L’isola di Pasqua può ritrovare il suo albero – Gabriele Crescente

L’isola di Pasqua, nell’oceano Pacifico orientale, è spesso citata come un esempio in miniatura di come l’attività umana può provocare la completa distruzione di un ecosistema, con conseguenze fatali per gli esseri umani stessi.

Recentemente la discussa ipotesi dell’ecocidio, secondo cui il collasso ambientale dovuto all’eccessivo sfruttamento delle risorse e alla deforestazione avrebbe provocato il crollo della civiltà Rapa Nui, è stata contraddetta da nuove prove.

Oggi molti ricercatori ritengono che sia il declino della popolazione sia quello delle specie locali siano cominciati dopo i primi contatti con gli occidentali nel settecento, e che siano dovuti piuttosto all’introduzione dei ratti e delle malattie trasmissibili, alla riduzione in schiavitù degli indigeni e all’allevamento di pecore.

Quali che siano le cause, è un dato di fatto che gli esseri umani hanno quasi completamente cancellato l’ecosistema originario, provocando l’estinzione delle piante arboree e della fauna terrestre. Oggi più del 90 per cento della vegetazione dell’isola è costituita da specie invasive.

Negli ultimi anni sono stati fatti diversi sforzi per rimediare almeno in parte a questo disastro ambientale. A partire dagli anni ottanta i botanici locali hanno cercato più volte di reintrodurre il toromiro (Sophora toromiro), una delle ultime specie arboree endemiche a resistere sull’isola, che è stato dichiarato estinto in natura nel 1960 ma sopravvive in alcuni orti botanici in Cile e in Europa. Tutti i tentativi di farlo attecchire nel suo ambiente originario però sono falliti.

Ora un gruppo di ricercatori dell’università di Concepción, in Cile, è convinto di aver capito il perché. Il toromiro appartiene alla famiglia delle leguminose, piante che stabiliscono rapporti simbiotici con alcuni batteri del suolo che le aiutano a fissare l’azoto e a sintetizzare nutrienti essenziali.

Ma quando i ricercatori hanno esaminato il suolo dell’isola di Pasqua, hanno scoperto che i batteri simbiotici del toromiro erano completamente assenti. Così hanno provato a cercarli in altre parti del mondo, e li hanno trovati tra le radici di piante simili in Cile e in Nuova Zelanda.

I batteri sono stati aggiunti al terreno di coltura delle piantine di toromiro, che hanno mostrato una maggiore vitalità. Decine di queste piantine sono arrivate sull’isola e presto saranno pronte per essere trapiantate, ma l’inserimento non sarà facile.

Il toromiro ha bisogno di ombra e umidità, e originariamente cresceva sotto la chioma di specie arboree ormai estinte sull’isola, il cui territorio oggi è quasi completamente coperto da pascoli e praterie. Un altro ostacolo è il riscaldamento globale, che ha sensibilmente alterato il clima locale.

Perché il toromiro non sia più considerato estinto, inoltre, le piantine non dovranno solo attecchire, ma anche dimostrare di essere capaci di riprodursi allo stato selvatico, producendo dei semi.

I ricercatori sperano di poter contare sulla collaborazione di alcune famiglie dell’isola, che vedono nel ritorno del toromiro un modo per riportare in vita un frammento della cultura Rapa Nui e si sono offerte di ospitare le piantine nei loro terreni.

Questo testo è tratto dalla newsletter Pianeta.

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