L’Ucraina conduce un attacco in Russia con 337 droni, causando almeno tre morti

Nella notte tra il 10 e l’11 marzo l’Ucraina ha condotto un attacco in Russia con 337 droni, che ha colpito anche la regione di Mosca. L’attacco ha causato tre morti, secondo le autorità russe.

“I sistemi di difesa aerea hanno intercettato e distrutto 337 droni ucraini, 91 dei quali nella regione di Mosca”, ha affermato il ministero della difesa russo.

I droni hanno preso di mira anche le regioni di Kursk, Brjansk e Belgorod, che confinano con l’Ucraina, nonché quelle di Rjazan, Kaluga, Voronež e Nižnij Novgorod.

“Sono stati presi di mira edifici residenziali e infrastrutture civili”, ha sottolineato il portavoce del Cremlino Dmitrij Peskov, citato dalle agenzie di stampa russe.

Kiev ha affermato che l’obiettivo dell’attacco era “convincere la Russia ad accettare una tregua aerea”, proposta da Kiev per facilitare eventuali negoziati.

“È un ulteriore segnale inviato al presidente Vladimir Putin”, ha dichiarato Andrij Kovalenko, portavoce del Centro governativo ucraino contro la disinformazione.

L’attacco con i droni, il più massiccio dall’inizio della guerra, è arrivato poche ore prima dell’apertura a Jedda, in Arabia Saudita, dei colloqui tra una delegazione ucraina e una statunitense sulla fine delle ostilità in Ucraina.

Il 10 marzo sono arrivati in Arabia Saudita il presidente ucraino Volodymyr Zelenskyj e il segretario di stato statunitense Marco Rubio.

I colloqui sono i primi dalla lite senza precedenti alla Casa Bianca tra Zelenskyj e il presidente statunitense Donald Trump.

Da allora Washington ha sospeso gli aiuti militari all’Ucraina, oltre alla condivisione dell’intelligence, per costringerla ad accettare condizioni molto dure per la pace.

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Cancellata a Washington la scritta gigante del movimento Black lives matter

Il 10 marzo alcuni operai hanno cominciato a cancellare, su iniziativa del Partito repubblicano, un’enorme scritta del movimento di protesta antirazzista Black lives matter su una strada di Washington.

Il nome del movimento, salito alla ribalta dopo la morte di George Floyd, un afroamericano ucciso da un poliziotto bianco nel maggio 2020, era stato scritto a caratteri cubitali gialli sull’asfalto di una strada non lontano dalla Casa Bianca.

La scritta era però finita nel mirino dei repubblicani dopo il ritorno al potere di Donald Trump, che all’epoca dell’omicidio di Floyd era in carica per il suo primo mandato.

“Vogliono cancellare la memoria di quello che è successo”, ha dichiarato all’Afp una donna afroamericana venuta a dare un’ultima occhiata alla scritta.

“Questa scritta era importante per noi”, ha detto invece Tajuana McCallister, 57 anni, un’infermiera del Maryland.

“Ma evidentemente la storia degli afroamericani in questo paese non è importante per lui”, ha aggiunto, indicando la Casa Bianca in un chiaro riferimento a Trump.

La sindaca democratica di Washington, l’afroamericana Muriel Bowser, ha spiegato che non era più possibile difendere la scritta, aggiungendo che “purtroppo in questo momento abbiamo problemi più gravi”.

“Stiamo cercando di garantire la sopravvivenza dei nostri abitanti e della nostra economia”, ha dichiarato la sindaca, riferendosi ai licenziamenti di massa dei dipendenti pubblici federali voluti dall’amministrazione Trump, e in particolare da Elon Musk, che dirige una commissione per l’efficienza governativa.

Alla domanda se la cancellazione della scritta fosse la conseguenza di forti pressioni da parte della Casa Bianca, Bowser ha preferito non entrare nei dettagli, limitandosi a dire: “Mi sembra evidente che ad alcune persone non piaceva”.

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Donald Trump intensifica la guerra commerciale con il Canada, che vorrebbe annettere

L’11 marzo il presidente statunitense Donald Trump ha dato il benvenuto alla sua maniera al futuro primo ministro canadese Mark Carney, intensificando le minacce commerciali contro il Canada e ribadendo che “l’unica cosa sensata da fare è diventare il cinquantunesimo stato americano”.

Reagendo a un annuncio della provincia canadese dell’Ontario di una sovrattassa sulle esportazioni di elettricità verso tre stati americani, Trump ha affermato sul suo social network Truth Social che porterà al 50 per cento, dal precedente 25 per cento, i dazi doganali sull’acciaio e sull’alluminio canadesi, che entreranno in vigore il 12 marzo.

Ha anche dichiarato che il 2 aprile imporrà dazi sulle automobili così alti “da mettere definitivamente in ginocchio l’industria automobilistica canadese”.

“L’unica cosa sensata che Ottawa può fare è diventare il cinquantunesimo stato americano”, chiudendo di fatto la guerra commerciale tra i due paesi, ha affermato il presidente statunitense, che considera l’annessione del Canada una priorità.

Trump ha aggiunto che se il Canada entrasse a far parte degli Stati Uniti “i canadesi non dovrebbero preoccuparsi dei dazi, pagherebbero molte meno tasse e avrebbero più sicurezza”.

Ha inoltre definito “artificiale” il confine che separa i due paesi.

Il 9 marzo il futuro premier canadese Mark Carney aveva tenuto un discorso in cui si scagliava contro Trump, affermando anche che “il Canada non farà mai parte degli Stati Uniti”.

Dal suo insediamento, il 20 gennaio, Trump ha fatto una serie di annunci spettacolari sull’introduzione di dazi contro vari paesi, spesso seguiti da parziali retromarce, destabilizzando la finanza e l’economia globale.

Il Canada è gradualmente emerso come il principale obiettivo della retorica commerciale aggressiva e delle mire espansionistiche del presidente statunitense, che punta anche ad annettere la Groenlandia e il canale di Panamá.

Trump ha più volte definito la parola “dazi” una delle più belle del vocabolario, sostenendo che riporteranno le fabbriche negli Stati Uniti e ridurranno il deficit commerciale del paese, anche a costo di causare “temporanee perturbazioni finanziarie”.

Questa “età dell’oro” propagandata dal presidente statunitense convince però sempre meno gli investitori, che ipotizzano una recessione negli Stati Uniti, una cosa impensabile solo poche settimane fa.

“L’economia statunitense non può permettersi questa ferita autoinflitta in un momento in cui i rischi di recessione sono in aumento”, ha commentato l’ex segretario al tesoro Larry Summers sul social network X.

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