Il nuovo ordine mondiale va in scena a Jeddah e Parigi – Pierre Haski

Due città, due contesti diversi. A Jeddah, in Arabia Saudita, l’11 marzo il presidente ucraino Volodymyr Zelenskyj incontra per la prima volta gli statunitensi dopo l’umiliazione subita alla Casa Bianca e la sospensione degli aiuti militari e il sostegno dell’intelligence al suo paese.

Allo stesso tempo, circa trenta paesi si ritroveranno a Parigi senza gli Stati Uniti per parlare di Ucraina, in gran parte tra capi di stato maggiore. Tra i temi in discussione ci saranno l’aiuto all’esercito di Kiev durante e dopo la guerra, e la possibilità di inviare una forza europea nel paese, il cui obiettivo non sarà quello di combattere ma di garantire un cessate il fuoco. Emmanuel Macron prenderà la parola davanti agli alti ufficiali europei. È il segno di uno sviluppo inedito.

I due appuntamenti non hanno la stessa natura, ma entrambi nascono da una frenesia diplomatica, specchio di un mondo in subbuglio, in cui svaniscono i punti di riferimento e gli alleati di ieri diventano i nemici di oggi, o smettono di essere affidabili.

Dopo essere stato cacciato in malo modo dalla Casa Bianca, Zelenskyj è stato sottoposto a una pressione enorme. Da allora ha moltiplicato i gesti concilianti, consapevole del fatto che l’Europa non è nelle condizioni di sostituire gli Stati Uniti. Soprattutto, il presidente ucraino vuole cercare di avere un peso sulla trattativa imminente fra Trump e Putin.

Ma Washington impone a Kiev un gioco sadico. La sospensione degli aiuti militari, in un momento in cui la Russia non sembra avere intenzione di fermarsi, è una pugnalata alle spalle. La battaglia è anche psicologica: il 9 marzo, su X, è andato in scena uno scontro tra Elon Musk, proprietario della piattaforma e personaggio chiave dell’amministrazione Trump, e il ministro degli esteri polacco
Radosław Sikorski.

Il ministro ha reagito con sdegno alla minaccia velata del miliardario di privare l’esercito ucraino della rete satellitare Starlink. Il miliardario gli ha risposto invitandolo a calmarsi e definendolo small man, piccolo uomo. Sikorski ha chiesto quindi rispetto nei rapporti tra alleati. E sarebbe il minimo, in effetti.

L’Europa è all’altezza della situazione? La mobilitazione all’interno dell’Unione europea è senza precedenti, in particolare sulle questioni legate alla difesa. Non avevamo mai visto una simile collaborazione tra francesi e britannici, soprattutto dopo la Brexit.

Resta il fatto che molti stati europei non hanno ancora superato il trauma della brutalità di Trump, orfani della protezione statunitense di cui hanno goduto per decenni. Ancora oggi, alcuni paesi sono in bilico tra il rifiuto della realtà e la paura di assumersi troppi rischi. In ogni caso, l’idea è quella di permettere a un gruppo di nazioni “volenterose” di andare avanti senza aspettare un consenso unanime, che sembra impossibile.

L’Unione cerca di conquistare un posto al tavolo dei negoziati tra Mosca e Washington per evitare che Trump, nella sua foga di ottenere la pace che aveva promesso di realizzare in “24 ore”, ceda sui punti essenziali, come la smilitarizzazione dell’Ucraina (che sarebbe un invito a riattaccarla in seguito) o le garanzie di sicurezza che gli europei sono pronti a fornire.

In questa confusione sta prendendo forma il nuovo ordine mondiale, non più basato sulle alleanze e sul diritto, ma sui rapporti di forza.

E il messaggio dei capi dello stato maggiore riuniti a Parigi è chiaro: noi esistiamo.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

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