«La regione del Kursk presto sarà liberata». Le voci insistenti degli ultimi giorni, che parlavano di una ritirata progressiva delle forze ucraine, sono ora confermate. La regione simbolo della controffensiva di Kiev sta per cadere nuovamente nelle mani del Cremlino, con l’aiuto delle truppe inviate dall’alleato nordcoreano. «Il comando del gruppo di truppe Nord ha riferito al presidente russo Vladimir Putin che sono entrati nella fase finale dell’operazione per liberare il territorio della regione di Kursk dalle forze armate ucraine», ha confermato il portavoce del Cremlino Dmitry Peskov. E ora il presidente ucraino Volodymyr Zelensky, che in Arabia Saudita tramite i suoi emissari sembra essere riuscito a trovare un punto di contatto con Washington, ha una carta in meno da poter giocare al tavolo delle trattative.
Il conflitto nel Kursk, la sorpresa e la risposta russa
Sette mesi di combattimenti feroci, dallo scorso 6 agosto a oggi, per «ristabilire la giustizia». Quei quasi 1.400 chilometri quadrati e quei 100 villaggi solo dieci anni fa, durante il conflitto nel 2014, la Russia aveva sottratto all’Ucraina. Una mossa inaspettata, che aveva colto di sorpresa Mosca aprendo un nuovo fronte di battaglia. Azione per il morale e diversiva, con cui Zelensky sperava di distogliere una parte delle truppe russe dal fronte interno. Ora, però, l’Ucraina sembra costretta ad alzare bandiera bianca. Le forze del Cremlino, con l’appoggio degli uomini inviati dalla Corea del Nord grazie al sodalizio tra i presidenti Vladimir Putin e Kim Jong-Un, hanno accerchiato l’esercito di Kiev. Una delle ultime roccaforti ucraine, la cittadina di Sudzha, è stata riconquistata da Mosca. E ieri, mercoledì 12 marzo, lo stesso Putin in tenuta militare ha certificato l’avanzata russa visitando la regione. Il messaggio a Kiev è chiaro: c’è il piano dei negoziati, che sembra iniziare a sorridere a Kiev, e c’è il piano della battaglia.
L’«arma di scambio» persa da Zelensky
Il messaggio del presidente russo ai suoi soldati è stato semplice e conciso: finire il lavoro il prima possibile. Anche perché, con il tavolo di pace che sembra una prospettiva sempre più concreta, togliere il Kursk a Zelensky significa privarlo di un’arma di contrattazione. Lo stesso presidente ucraino, secondo alcuni suoi funzionari, aveva giustificato l’offensiva nella regione russa come la possibilità di conquistare una merce di scambio da cedere al Cremlino in cambio dei territori ucraini ora in mano ai russi. E invece la prima invasione in Russia dall’epoca della Seconda Guerra Mondiale si è conclusa, così pare, in un nulla di fatto. A dare manforte a Kiev in fase di trattative, ora, può subentrare solo Washington. Il cessate il fuoco proposto ieri dall’Ucraina sembra aver trovato orecchie disponibili nella Casa Bianca, tanto che Donald Trump ha subito rivolto le sue minacce al Cremlino. Rimane da capire quanto siano concrete.