L’amico di Putin stava per andare in onda su Rai3, il caso Vladimir Solovyev da Giletti. Lo stop all’ultimo: chi è il megafono del Cremlino sulla Tv russa

«Stasera a Lo Stato delle Cose non c’è Vladimir Solovyev» conferma Massimo Giletti all’Adnkronos è Massimo Giletti, dopo lo stop che sarebbe arrivato dai vertici Rai al giornalista russo molto vicino a Vladimir Putin. A far scoppiare la polemica era stata la vicepresidente del Parlamento europeo Pina Picierno, del Pd, che Giletti avrebbe annunciato la presenza di «un propagandista russo colpito da sanzioni Ue». Già la sera precedente, comunque, i vertici Rai avevano escluso la presenza del giornalista russo nella trasmissione di Giletti, secondo l’Ansa.

Chi è Vladimir Solovyev

Solovyev in Russia è popolarizzo. Dal 2005 conduce un’importante trasmissione sul canale Rossija 1 ed è considerato uno dei principali propagandisti di Putin. Le sue dichiarazioni controverse, spesso enfatiche e sopra le righe come le continue invocazioni all’uso delle armi nucleari, gli sono valse diversi riconoscimenti in Russia, soprattutto da parte del regime di Putin. Solovyev ha visto crescere il suo patrimonio di anno in anno, rendendolo di fatto un vero e proprio oligarca. 58 anni, nato a Mosca, Solovyev possiede anche due ville faraoniche sul lago di Como, per un valore totale di circa 8 milioni. Nel 2022, la villa a Menaggio, in località Loveno, era stata coinvolta in un incendio.

L’oligarca nella lista dei sanzionati Ue

Esulta l’eurodeputata Picierno, che commenta: «La libertà di stampa o di parola non c’entra nulla, Vladimir Solovjev è il megafono di Putin sulla tv Rossija 1 non è un giornalista. Vorrei ricordare che questo signore all’indomani dell’invasione dell’Ucraina diffondeva video in cui dimostrava che la Russia avrebbe potuto colpire in pochi minuti con bombe nucleari le principali capitali europee. È nella lista dei sanzionati dell’Unione Europea e la Guardia di Finanza gli ha sequestrato due ville sul lago di Como, entrambe furono scoperte dalla fondazione anticorruzione di Alex Navalny che fu arrestato per questo nel 2019. Invitarlo sulla nostra tv di Stato, oltre a configurarsi come una violazione delle sanzioni, sarebbe stato
uno schiaffo a piene mani a coloro che anche in Russia lottano per la libertà».

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Ramy Elgaml, il palo del semaforo buttato tra i rifiuti dopo lo schianto. Il buco nelle indagini: che cosa poteva chiarire sull’incidente

Ramy Elgaml

Il palo del semaforo sotto cui era stato trovato morto Ramy Elgaml non è mai stato sequestrato e quindi è finito in discarica. Si trattava di un «elemento fondamentale» da poter analizzare, secondo l’avvocata Barbara Indovina, che assiste la famiglia del 19enne. Quel palo avrebbe potuto fornire elementi utili a ricostruire la dinamica dell’incidente del 24 novembre 2024, quando il ragazzo è morto a bordo dello scooter guidato da un amico, Fares Bouzidi, dopo un lungo inseguimento dei carabinieri a Milano.

Le richieste inascoltate sul sequestro

L’avvocata Indovina sostiene di aver più volte chiesto nel corso delle indagini di sequestrare e analizzare il palo. Ma l’azienda che smaltisce i rifiuti per il Comune di Milano lo avrebbe smaltito poco dopo l’incidente. Lo confermerebbe in un’email dell’8 febbraio scorso l’ingegnere Marco Romaniello, incaricato dalla procura di un accertamento cinematico sull’incidente. La relazione sarà consegnata domani 11 marzo, dopo l’ultima proroga di circa 10 giorni. Secondo Romaniello, il palo «risultava essere dismesso da A2a due giorni dopo l’incidente».

Che cosa poteva chiarire il palo del semaforo

Quelle 48 ore avrebbero permesso di salvare il palo e metterlo a disposizione degli inquirenti. Ma nessuno deve averci pensato. In un’annotazione della Polizia locale si faceva riferimento ad un urto laterale nelle fasi precedenti e veniva indicato che il 19enne era «in fase di caduta al suolo», mentre l’auto dei carabinieri sarebbe sopraggiunta «in frenata». Dai filmati, acquisiti nelle indagini, pare che il 19enne sia rimasto schiacciato tra l’auto e il palo di un semaforo, perché la macchina e lo scooter si sono schiantate, poi, quasi nello stesso punto.

Gli indagati

Nel fascicolo sono indagati per omicidio stradale Bouzidi e il carabiniere che guidava l’ultima macchina inseguitrice, mentre in un filone per favoreggiamento e depistaggio sono indagati altri due militari che intervennero quella sera perché avrebbero intimato ad un testimone di cancellare un video. Bouzidi, poi, interrogato dal gip per l’accusa di resistenza, aveva parlato di un «urto», di una «spinta da dietro» da parte dei carabinieri nell’ultima fase e i suoi legali hanno avanzato, dunque, l’ipotesi di uno «speronamento volontario».

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Il quadro rubato a Belluno nel 1973 rispunta in un castello inglese. L’ex baronessa ora vuole un risarcimento

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Nelle cantine di un castello inglese nel Norfolk, che si dice sia stato il «piccolo palazzo di campagna» di re Enrico VIII, giace una Madonna con bambino del 1500, scomparsa dal Museo di Belluno nel 1973. Il nome del dipinto, accanto a quello del suo pittore Antonio Solario, è presente nei database delle opere trafugate «più ricercate»: polizia e carabinieri italiani, fino all’Interpol, stanno tentando di rimettere le mani sul quadro da ormai cinquant’anni. Ma pur sapendo esattamente dove si trova, fino a oggi non c’è stato nulla da fare: la signora Barbara De Dozsa, ex moglie del defunto barone de Dozsa, non ha alcuna intenzione di restituirlo. Non di certo gratuitamente: «Il mio ex marito lo acquistò in buona fede nel 1973», è la sua difesa. E il prezzo lo ha già reso chiaro: l’intero valore del quadro, che si aggira intorno ai 100mila euro.

Il furto e l’approdo in Inghilterra

Acquistato nel 1872 dal Museo di Belluno, per cento anni il quadro di Antonio Solario è stato conservato nella città veneta. Fino al 1973, quando la galleria fu presa di mira da un maxi furto di opere. Molte di queste furono recuperate immediatamente in Austria, altre invece si dispersero per vie traverse in tutta Europa. Così il barone De Dozsa, nel 1973, riuscì ad appendere uno storico quadro del sedicesimo secolo nei corridoi della sua residenza, l’East Barsham Manor a Fakenham, scucendosi solamente qualche centinaia di sterline dal portafoglio. L’opera, però, alla moglie non è mai piaciuta: così, appena l’uomo è mancato, la donna non ha perso tempo a spostarlo in un ripostiglio con l’intenzione di metterlo in vendita.

Le richieste economiche della ex baronessa

Quel momento è arrivato nel 2017, quando Barbara de Dosza si è rivolta a una casa d’aste inglese. Il quadro è stato però individuato da una persona legata al Museo di Belluno, che non ha mancato di segnalare la questione alle forze dell’ordine inglesi. Tra una cosa e l’altra, però, si è messa di mezzo la pandemia: «Le autorità italiane non sono state in grado di fornire i documenti richiesti dalla polizia britannica». Così il dipinto, sequestrato alla donna, le è stato restituito nel 2020. Un atto che la ex baronessa – pur di fronte al chiarimento della polizia – ha letto come una «legittimazione di proprietà». E non ha mancato di citare il Limitation Act del 1980, secondo cui chi acquista beni rubati (non consapevolmente) può essere riconosciuto il legittimo proprietario se per i sei anni successivi al furto nessuno riesce a «collegare l’acquisto al furto». E così, tutti i tentativi di convincere la donna a restituire l’opera sono caduti nel vuoto. Anzi, contattata dall’associazione Art Recovery International, ha fatto il prezzo. Minimo 6mila sterline, quelle che avrebbe pagato per le spese legali fino a oggi. A cui si aggiungerebbero 60-80mila sterline, cioè il valore del dipinto. E, sembra di capire, finché non avrà i soldi in mano non è disposta a collaborare in nessuna forma o modo. E il quadro rimane nel ripostiglio dell’East Barsham Manor.

La battaglia legale

L’avvocato Christopher Marinello, fondatore di Art Recovery International, si sta impegnando da diversi anni per riportare in Italia La Madonna col Bambino. In un’intervista rilasciata al quotidiano britannico The Guardian, ha raccontato di aver più volte cercato di fare appello alla coscienza della De Dosza, senza però ottenere risultati positivi. «È la cosa giusta da fare», avrebbe affermato. Quando gli è stato chiesto perché la polizia non avesse ancora restituito l’opera all’Italia, Marinello ha spiegato che la vicenda «dimostra solo il fallimento delle forze dell’ordine nell’aiutare gli italiani. La polizia britannica ha dichiarato che questa donna non ha commesso alcun crimine, quindi non tratteremo la questione come un caso penale. Si tratta di una controversia di natura civile».

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