L’Europa è condannata a subire, stretta tra Washington e Mosca? – Pierre Haski

Durante il suo discorso del 5 marzo, Emmanuel Macron non ha pronunciato nemmeno una volta il nome di Donald Trump. Eppure, il presidente degli Stati Uniti è la causa che ha spinto il capo di stato francese ha chiedere una presa di coscienza dei nuovi rischi a livello internazionale, con un tono grave e non proprio rassicurante.

All’inizio del suo discorso, Macron ha parlato di Washington, definendola “un’alleata”, come a voler affrontare una delle preoccupazioni maggiori emerse in questi giorni: gli Stati Uniti, dopo essere stati al fianco dell’Europa (tra alti e bassi) fin dal 1945, sono diventati un avversario? Anche quando il generale de Gaulle aveva ritirato la Francia dal comando militare integrato della Nato, nel 1966, si era comunque preoccupato di mantenere l’alleanza politica.

Il problema è che la parola “alleato” non fa parte del vocabolario di Trump: una realtà di cui tutti sono consapevoli, anche se in pochi lo dicono. È da questo aspetto che deriva la complessità dei tentativi di mettere fine alla guerra in Ucraina e del dibattito sulla questione più ampia della sicurezza europea.

Malgrado le decisioni e gli atteggiamenti discutibili, Macron non ha criticato il presidente statunitense, anche perché oggi il rapporto di forze è chiaramente favorevole alla Casa Bianca. Ce ne siamo accorti con quello che è successo a Volodymyr Zelenskyj. Dopo essere stato umiliato il 28 febbraio nello studio ovale, il 3 marzo il presidente ucraino ha incassato l’annuncio della sospensione degli aiuti militari statunitensi, e appena due giorni dopo quella altrettanto grave della fine della condivisione delle informazioni dell’intelligence.

Poco importa che poi si sia prostrato con una messaggio letto da Trump davanti al congresso a Washington, e che oggi si mostri riconoscente e umile nei confronti dell’uomo che lo ha cacciato dalla Casa Bianca. È la realpolitik, con gli Stati Uniti che sono chiaramente in vantaggio. “Non hai le carte in mano”, ha sottolineato crudelmente Trump rivolgendosi a Zelenskyj durante il loro scontro verbale nello studio ovale. E purtroppo aveva e ha ragione.

Il risultato è che l’Europa può solo cercare di limitare i danni del riavvicinamento fra Trump e Putin. A questo punto, la speranza è che il presidente statunitense decida di accettare il piano che prevede il dispiegamento di truppe europee dopo un cessate il fuoco in Ucraina, lo stesso di cui ha parlato Macron il 5 marzo.

L’Unione è condannata a subire? Questa è la posta in gioco del discorso di Macron sulla mobilitazione, un discorso dagli accenti gaulliani, anche se senza riferimenti al generale ed ex presidente della repubblica francese. Se l’Europa non vuole trovarsi intrappolata nella tenaglia tra la minaccia russa e l’imprevedibilità statunitense, deve assolutamente dotarsi di una difesa comune.

Quella di un’indipendenza sul piano militare è una chimera della costruzione europea ormai da decenni, a cui si sono costantemente opposti tutti quelli che temevano di irritare Washington. Ma il mondo, nel frattempo, è cambiato, nel 2022 con l’invasione dell’Ucraina e nel 2025 con il ritorno di Trump e dello slogan America first (prima l’America).

Gli europei devono completare in poco tempo quello che non sono riusciti a fare in mezzo secolo. Il percorso comincia il 6 marzo a Bruxelles, con delle decisioni storiche sul finanziamento del piano militare europeo.

Altrettanto storico è stato l’annuncio con cui Macron ha aperto un dibattito sulla possibilità di estendere all’Europa la protezione nucleare francese (l’unica all’interno dell’Unione): “Cento per cento francese”, ha precisato il presidente con un altro omaggio indiretto a de Gaulle, che nel 1962 aveva sottolineato l’importanza della dissuasione nucleare per “tenere a bada un protettore prepotente”.

Va ammesso che il generale ci aveva visto lungo.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

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