In queste settimane gli attacchi e le violenze dei soldati e dei coloni israeliani in Cisgiordania si susseguono a un ritmo così incalzante che è difficile stargli dietro. Al Jazeera ci prova documentando i raid, gli arresti e gli assalti avvenuti negli ultimi giorni. Ci sono state incursioni delle forze israeliane nelle città di Al Issawiya e Salfit, vicino a Gerusalemme, e a Nabi Saleh ed El Bireh, nei pressi di Ramallah. L’esercito ha allestito un checkpoint tra il villaggio di Harmala e la città di Tuqu, a sud di Betlemme, fermando veicoli e facendo perquisizioni, e ha mandato rinforzi nel campo profughi di Nur Shams, a Tulkarem, dove sta conducendo un’operazione militare su vasta scala.
I soldati hanno assaltato la casa di Saeed Shtayeh, un prigioniero rilasciato il 15 febbraio nello scambio con gli ostaggi israeliani previsto dall’accordo per il cessate il fuoco nella Striscia di Gaza raggiunto tra Israele e Hamas. Tutta la sua famiglia è stata sfrattata. Inoltre hanno aggredito un uomo di 36 anni a Qalqilya, mandandolo in ospedale. I coloni israeliani, provenienti dall’insediamento illegale di Bein Sin e sostenuti dall’esercito, hanno attaccato un gruppo di palestinesi nella città di Surif, vicino a Hebron. Un altro gruppo di coloni ha aggredito un uomo dentro la sua macchina nei pressi di Betlemme. Aggressioni di coloni si sono verificate anche nel villaggio di Jalud, a sud di Nablus, e in quello di Umm Safa, vicino a Ramallah, dove sono stati appiccati degli incendi.
Nella stessa giornata sono stati arrestati Ahmed Fraseeni, un giovane di Arrabeh, vicino a Jenin, e due bambini, Ubade Gassan Azim e Zaid Nur Ferhat, durante le incursioni nei villaggi di Qusra e Qaryut, a sud di Nablus. La settimana precedente erano state arrestate novanta persone in tutta la Cisgiordania. Secondo la Palestinian prisoner’s society, le forze israeliane hanno arrestato almeno 380 palestinesi da quando hanno lanciato la loro operazione in Cisgiordania dopo l’entrata in vigore del cessate il fuoco nella Striscia di Gaza il 19 gennaio. Di questo passo il numero dei palestinesi che entrano nelle carceri israeliane supererà quello di chi esce nell’ambito dell’accordo di cessate il fuoco: 1.900 entro la prima fase che si dovrebbe concludere all’inizio di marzo.
E non sarebbe la prima volta che succede. In un altro articolo, Al Jazeera parla con Jenna Abu Hasna, ricercatrice di Addameer, un’organizzazione palestinese che monitora arresti e detenzioni nei territori occupati. Abu Hasna denuncia che in passato è capitato più volte che Israele arrestasse di nuovo decine o perfino centinaia di palestinesi rilasciati in base agli accordi di scambio con ostaggi israeliani, a volte subito, a volte dopo mesi o anni. Il soldato israeliano Gilad Shalit, catturato da Hamas nel 2005, fu liberato nel 2011 in cambio di 1.027 prigionieri palestinesi, decine dei quali furono arrestati di nuovo in una serie di raid condotti dall’esercito israeliano senza motivo tre anni dopo.
Israele ha arrestato e riarrestato centinaia di persone in Cisgiordania dopo lo scambio di prigionieri che rientrava nel cessate il fuoco temporaneo raggiunto con Hamas a novembre del 2023. “La tattica di detenere i palestinesi, anche durante un accordo o uno scambio di prigionieri, non è una novità”, conferma Abu Hasna ad Al Jazeera. Israele “continua ad arrestare i palestinesi nello stesso giorno in cui sono rilasciati e a volte anche giorni o anni dopo, perché è questo che fa un’occupazione: viola il diritto internazionale”.
Nell’ultimo mese almeno 150 palestinesi sono stati arrestati nella città di Jenin, dal 21 gennaio bersaglio di un’operazione militare dell’esercito israeliano che si è allargata ad altre zone del nord della Cisgiordania, in particolare ai campi profughi di Tulkarem, Nur Shams e Far’a. Secondo l’Agenzia delle Nazioni Unite che si occupa dei rifugiati palestinesi (Unrwa), l’operazione israeliana è la più lunga in Cisgiordania dai tempi della seconda intifada (tra il 2000 e il 2005) e ha costretto 40mila persone a lasciare le loro case. Gli sfollati hanno trovato rifugio da familiari oppure nelle scuole e in edifici pubblici e fanno affidamento sul sostegno dei comuni e degli abitanti, dato che le attività dell’Unrwa sono state messe al bando da Israele.
Ventimila persone sono fuggite solo dal campo profughi di Jenin. Un articolo del sito indipendente +972 Magazine, accompagnato da una raccolta di foto, racconta che gli abitanti hanno cercato di tornare alle loro case per raccogliere effetti personali, cibo e documenti. Alcuni ci sono riusciti, ma altri sono stati fermati dai soldati israeliani che gli hanno confiscato i beni e gli hanno addirittura sparato contro. “Le storie di sfollamento e di martirio si ripetono e l’occupazione continua a sradicare i palestinesi, lasciando ferite infinite”.
L’Armed conflict location and event data (Acled), un gruppo di monitoraggio delle crisi con base negli Stati Uniti, calcola che in circa un mese l’offensiva israeliana in Cisgiordania ha ucciso quasi settanta persone, 44 delle quali nelle operazioni a Jenin, Tulkarem e Tubas. I dati sono confermati dal ministero della salute palestinese. Tra loro ci sono una bambina di due anni, due donne intorno ai vent’anni, di cui una incinta di otto mesi, e un bambino di dieci anni. Dal 7 ottobre 2023 l’esercito e i coloni israeliani hanno ucciso almeno 915 palestinesi, tra cui 182 bambini e minori, e ne hanno feriti 7.616. Almeno 15mila persone sono state arrestate.
Negli ultimi giorni i raid dell’esercito hanno colpito in particolare la città di Nablus, sempre nel nord della Cisgiordania, mentre continuano gli attacchi dei coloni e le demolizioni compiute dai militari nell’area a sud di Hebron, soprattutto a Masafer Yatta. Questa zona costituita da una ventina di villaggi dal 2022 è diventata, su ordine della corte suprema israeliana, un’area di addestramento militare. Da allora l’esercito conduce delle demolizioni il cui ritmo si è accelerato negli ultimi mesi e soprattutto nelle ultime settimane.
Il leader del consiglio regionale Nidal Younis ha detto ad Haaretz che si tratta dell’ondata di demolizioni più vasta degli ultimi due anni e che a differenza del passato le operazioni si svolgono senza preavviso e anche con il cattivo tempo. Oltre alle abitazioni sono distrutte le tende e le grotte dove gli abitanti hanno cercato rifugio e le infrastrutture idriche ed elettriche. Alcuni edifici sono stati donati da paesi stranieri, ma questo non li ha risparmiati.
Diversi osservatori parlano ormai di “gazificazione” della Cisgiordania, cioè la replica da parte dell’esercito israeliano delle stesse tecniche e strategie usate nell’enclave palestinese negli ultimi anni e in particolare dopo il 7 ottobre 2023. Lo fa anche un editoriale di Haaretz pubblicato in questo numero di Internazionale, descrivendo come il coprifuoco, le sparatorie, la presenza di cecchini, le distruzioni e le interruzioni nella fornitura elettrica e idrica stanno costringendo le persone a lasciare le loro case. A tutto questo si aggiunge un allentamento delle regole d’ingaggio in Cisgiordania per cui ora è consentito sparare per uccidere chiunque “interferisce sul terreno”.
Secondo Haaretz Israele ha visto la guerra a Gaza “come un’opportunità per cambiare anche la situazione in Cisgiordania”, un pretesto per “distruggere le infrastrutture, cacciare la popolazione e istituire una presenza militare permanente”. Queste manovre sono acclamate dai coloni e dagli alleati di estrema destra del primo ministro Benjamin Netanyahu, che vogliono eliminare per sempre la possibilità di creare uno stato palestinese.
Un altro articolo di Haaretz racconta che non sono solo le tattiche di combattimento a essere state trasportate da Gaza alla Cisgiordania, ma anche i metodi di umiliazione. A fine gennaio è circolato online un video in cui si vede un soldato israeliano armato di tutto punto e con indosso la tuta mimetica. Sotto la giacca spunta una sottoveste rosa. Si trova dentro una casa e la telecamera lo segue dalla camera da letto fino al salotto, pieno di altri soldati, uno dei quali è comodamente seduto su un divano. Il soldato gli si avvicina e mima uno spogliarello, si toglie la giacca e lo zaino e mostra la sottoveste e un reggiseno bordeaux che ha messo sopra i suoi vestiti.
Il video è stato girato in una casa palestinese a Betlemme, i cui abitanti erano stati costretti a fuggire improvvisamente, come dimostrano i dettagli dell’interno: i vestiti che s’intravvedono appesi dentro un armadio, un accappatoio rosa agganciato allo stipite di una porta, una scopa appoggiata a un muro. Ricorda i filmati pubblicati sui social network dai soldati israeliani che durante l’offensiva nella Striscia di Gaza si introducevano nelle case abbandonate dai palestinesi rubando tappeti, provviste, gioielli o frugando tra i prodotti cosmetici e la biancheria intima delle donne.
Nell’articolo su Haaretz, Yoana Gonen condanna questi “crimini di guerra” definendoli l’ennesima dimostrazione del modo in cui i corpi delle donne sono usati in guerra come simbolo di dominio e come modo per umiliare il nemico: “In queste situazioni, la profanazione del corpo rappresenta la profanazione dell’intera nazione e la violenza di genere diventa così un’arma tattica, progettata per terrorizzare la popolazione e rubarle la dignità e l’umanità”.
L’uso della biancheria intima femminile per ridicolizzare il nemico è alimentato dalla stessa logica tossica e non è un caso, nota Gonen, che si è trasformato in una sorta di rito di passaggio per i soldati israeliani: “La possibilità per i soldati di accedere agli scaffali della biancheria intima delle donne palestinesi e di farne ciò che vogliono simboleggia il loro totale controllo sulla vita e sul destino dei palestinesi di Gaza e della Cisgiordania, anche negli spazi più intimi, mentre calpestare pubblicamente la privacy, come mezzo per intrattenere le masse, incoraggia la disumanizzazione dei palestinesi e la loro riduzione a oggetti privi di diritti e di autonomia”.
Ma, avverte Gonen, tutto questo potrebbe avere effetti negativi anche nella società israeliana. Perché centinaia di uomini convinti che sia divertente “usare la sessualità e la biancheria intima di donne indifese per umiliarle in pubblico non lo dimenticheranno di colpo quando si toglieranno l’uniforme”. E una società che resta in silenzio di fronte a questi spettacoli disgustosi non è una buona società per le donne.
Questo testo è tratto dalla newsletter Mediorientale.
Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo.
Scrivici a: posta@internazionale.it
Leggi tutto ↣ : La Cisgiordania sotto attacco – Francesca Gnetti