A ottobre del 2024, il premio nobel per la fisica Giorgio Parisi ha scritto un appello alla rivista Nature per ricordare che “è pericoloso fare affidamento esclusivamente sulle aziende per esplorare e controllare” le intelligenze artificiali. “Il laboratorio europeo di fisica delle particelle Cern, vicino a Ginevra, in Svizzera”, prosegue l’appello, è “un modello dell’organizzazione e della portata delle risorse che potrebbero essere necessarie. È il momento che scienziati, governi e cittadini si uniscano in una collaborazione internazionale su larga scala per salvaguardare l’umanità e garantire che il potenziale dell’intelligenza artificiale sia al servizio di tutti”.
L’idea, non nuova, lentamente sta avendo visibilità nel dibattito pubblico: a febbraio del 2025 Parisi ha ribadito la sua posizione in un paio di interviste in Italia, a Repubblica e al Sole 24 Ore. Ne abbiamo accennato esaminando i problemi dell’approccio europeo alle ia. Ma perché è importante?
L’associazione Cairne, a cui aderiscono più di tremila ricercatori europei del settore, spiega quali sarebbero i benefici di un centro di ricerca pubblico in unione Europea: consentire ai paesi europei di padroneggiare la tecnologia invece di subirla; promuovere la collaborazione internazionale, attirando ricercatori da tutti i paesi anziché lasciarseli sfuggire, lasciando loro piena libertà di scegliere gli obiettivi da perseguire nella loro ricerca; permettere di esplorare soluzioni originali e diverse da quelle perseguite dalle grandi aziende unicamente a scopi commerciali; fornire un’infrastruttura di ia al servizio dei ricercatori, dotata di potenza di calcolo, disponibilità di dati e personale tecnico adeguati per esperimenti di larga portata; dare spunti per lo sviluppo di nuove imprese e nuovi prodotti in tutti i campi di attività umana.
Eppure, non tutti ne sono convinti. Tra scetticismi e resistenze – anche interne alla comunità scientifica stessa – vale la pena di individuare le obiezioni e capire se sono pertinenti o se si possono superare. Per farlo, ne abbiamo parlato con il professor Giuseppe Attardi, fra i pionieri della ricerca sulle intelligenze artificiali.
Un’obiezione che viene sollevata è che il ritardo tecnologico dell’Europa nel campo dei large language model e delle intelligenze artificiali generative sia dovuto all’incapacità dei ricercatori europei di coglierne per tempo l’importanza. “In realtà non è così”, dice Attardi. “Abbiamo lavorato agli llm ben prima che diventassero noti al grande pubblico. Nel 2013 ho fatto personalmente una presentazione al convegno dell’Associazione italiana per l’intelligenza artificiale. Dal 2013 ne ho illustrato gli sviluppi, dall’attention ai transformer [vedi glossario della newsletter, ndr], ai primi Gpt, nel mio e in altri corsi universitari. Diverse versioni di language model sono state sviluppate in Europa, alcune anche per l’italiano, come AlBERTo all’Università di Bari. Abbiamo capito molto presto che le dimensioni di questi modelli erano destinate a crescere esponenzialmente e che le risorse per svilupparli non sarebbero state sufficienti. Per questo, già nel 2018, partecipando come rappresentante italiano al G7 dell’ia a Montreal, ho cercato di convincere la delegata della Commissione europea, Lucilla Sioli, della necessità di dotare i ricercatori europei delle infrastrutture di calcolo necessarie per costruire i modelli di ia. Insieme a molti altri ricercatori ci siamo adoperati in tutte le sedi per chiedere che l’Europa fornisse le infrastrutture necessarie per gli sviluppi in corso nell’ia”.
Proprio nel 2018 nasce l’idea di un Cern per le ia, con la creazione di Cairne. “Se nessuno in Europa è stato in grado di produrre per tempo llm come quelli di altri paesi, è proprio perché non avevamo le risorse economiche per farlo”, conclude Attardi, “non perché non ne avessimo colto la portata o non li sapessimo fare”.
Un’altra obiezione è che si tratti di un inseguimento senza speranza agli Stati Uniti o ai modelli cinesi. Però, spiega Attardi, “il valore di un centro del genere non sarebbe solo sviluppare llm ma esplorare nuove direzioni di ricerca, quelle che le aziende private trascurano perché troppo rischiose o poco profittevoli. Oggi la ricerca sull’intelligenza artificiale è dominata quasi esclusivamente dalle architetture transformer. Ma chi dice che questa sia l’unica strada possibile? Chi sta investendo in modelli alternativi? Le grandi aziende tecnologiche competono per il mercato, non per l’innovazione pura”.
Secondo altri critici, anche avendo un supercomputer all’avanguardia, l’Unione europea non potrebbe competere con la potenza di fuoco di aziende come la OpenAi o Google. Anche questa è una semplificazione. La ricerca sulle ia, infatti, non si riduce all’hardware e ai server. Per portarla avanti serve un ecosistema di scienziati, ingegneri e tecnici che lavorino su soluzioni di frontiera.
Al Cern, oggi, lavorano duemilacinquecento persone per progettare, realizzare e gestire esperimenti che hanno prodotto scoperte fondamentali. Se leggiamo i rapporti tecnici con cui le aziende come la OpenAi [un esempio, ndr], Google o DeepSeek illustrano le architetture dei loro modelli, troviamo le firme di decine, a volte centinaia di persone, proprio come accade per gli articoli che descrivono i progetti del Cern. L’assenza di un’infrastruttura che possa attirare talenti nel mondo delle ia ha fatto sì che i migliori ricercatori europei emigrassero negli Stati Uniti o in Asia. Un Cern per l’ia potrebbe invertire questa tendenza, proprio come il Cern ha fatto per la fisica delle particelle, e potrebbe portare la medesima capacità collettiva di innovare.
“Questa quantità di personale tecnico serve per svolgere compiti diversi: dal progetto alla raccolta dei dati, dalla pulizia e preparazione dei dati stessi per l’addestramento, all’architettura e ottimizzazione, dalla messa punto del codice all’infrastruttura distribuita di addestramento, dalla supervisione alla valutazione e ai benchmark, dalla multimodalità alla distillazione, fino alle fasi successive all’addestramento e allo sviluppo su larga scala. La vera differenza con gli attori privati sta qui: mentre le grandi aziende tecnologiche lavorano per migliorare prodotti da immettere sul mercato, un’infrastruttura pubblica potrebbe, invece, concentrarsi sulla ricerca pura, proprio come avviene al Cern, diretto dagli stessi scienziati che ci lavorano e che sviluppano una strategia attraverso un processo di consultazione, tenendo conto delle opportunità scientifiche, dei progressi tecnologici e delle risorse disponibili. Una volta raggiunto il consenso, tutti si impegnano su quegli obiettivi di medio o lungo termine, senza interferenze esterne o dettami di finanziatori politici. Questa libertà di ricerca, oltre ad attrarre talenti con le idee più originali”, dice ancora Attardi, “consentirebbe maggiore flessibilità nei cambi di rotta se apparissero all’orizzonte direzioni più promettenti. Ricordiamo che le reti neurali erano state a lungo snobbate dalla comunità informatica; lo stesso accadde agli studi di Katlin Karikò sull’mrna che portarono ai vaccini contro il Covid”.
Le resistenze alla creazione di un Cern per l’ia, paradossalmente, vengono anche dall’interno della comunità scientifica e politica. Perché accade? Forse perché chi ha già un proprio spazio teme di perdere finanziamenti? Forse perché guarda a questo tipo di proposte solamente dal proprio punto di vista, mentre occorre un approccio multidisciplinare? L’Unione europea, per decenni, ha finanziato solo reti e consorzi, senza mai creare un polo con la massa critica per affrontare una sfida di questa scala.
“Anche qui il paragone con il Cern è calzante”, conclude Attardi. “Negli anni cinquanta, la fisica delle particelle stava diventando un affare esclusivo di Stati Uniti e Unione Sovietica. Senza un centro di ricerca comune, l’Europa sarebbe rimasta irrilevante. Il Cern è nato da una visione politica lungimirante. Serve la stessa lungimiranza per l’ia”.
L’alternativa è semplice e triste: senza un’istituzione pubblica capace di guidare il progresso scientifico, l’evoluzione delle intelligenze artificiali sarà dettata solo da logiche di profitto e di mercato e l’Unione europea si condannerà al nanismo tecnologico, mentre Stati Uniti e Cina faranno valere sempre di più la propria supremazia.
Questo testo è tratto dalla newsletter Artificiale.
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