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La Cina registra da tempo uno sviluppo dell’energia pulita senza precedenti. Come scrive Bloomberg, nel 2024 il paese asiatico ha installato nuovi impianti solari ed eolici che hanno aggiunto altri 356 gigawatt di potenza. Le autorità promettono a più riprese di ridurre l’impiego delle fonti d’energia fossili: il presidente Xi Jinping ha annunciato un uso minore del carbone dal 2026. Pechino è inoltre leader nel campo dell’auto elettrica: nel 2025 in Cina le vendite di veicoli dotati di questa tecnologia supereranno per la prima volta quelle delle auto con motore a combustione.
L’obiettivo sarà raggiunto dieci anni prima rispetto alle previsioni del governo. Quest’anno nel paese i veicoli elettrici e ibridi potrebbero registrare una crescita del 20 per cento rispetto al 2024, superando i dodici milioni di unità vendute. Nel 2022 le vendite erano state di 5,9 milioni. Il mercato dei veicoli tradizionali, invece, dovrebbe calare del 10 per cento rispetto all’anno scorso, a undici milioni, quasi il 30 per cento in meno di tre anni fa.
Per il momento, comunque, le fonti fossili sono tutt’altro che in ritirata. Lo dimostrano i dati di quella più inquinante, il carbone, che sta battendo ogni record. Questa realtà ridimensiona i progressi nel campo delle rinnovabili e conferma la Cina come il paese con le maggiori emissioni di anidride carbonica al mondo, con una quota del 30 per cento. In uno studio uscito a febbraio il Centre for research on energy and clean air (Crea), con sede a Helsinki, in Finlandia, e il californiano Global energy monitor (Gem) affermano che Pechino sta costruendo centrali elettriche alimentate a carbone per una potenza complessiva di 94,5 gigawatt, la più alta degli ultimi dieci anni. Allo stesso tempo il governo cinese ha riattivato progetti sospesi, che aggiungeranno altri 3,3 gigawatt di potenza.
Dietro la straordinaria resistenza del carbone c’è soprattutto la necessità di compensare le intermittenze a cui sono soggette le fonti rinnovabili, garantendo la sicurezza dell’offerta di fronte a una domanda di elettricità in forte aumento (+6,8 per cento nel 2024, e si prevede una crescita simile quest’anno, ben al di sopra di quella del pil nazionale), in seguito all’espansione della produzione manifatturiera, alla progressiva elettrificazione di molti settori (vedi il successo delle auto con motore elettrico) e alla crescita dell’intelligenza artificiale, soprattutto dopo la comparsa della startup Deepseek.
La Cina non è un’eccezione. Tempo fa Economica ha parlato del caso dell’India in quest’articolo. Secondo l’Agenzia internazionale per l’energia (Iea), nel 2024 il carbone si è confermato tra le fonti più richieste e quindi, visto che la sua domanda sembra inarrestabile, è ancora troppo presto per consegnare questa fonte fossile alla storia.
L’anno scorso, scrive ancora Bloomberg, sono stati venduti circa 8.770 milioni di tonnellate di carbone, contro le 8.680 del 2023: la differenza è pari all’incirca alla domanda del Giappone, il quarto consumatore mondiale di carbone, e degli Stati Uniti. L’elettricità generata grazie al carbone nel 2024 ha raggiunto la quota record di 10.700 terawattora. E tutto questo non è destinato a finire: l’Iea prevede che la domanda cinese di carbone continuerà a battere record almeno fino al 2027.
La verità è che, come sottolinea lo storico britannico Adam Tooze, la sfida della transizione energetica – sostituire completamente le fonti fossili con quelle rinnovabili – è particolarmente impegnativa, perché non ha precedenti nella storia dell’umanità. In genere si racconta l’evoluzione dell’energia come una “serie di transizioni” in cui una fonte nuova sostituisce quella vecchia: la prima avvenne quando la forza fisica, il vento e l’energia idraulica cedettero il passo al carbone; e la seconda quando arrivarono il petrolio e il gas. La terza transizione è quella caratterizzata dall’avvento delle fonti rinnovabili.
Ma in realtà, spiega Tooze recensendo un saggio dello storico francese Jean-Baptiste Fressoz, non si è trattato di vere e proprie sostituzioni, bensì di accumulazioni: le fonti nuove non hanno sostituito del tutto quelle vecchie, ma vi sono sovrapposte: “L’uso del carbone non fece finire il consumo di legname; l’arrivo del petrolio non fece sparire il carbone”. Invertire la tendenza all’accumulazione nella storia delle fonti energetiche richiede quindi una drastica rottura con il passato. Cosa non facile da realizzare.
Questo testo è tratto dalla newsletter Economica.
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Sorgente ↣ : Il carbone resiste grazie alla Cina – Alessandro Lubello
Il 4 marzo sono entrati in vigore i dazi imposti dall’amministrazione Trump sulle merci provenienti dal Canada e dal Messico e sono aumentati quelli già esistenti sui prodotti che arrivano dalla Cina. Il Canada ha risposto imponendo dazi del 25 per cento sulle merci provenienti dagli Stati Uniti: con effetto immediato su prodotti per un valore complessivo di 21 miliardi di dollari all’anno, mentre su altri 107 miliardi di dollari di prodotti entreranno in vigore il 25 marzo.
La Cina ha deciso di imporre dazi del 10 o del 15 per cento su una serie di prodotti agricoli e alimentari provenienti dagli Stati Uniti (tra gli altri pollo, maiale, grano, mais, soia, frutta e verdura e cotone). Lo stesso giorno la presidente messicana Claudia Sheinbaum ha reso noto in un comunicato che aspetterà fino a domenica per annunciare quale sarà la risposta del suo governo alle misure annunciate da Washington. “È inconcepibile”, ha detto, “che non si pensi al danno che l’aumento dei prezzi dei beni prodotti nel nostro paese causerà sia ai cittadini sia alle aziende statunitensi, né al danno provocato dalla perdita di posti di lavoro che ci sarà in entrambi i paesi. Nessuno vince con questa decisione, che anzi si ripercuote contro i popoli che rappresentiamo”.
Per giustificare l’imposizione dei dazi, annunciata a febbraio ma poi rimandata a patto che il Messico rispettasse alcune condizioni, la Casa Bianca ha detto che il vicino del sud non aveva fatto abbastanza per combattere il traffico di droga, soprattutto di fentanyl – un potente oppioide sintetico – e per frenare l’arrivo di migranti alla frontiera. In particolare, secondo Trump “i cartelli della droga operano senza ostacoli, perché hanno una relazione inaccettabile con il governo” mentre le autorità messicane darebbero “rifugio” ai narcotrafficanti. Un’allenaza del genere, ha sottolineato la Casa Bianca, mette in pericolo la sicurezza nazionale degli Stati Uniti e “bisogna quindi sradicare l’influenza di questi pericolosi cartelli della droga”. Sheinbaum ha definito “diffamatorio, offensivo e senza nessuna base” il comunicato e ha annunciato delle contromisure che avrebbe comunicato nel dettaglio il 9 marzo.
La presidente messicana ha preso tempo, spiega il giornalista Daniel Pardo su Bbc mundo. Rimandare l’annuncio di qualche giorno è stato un modo per dare alle delegazioni di negoziatori il tempo di dialogare in cerca di concessioni e compromessi per evitare i dazi. Sul tavolo delle trattative Sheinbaum ha giocato varie carte: aver estradato negli Stati Uniti 29 persone detenute in Messico per narcotraffico e altri crimini, tra cui Rafael Caro Quintero, ex leader del cartello di Guadalajara che ha evitato l’estradizione per quarant’anni dopo aver ucciso nel 1985 Enrique “Kiki” Camarena, un agente della Drug enforcement administration (Dea, l’agenzia antidroga statunitense); aver ridotto il flusso di migranti irregolari al confine e aver sequestrato decine di tonnellate di fentanyl.
Evidentemente la strategia ha funzionato, perché ieri Trump ha annunciato la sospensione di un mese dei dazi su alcuni prodotti provenienti dal Messico e dal Canada, in particolare quelli che si commerciano in base alle regole del Trattato di libero scambio tra Messico, Stati Uniti e Canada (Usmca), firmato dallo stesso leader repubblicano durante il suo primo mandato. In un post pubblicato sul social network Truth, Trump ha scritto: “Dopo aver parlato con la presidente Sheinbaum ho deciso che il Messico non dovrà pagare dazi su nessun prodotto che ricade nell’accordo Usmca. Quest’accordo è valido fino al 2 aprile. L’ho fatto per rispetto verso la presidente Sheinbaum. Stiamo lavorando duramente insieme al confine, per impedire l’ingresso di migranti irregolari negli Stati Uniti e per fermare il fentanyl. Grazie presidente Sheinbaum per il suo impegno e la sua collaborazione”.
Come ha fatto la leader messicana a trasformare quella che sembrava una tormenta perfetta in un successo per il suo governo, almeno per il momento?, si chiede Pardo sempre su Bbc mundo. Da una parte sta cercando di convincere Trump che gli Stati Uniti, per rafforzare la loro industria e la loro economia, hanno bisogno del Messico; dall’altra la politica di sicurezza del suo governo – che si differenzia da quella del predecessore López Obrador ispirata al motto “abbracci e non pallottole” – va maggiormente incontro alle esigenze del vicino del nord.
Il 4 marzo, quando la Casa Bianca ha annunciato i dazi, Sheinbaum ha convocato i messicani nella grande piazza dello Zócalo a Città del Messico per ascoltare le contromisure che avrebbe annunciato. Ora che i dazi sono stati revocati, l’evento si svolgerà lo stesso: “Faremo una festa, celebreremo l’accordo che abbiamo raggiunto e inviteremo dei gruppi musicali per festeggiare”, ha detto la presidente. “Che vengano tutti gli abitanti dei paesi, sono la parte migliore del Messico”, ha aggiunto riferendosi ai contadini che avevano già comprato il biglietto per raggiungere la capitale.
Per ora Sheinbaum ha tutte le ragioni di festeggiare. Ha ottenuto una vittoria diplomatica e la sua popolarità, già alta, è aumentata: otto messicani su dieci sostengono le sue politiche.
Questo testo è tratto dalla newsletter Sudamericana.
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Sorgente ↣ : Passi indietro sui dazi al Messico – Camilla Desideri