Stati Uniti, il dipartimento dell’istruzione licenzia quasi il 50 per cento del personale

Il dipartimento dell’istruzione degli Stati Uniti ha annunciato l’11 marzo il licenziamento di quasi il 50 per cento del personale. Si tratta di un primo passo verso lo smantellamento del dipartimento, finito nel mirino del presidente Donald Trump.

Il presidente statunitense, che sta promuovendo un drastico ridimensionamento dell’amministrazione pubblica federale, non ha mai fatto mistero della sua volontà di abolire il dipartimento dell’istruzione, accusato di promuovere idee progressiste.

Il dipartimento ha affermato in un comunicato che la sua forza lavoro sarà ridotta da poco più di 4.100 effettivi a circa 2.200.

Quando l’emittente Fox News le ha chiesto se i licenziamenti fossero il primo passo verso lo smantellamento del dipartimento, la segretaria all’istruzione Linda McMahon, ex presidente e amministratrice delegata dell’azienda di wrestling Wwe, ha risposto “sì”.

“Ovviamente non stiamo eliminando l’istruzione, ma solo la burocrazia dell’istruzione”, ha dichiarato.

Secondo il ministero, nelle ultime settimane quasi seicento dipendenti avevano accettato di andarsene nell’ambito di un piano di ridimensionamento dell’amministrazione pubblica federale promosso da Elon Musk, che guida una commissione per l’efficienza governativa.

Altri 1.300 saranno messi in congedo amministrativo a partire dal 21 marzo, si legge nel comunicato.

Durante la campagna elettorale Trump si era impegnato a sbarazzarsi del dipartimento dell’istruzione e a trasferire tutte le competenze ai singoli stati.

Al momento di nominare McMahon, le aveva chiesto di “rendersi disoccupata”.

Creato nel 1979 dal presidente democratico Jimmy Carter, il dipartimento dell’istruzione non potrà però essere completamente smantellato senza una legge approvata dal senato con una maggioranza qualificata di sessanta voti, mentre i repubblicani dispongono attualmente di 53 seggi.

Negli Stati Uniti il sistema dell’istruzione è ampiamente decentralizzato, ma il governo federale mantiene una certa influenza attraverso i fondi che stanzia, in particolare per le scuole in aree povere o per i bambini con difficoltà di apprendimento.

Trump ha già sospeso vari finanziamenti alle scuole, tra cui quelli legati alle politiche per la diversità e l’inclusione.

Lo smantellamento del dipartimento è contestato dal Partito democratico, dai sindacati degli insegnanti e da molti genitori, che lo considerano un attacco senza precedenti all’istruzione pubblica.



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La Commissione europea risponde ai dazi statunitensi sull’acciaio e l’alluminio

Il 12 marzo la Commissione europea ha annunciato dei dazi doganali “significativi ma proporzionati” su una serie di prodotti statunitensi a partire dal 1 aprile, in risposta ai dazi del 25 per cento imposti da Donald Trump sull’acciaio e l’alluminio.

“L’Unione europea è profondamente delusa per le misure adottate da Donald Trump”, ha dichiarato la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen.

“I dazi sono tasse. Sono un male per le imprese e un male ancora maggiore per i consumatori. Metteranno a rischio i posti di lavoro e faranno aumentare i prezzi sia in Europa sia negli Stati Uniti”, ha aggiunto.

Secondo le stime della Commissione europea, i dazi statunitensi riguarderanno prodotti per un valore di circa ventisei miliardi di euro. La risposta di Bruxelles prenderà quindi di mira prodotti per un valore equivalente.

I dazi del 25 per cento sulle importazioni di acciaio e alluminio sono entrati in vigore negli Stati Uniti alla mezzanotte e un minuto del 12 marzo, segnando una nuova tappa nella guerra commerciale lanciata da Washington contro i suoi principali partner commerciali.

Unione europea, Cina, Giappone, Australia e Canada sono colpiti da questi dazi, anche se l’obiettivo dichiarato di Trump è proteggere l’industria siderurgica statunitense, in difficoltà da anni a causa di una concorrenza particolarmente agguerrita, soprattutto in Asia.

Il presidente statunitense aveva già introdotto dei dazi sull’acciaio e l’alluminio durante il suo primo mandato (2017-2021), ma “stavolta non ci saranno eccezioni o esenzioni”, aveva dichiarato all’inizio di febbraio.

La risposta europea sarà duplice. Il 1 aprile saranno automaticamente riattivate le contromisure già adottate durante il primo mandato di Trump.

“Rispetto ad allora la differenza è queste misure di riequilibrio saranno applicate per intero”, ha affermato la Commissione europea, aggiungendo che i dazi riguarderanno prodotti che vanno dalle barche alle moto e al bourbon”.

Ma dato che i dazi statunitensi entrati in vigore il 12 marzo vanno ben al di là di quelli del primo mandato di Trump, la Commissione ha anche avviato una procedura in vista dell’adozione di misure aggiuntive contro i prodotti statunitensi, in modo di arrivare a un valore equivalente.

Le misure aggiuntive dovrebbero entrare in vigore alla metà di aprile, dopo una “fase di consultazione di due settimane il cui obiettivo è garantire che siano presi di mira i prodotti giusti, in modo da rispondere con efficacia riducendo al minimo le conseguenze per le imprese e i consumatori europei”.



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L’opposizione di centrodestra vince le elezioni legislative in Groenlandia

L’opposizione di centrodestra ha vinto le elezioni legislative dell’11 marzo in Groenlandia, caratterizzate anche da un aumento dei consensi dei nazionalisti, favorevoli all’indipendenza dell’isola dalla Danimarca. Le elezioni erano molto attese anche perché negli ultimi mesi il presidente statunitense Donald Trump ha più volte affermato di voler annettere l’isola.

La formazione di centrodestra dei Democratici, che si proclama “social-liberale”, ha ottenuto il 29,9 per cento dei voti, triplicando i consensi rispetto alle elezioni del 2021.

I nazionalisti di Naleraq, il partito che chiede con più insistenza di recidere gli ultimi legami con Copenaghen, sono arrivati secondi con il 24,5 per cento dei voti.

La coalizione di governo uscente, composta da Inuit ataqatigiit (Ia, ambientalisti di sinistra) e dai socialdemocratici di Siumut, ha invece subìto una dura sconfitta.

“Rispettiamo il risultato delle elezioni”, ha dichiarato il primo ministro Múte Egede, leader di Ia.

Dato che nessuno dei partiti ha i numeri per governare da solo, ci saranno delle trattative per formare una coalizione.

“Siamo pronti a discutere con tutti i partiti per formare un governo forte e stabile, più che mai necessario nel nuovo contesto internazionale”, ha dichiarato Jens-Frederik Nielsen, 33 anni, leader dei Democratici ed ex campione groenlandese di badminton.

Forse a causa dell’effetto Trump, il tasso di partecipazione è stato molto alto, superiore al 70 per cento.

Convinto di annettere la Groenlandia “in un modo o nell’altro”, Trump ha cercato di condizionare l’esito del voto, suscitando reazioni di stupore, rifiuto e, più raramente, entusiasmo.

Secondo un sondaggio pubblicato a gennaio, circa l’85 per cento dei groenlandesi è contrario a far parte degli Stati Uniti.

I groenlandesi accusano la Danimarca di averli sempre trattati come cittadini di seconda classe, soffocando la loro cultura e attuando in passato politiche di assimilazione forzata.

I principali partiti groenlandesi sono tutti favorevoli all’indipendenza, ma hanno idee diverse su come e quando ottenerla.

I nazionalisti di Naleraq la vorrebbero in tempi rapidi, mentre altre formazioni vorrebbero prima accelerare lo sviluppo economico dell’isola.

Con l’80 per cento della superficie ricoperta dai ghiacci, la Groenlandia dipende fortemente dalla pesca, che rappresenta la quasi totalità delle esportazioni, e dagli aiuti danesi, che ammontano a circa 530 milioni di euro all’anno, pari al 20 per cento del pil locale.

Naleraq sostiene invece che l’isola potrebbe cavarsela da sola grazie alle sue risorse minerarie, ma il settore è ancora in fase embrionale.

La Groenlandia ha circa 57mila abitanti, per il 90 per cento inuit.



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