I due volti della Siria – Francesca Gnetti

Nel giro di qualche giorno la Siria ha mostrato due volti, il peggiore e quello della speranza, scrive Le Monde nel suo editoriale del 12 marzo. Fa riferimento alle violenze scoppiate alla fine della settimana scorsa nella regione costiera intorno a Latakia, nel nordovest del paese, e all’accordo annunciato il 10 marzo tra il presidente ad interim Ahmed al Sharaa e Mazloum Abdi, il capo delle Forze democratiche siriane (Fds, a maggioranza curda), che controllano il nordest della Siria. Gli avvenimenti si sono svolti in modo precipitoso e confuso e molti dettagli devono ancora essere chiariti. Ecco di seguito qualche ricostruzione e commento.

Cosa è successo nell’ovest del paese

Le violenze più gravi dalla caduta del regime di Bashar al Assad sono scoppiate il 6 marzo dopo che circa quattromila miliziani fedeli all’ex presidente hanno attaccato le forze di sicurezza siriane a Jable, nella regione di Latakia, roccaforte della minoranza alawita a cui appartiene anche Assad. Le autorità di Damasco hanno mandato i rinforzi e migliaia di combattenti da tutto il paese, tra cui anche civili armati, si sono riversati nelle zone costiere per respingere i lealisti. Gli scontri sono durati giorni e i civili sono stati attaccati con uccisioni mirate ed esecuzioni sommarie. Secondo l’Osservatorio siriano per i diritti umani, un’ong con sede a Londra che conta su una rete capillare sul territorio, i morti in tutto sono stati più di 1.500, di cui oltre 1.300 civili.

I mezzi d’informazione e le organizzazioni per i diritti umani stanno raccogliendo testimonianze delle violenze e delle uccisioni indiscriminate contro i civili alawiti. Ma è ancora difficile attribuire responsabilità a un gruppo specifico. Secondo alcune ricostruzioni tra i combattenti arrivati a sostegno delle forze di sicurezza c’erano jihadisti provenienti dall’Asia centrale e alcune fazioni affiliate all’Esercito nazionale siriano, un gruppo armato sostenuto dalla Turchia. Ad avere commesso le azioni più efferate sarebbero state in particolare due divisioni che sono già sottoposte alle sanzioni degli Stati Uniti con l’accusa di aver commesso gravi violazioni dei diritti umani, tra cui stupri e torture. Il governo di Damasco sta cercando di incorporare queste fazioni nel nuovo esercito, ma ha ancora un controllo limitato su di loro.

Come hanno reagito le autorità

Il 10 marzo il ministero della difesa siriano ha annunciato la fine dell’operazione militare nell’ovest del paese. Al Sharaa si è impegnato a “perseguire i responsabili delle uccisioni di civili” e ha lanciato un appello al “mantenimento dell’unità nazionale e della pace civile”. Inoltre ha annunciato la creazione di un comitato composto da cinque giudici, un responsabile della sicurezza e un avvocato per indagare sugli scontri e riferire le sue conclusioni entro un mese, e di un comitato supremo per la pace civile che ha l’obiettivo di rispondere alle preoccupazioni della comunità alawita e di garantire la sua sicurezza.

Quali sono i problemi principali da affrontare

Questo episodio dimostra la difficoltà del governo di Damasco di controllare delle fazioni armate che hanno diverse alleanze e sono attive da anni su un territorio disomogeneo, multiconfessionale e multietnico. Fin dal suo insediamento a dicembre Al Sharaa ha sempre detto di voler armonizzare le varie realtà della Siria e di voler garantire i diritti delle minoranze. Ma è un’impresa estremamente difficile riunire e riappacificare un paese uscito da cinquant’anni di una dittatura sanguinosa e da quasi quattordici anni di guerra civile, repressione e massacri, in una situazione economica disastrosa, segnato dalle divisioni e anche da una certa diffidenza nei confronti del nuovo potere, di matrice islamista.

Quale accordo è stato firmato con i curdi

L’accordo, che sarà applicato entro un anno, prevede di integrare all’interno dello stato tutte le istituzioni civili e militari dell’amministrazione autonoma curda del nordest della Siria, compresi i valichi di frontiera, gli aeroporti e i giacimenti di petrolio e gas. Le Fds entreranno quindi nell’esercito siriano. Inoltre stabilisce che la comunità curda è parte integrante dello stato siriano, e questo ne garantisce i diritti costituzionali e di cittadinanza, a lungo negati sotto il regime di Assad. Si riconosce anche il diritto di tutti i siriani di partecipare al processo politico e a tutte le istituzioni statali in base alle competenze, indipendentemente dalla provenienza religiosa ed etnica. È stato concordato anche un cessate il fuoco in tutto il territorio siriano.

Quali sono i punti di debolezza e di forza

Ci sono ancora delle questioni da chiarire. Innanzitutto non si fa riferimento all’autonomia del nordest della Siria, la regione controllata dalle Fds ricca di risorse, in particolare idrocarburi e terreni agricoli, necessarie nella fase di ricostruzione della Siria. Poi non è specificato come si applicherà il cessate il fuoco, se le Fds opereranno come un blocco militare distinto all’interno dell’esercito né se e come saranno integrate nel ministero della difesa. In ogni caso l’accordo è stato accolto positivamente, anche dagli abitanti nel nordest della Siria che sono scesi in strada a festeggiare. Inoltre potrebbe essere replicato in altre aree del paese, in particolare nella zona di Suwayda, a sud, sotto il controllo delle fazioni druse. L’11 marzo Al Sharaa ha ricevuto una delegazione da questa regione e alcuni mezzi d’informazione locali parlano di un accordo in vista.

Qual è il ruolo dei paesi della regione

In un articolo su L’Orient-Le Jour, Soulayma Mardam Bey spiega come varie potenze regionali potrebbero approfittare delle violenze in Siria per rafforzare le divisioni già esistenti. Il primo paese a cercare di riaffermare la sua influenza potrebbe essere l’Iran, che alcuni osservatori hanno accusato di essere dietro gli attacchi contro le forze di sicurezza siriane e che secondo alcuni esperti starebbe cercando di stabilire nel paese una nuova forza alleata. Poi c’è Israele che emerge come “il grande vincitore regionale di questa esplosione di violenza confessionale”, funzionale all’obiettivo di mantenere una Siria debole e decentralizzata alla sua frontiera. Israele ha minacciato d’intervenire direttamente per proteggere la comunità drusa del sud della Siria, che ha forti legami con la popolazione drusa del Golan occupato. La Turchia ha alimentato le tensioni in Siria fin dalla caduta di Assad, riprendendo la sua lotta contro le Fds, e ora potrebbe presentarsi come forza stabilizzatrice e garante della sicurezza, prolungando così la sua presenza militare nel paese vicino. Infine c’è la Russia, grande perdente della caduta del suo alleato Assad, che potrebbe farsi avanti per riaffermare la sua potenza in un momento in cui cerca di conservare le sue basi militari in Siria.

In un editoriale su L’Orient-Le Jour tradotto nel numero di Internazionale in edicola, Anthony Samrani mette in guardia contro l’odio settario, “il veleno più mortale della regione”, che rischia di travolgere le speranze suscitate dalla caduta del regime di Assad. Che siano state coinvolte nelle violenze dei giorni scorsi o siano state sopraffatte dalle loro fazioni più radicali, le autorità di Damasco sono le uniche a poter evitare in questo momento che il paese ripiombi nella guerra civile, fermando gli insorti e consegnando i responsabili delle violenze alla giustizia. Ma anche le potenze regionali e internazionali dovrebbero fare la loro parte. Innanzitutto evitando di soffiare sul fuoco delle tensioni e poi eliminando le sanzioni che strangolano l’economia della Siria. Come spiega l’editoriale di Le Monde, infatti, lo scoppio delle violenze sottolinea anche che l’assenza di un miglioramento della situazione materiale dei siriani “farà il gioco di chi non vuole il successo della transizione in corso”.

Questo testo è tratto dalla newsletter Mediorientale.

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