Si conclude l’operazione militare nell’ovest della Siria, quasi 1.500 morti

Il 10 marzo il ministero della difesa siriano ha annunciato la fine di un’operazione militare nell’ovest del paese, dove i combattimenti con i miliziani fedeli al presidente deposto Bashar al Assad e le esecuzioni di massa di civili hanno causato quasi 1.500 morti dal 6 marzo.

“Le forze di sicurezza hanno raggiunto tutti gli obiettivi”, ha dichiarato Hassan Abdel Ghani, un portavoce del ministero della difesa, citato dall’agenzia ufficiale Sana.

Il portavoce ha aggiunto che località e strade sono state messe in sicurezza.

Le violenze sono state le più gravi in Siria dalla caduta del regime di Assad, nel dicembre scorso.

Il 6 marzo centinaia di miliziani fedeli ad Assad avevano attaccato le forze di sicurezza a Jable, nella regione di Latakia, una roccaforte della minoranza alawita a cui appartiene anche il presidente deposto.

Secondo l’ong Osservatorio siriano per i diritti umani, i combattimenti hanno causato quasi cinquecento morti, mentre almeno 973 civili, in maggioranza alawiti, sono stati uccisi “in esecuzioni sommarie e operazioni di pulizia etnica”.

Le Nazioni Unite, Washington e altre capitali hanno condannato le uccisioni di civili, chiedendo spiegazioni alle nuove autorità siriane.

Il presidente ad interim siriano Ahmed al Sharaa si è impegnato il 9 marzo a “perseguire i responsabili delle uccisioni di civili”.

In un discorso tenuto in una moschea della capitale Damasco, Al Sharaa ha lanciato un appello al “mantenimento dell’unità nazionale e della pace civile” e annunciato una commissione d’inchiesta per fare luce sui massacri.

Intanto, il 10 marzo l’Iran, grande alleato dell’ex regime, ha smentito qualunque coinvolgimento nelle violenze degli ultimi giorni in Siria.

“Sono accuse ridicole”, ha dichiarato il portavoce del ministero degli esteri iraniano Esmail Baghai, smentendo le recenti affermazioni di alcuni mezzi d’informazione, in particolare dell’emittente saudita Al Arabiya.



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