venti attivisti si sono alzati dai banchi e hanno voltato le spalle alla giudice Sue Carr, indossando magliette con la scritta “Corruzione in tribunale”. “Nonostante i modesti sconti di pena concessi in appello, le sentenze di primo e secondo grado rimangono senza precedenti e non dovrebbero aver posto in una democrazia come la nostra, in cui il diritto di manifestare è garantito”, ha commentato Areeba Hamid, codirettrice esecutiva di Greenpeace Uk. Katie de Kauwe, avvocata di Friends of the earth, che ha partecipato al ricorso in appello, ha però sottolineato che “almeno la sentenza ha riconosciuto che una condanna per una manifestazione pacifica deve tenere conto delle motivazioni degli accusati e delle tutele garantite dalla Convenzione europea dei diritti umani”. Secondo le ong ambientaliste, la sentenza avrà forti ripercussioni sul diritto a partecipare a manifestazioni pacifiche nel Regno Unito. La procura ha però sostenuto che gli attivisti di Just stop oil abbiano “oltrepassato i limiti della ragionevolezza”, sottolineando la “pericolosità delle loro azioni”. Just stop oil, un’organizzazione britannica nota per le sue azioni spettacolari nei musei e durante eventi sportivi e spettacoli, chiede al governo di mettere al bando i combustibili fossili entro il 2030. Sorgente ↣ : La giustizia britannica condanna sedici attivisti di Just stop oil [...] Read more...

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