Moby Prince, la strage senza colpevoli – Daria Scolamacchia (Foto)

La sera del 10 aprile 1991 il traghetto Moby Prince della compagnia Nav.ar.ma. (Navigazione arcipelago maddalenino), con 141 persone a bordo, partì dal porto di Livorno diretto a Olbia. Dopo pochi minuti, alle 22:25, si scontrò con la petroliera Agip Abruzzo, ancorata nella rada del porto. L’urto provocò una fuoriuscita di petrolio che prese fuoco rapidamente, trasformando l’imbarcazione in una trappola di fiamme e fumo.

L’unico sopravvissuto fu Alessio Bertrand, un giovane mozzo, mentre le altre 140 persone morirono, principalmente a causa delle ustioni e delle esalazioni tossiche. Le prime ricostruzioni ufficiali attribuirono l’incidente a un errore umano del comandante Ugo Chessa, anche ipotizzando che la nebbia avesse ridotto la visibilità e reso inevitabile la collisione. Tuttavia, con il passare degli anni, questa versione ha cominciato a vacillare. Né nelle testimonianze né nei dati meteorologici c’era traccia di nebbia, come hanno dimostrato le indagini successive. Inoltre, i soccorsi, all’inizio rallentati dalla confusione e da errori di valutazione, non furono tempestivi e non si concentrarono subito sull’imbarcazione in fiamme. La difficoltà di comunicazione e gli errori di gestione contribuirono a peggiorare la situazione.

Quella notte alla stazione Livorno radio era in corso un progetto sperimentale che prevedeva la registrazione continua del canale 16 vhf, usato per le emergenze in mare. Alle 22:20 una voce in inglese trasmise un avvertimento incompleto: “The passenger ship, the passenger ship…”(la nave passeggeri, la nave passeggeri…”). Pochi minuti dopo il traghetto fece una chiamata d’emergenza ma nessuno rispose.

Mentre in televisione andava in onda la semifinale della Coppa delle coppe tra Barcellona e Juventus, nella rada c’erano due petroliere dell’Agip e sei navi statunitensi cariche di armi ed esplosivi di ritorno dalla guerra del Golfo. Una presenza che avrebbe richiesto indagini approfondite, ma che è stata trattata con superficialità e reticenza.

Le sentenze del 1997 e del 1999 assolsero tutti gli imputati per insufficienza di prove. Solo nel 2017 una commissione parlamentare ha ribaltato la tesi dell’errore umano attribuito al comandante del Moby Prince, evidenziando una serie di responsabilità mai accertate, dalla gestione delle operazioni di salvataggio alla possibile presenza di altre imbarcazioni coinvolte. Con il passare del tempo il disastro del Moby Prince è stato progressivamente rimosso dalla memoria collettiva.

Il fotografo Emanuele Camerini e la curatrice Chiara Ruberti hanno deciso di ripercorrere questa vicenda nel libro The passenger ship, pubblicato dalla casa editrice Rvm nel novembre 2024 nella collana Le storie della storia. Un lavoro lungo e complesso, che ha richiesto l’analisi di documenti e la ricostruzione dei fatti. “La difficoltà maggiore è stata orientarsi tra testimonianze contrastanti e atti ufficiali spesso incompleti”, raccontano. “Molti elementi fondamentali sono stati trascurati o insabbiati per anni”.

L’idea di questo libro nasce nel 2021, nel trentennale della tragedia. Chiara Ruberti ricorda come, vivendo a Pisa, non lontano da Livorno, il Moby Prince sia sempre stato un argomento ricorrente. “Quando c’è stato l’incidente io avevo dieci anni, non ho una memoria diretta del telegiornale che ne parlò o delle prime pagine dei giornali. Però negli anni successivi ogni estate sono andata in vacanza in Sardegna con i miei genitori e il traghetto che prendevamo partiva dalla banchina davanti a quella dov’era ancorata la carcassa del Moby. Da piccola vedevo questo mostro di ferro abbandonato lì, probabilmente quell’immagine si è sedimentata dentro di me e alla fine è tornata in superficie”. Da quel ricordo è nata la spinta a raccontare la vicenda, subito condivisa con Camerini.

Hanno cominciato la ricerca consultando libri e documentari esistenti, ma si sono accorti che mancava un progetto fotografico approfondito. “Abbiamo deciso di lavorare sulle immagini partendo dal luogo stesso della tragedia, visibile dalla terrazza Mascagni a Livorno”.

Il libro è dedicato ad Angelo Chessa, figlio del comandante del Moby Prince, morto nel 2022. “È stato il primo che abbiamo contattato”, spiega Camerini. “Era molto attivo nella ricerca della verità e nell’opera di riabilitazione della figura di suo padre. L’associazione dei familiari delle vittime che guidava a Milano si concentrava sulle cause dell’incidente, mentre quella livornese si focalizzava su quello che è successo dopo l’incidente, e quindi sulla gestione dei soccorsi. Se avessero lavorato insieme fin dall’inizio, forse si sarebbe arrivati prima a una ricostruzione completa”.

La strage del Moby Prince rimane ancora senza colpevoli. “Non è mai stata riconosciuta come strage”, continua Camerini. “I tribunali hanno insistito sull’imperizia del comandante. La teoria della nebbia è stata smentita già dalla prima commissione parlamentare, eppure nessuno è stato ritenuto responsabile, né il comandante della petroliera né quello della capitaneria di porto, che avrebbe dovuto gestire i soccorsi”. Ruberti aggiunge come molte delle figure chiave siano ormai morte: “Il comandante della petroliera è morto, quello della capitaneria di porto è morto. I membri dell’equipaggio della petroliera sono ancora vivi ma nessuno di loro ha mai parlato”.

Uno degli obiettivi della nuova commissione parlamentare d’inchiesta, nata nell’ottobre 2023, è proprio il riconoscimento del reato di strage, l’unico che non cade in prescrizione e che potrebbe finalmente attribuire responsabilità precise. “Al momento il disastro è considerato solo un incidente”, sottolineano gli autori, evidenziando l’importanza di questo passaggio per rendere giustizia alle vittime e alle loro famiglie.

Più che un’indagine, The passenger ship è un tentativo di ripristinare la memoria di una tragedia dimenticata attraverso materiali diversi: fotografie, testi narrativi, prime pagine di giornale da cui sono state rimosse le immagini, come a voler mostrare i buchi lasciati nelle ricostruzioni ufficiali. “Non vogliamo riscrivere la storia”, precisa Camerini, “ma rimetterne insieme i pezzi”.

L’orizzonte diventa un filo conduttore sia visivo sia concettuale. “I testi sono impaginati sotto; le immagini sopra la linea dell’orizzonte, proprio per evidenziarla. Questa è stata una proposta di Francesca Pignataro, l’art director di Rvm, che noi abbiamo sposato dal primissimo istante”, spiega Ruberti. “È una storia fatta di ciò che si vede e ciò che rimane nascosto, di verità rivelate e omissioni”.

Nel libro le foto di Camerini si alternano a immagini più astratte, tratte da vecchi telegiornali o dalla partita trasmessa in tv quella sera, a sottolineare il contesto mediatico che ha influenzato la narrazione dell’evento. “Ciò che è stato detto dai giornali il giorno dopo l’incidente ha avuto un peso sulle decisioni giudiziarie”, racconta Ruberti, ricordando come ipotesi infondate – dalla nebbia ai presunti errori dell’equipaggio – siano entrate nella memoria collettiva come verità accertate.

Alla base di tutto, però, resta un obiettivo chiaro: ridare dignità alle vittime e restituire loro un posto nella storia. “Questa tragedia è chiamata la ‘Ustica dei mari’, però ha avuto una risonanza che è un centesimo di quella. È una storia che non conosce praticamente nessuno, nonostante sia uno dei più grandi incidenti sul lavoro in Italia, perché la maggior parte, più di sessanta tra le persone che sono morte, erano membri dell’equipaggio, quindi erano in servizio”.

Il volume include un racconto di Emiliano Dominici e un reportage narrativo di Valerio Millefoglie, che ricostruisce con precisione il disastro. “Fin dall’inizio con gli editori di Rvm eravamo d’accordo sul coinvolgimento di autori che potessero contribuire con punti di vista diversi”, aggiunge Ruberti. “Agnese Porto e Giammaria De Gasperis hanno sostenuto la necessità di affiancare un impianto giornalistico alla narrazione visiva, e la scelta di Millefoglie è stata naturale”.

Nel 2024 il lavoro è stato anche esposto al Photo lux festival di Lucca in una mostra collettiva dedicata alle storie d’Italia. “Abbiamo visto quanto questa vicenda sia ancora viva nella memoria delle persone, ma anche quanto poco si sappia sui risultati delle inchieste più recenti”, raccontano gli autori. “Molti ricordano solo la versione diffusa nei giorni successivi all’incidente, senza conoscere i progressi fatti negli anni”.

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