L’esplosione delle violenze in Siria ha conseguenze internazionali – Pierre Haski

Fin dalla caduta del regime di Bashar al Assad, tre mesi fa, i siriani hanno costantemente trattenuto il respiro nella speranza di uscire dal ciclo di violenze che ha distrutto il loro paese. Purtroppo, però, negli ultimi giorni circa mille persone, di cui la maggioranza civili, sono state massacrate nel più grave episodio dopo la fine della dittatura.

Ogni aspetto di questa tragedia era abbastanza prevedibile: i soldati del vecchio regime che si erano rifiutati di arrendersi hanno organizzato azioni di guerriglia nei territori degli alawiti, la minoranza a cui appartiene il clan degli Assad. La conseguenza è stata un’ondata di violenza cieca che ha colpito i sostenitori armati dell’ex presidente siriano, ma anche i civili alawiti, vittime della vendetta di massa per i morti degli ultimi giorni e per i decenni di dittatura. Da tre mesi, il mondo intero temeva uno sviluppo di questo tipo.

Secondo l’Osservatorio siriano per i diritti umani (Osdh) i massacri sono stati commessi su entrambi i fronti, colpendo indistintamente uomini, donne, bambini, anziani e intere famiglie. Tra gli autori delle violenze ci sono alcuni jihadisti (anche stranieri), ancora armati.

È arrivata quindi la fine della transizione pacifica? Questa oggi è la grande paura. Il governo ad interim guidato da Ahmed al Sharaa cerca con difficoltà di rassicurare le minoranze del paese – alawiti, cristiani, curdi, drusi – e di riunire tutti i gruppi armati sotto un’unica autorità nazionale. Su questi due aspetti, però, la fiducia è ormai svanita.

Al Sharaa ha provato a calmare le acque con un discorso alla nazione. “Quello che sta succedendo era prevedibile. Dobbiamo mantenere l’unità nazionale e la pace per quanto possibile. Se dio vuole, saremo capaci di vivere insieme in questo paese”, ha dichiarato l’ex jihadista, ora presidente del governo di transizione.

I siriani sperano che il nuovo leader del paese riesca a frenare alcuni dei suoi sostenitori più radicalizzati, che non condividono la sua conversione pragmatica.

Questa crisi ha conseguenze anche sul piano internazionale, uno dei nodi centrali della transizione. C’è da considerare Israele, che ha distrutto l’esercito siriano dopo la caduta di Assad, occupa alcune aree sulle alture del Golan e si presenta come difensore delle minoranze siriane. Lo stato ebraico guarda con sospetto la crescente influenza turca a Damasco, soprattutto alla luce delle posizioni pubbliche molto dure espresse da Ankara sulla guerra a Gaza.

C’è poi la Russia, che continua a negoziare il destino delle sue basi navali e aeree in Siria, situate proprio nella regione in cui si sono verificati i massacri. E paradossalmente, Israele preferirebbe avere i russi invece dei turchi come vicini di casa.

La situazione attuale influisce poi sulla cancellazione delle sanzioni che colpiscono ancora la Siria. Il recente alleggerimento delle misure potrebbe restare un caso isolato se il governo di Damasco non riuscisse a fermare la diffusione di quest’ondata di violenza.

La Siria ha vissuto sulla sua pelle il caos che ha travolto il vicino Iraq dopo la caduta di Saddam Hussein, con la nascita del gruppo Stato islamico.

Anche per questo oggi è assolutamente indispensabile che qualcuno spenga l’incendio siriano.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

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