La moglie di Gianluca Di Gioia ucciso da uno squalo a Marsa Alam: «Ho urlato e gridato aiuto, non veniva nessuno»

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Lo scorso 29 dicembre Gianluca Di Gioia, romano, 48 anni, è stato aggredito da uno squalo mentre trascorreva le vacanza di Natale con la famiglia nel resort Sataya di Marsa Alam, in Egitto. A tentare di dargli aiuto un altro italiano, Giuseppe Fappani, 69 anni, che è rimasto gravemente ferito. Oggi Laurence, moglie di Di Gioia, parla con il Corriere della Sera «per risarcire la memoria di Gianluca e raccontare chi era veramente». Nel colloquio con Alfio Sciacca dice che «per mesi ho ascoltato, letto e rivissuto il dramma, senza mai replicare. Io e il resto della nostra famiglia eravamo presenti e siamo testimoni diretti. Mio marito non è stato imprudente, non ha varcato alcuna soglia inibita, non ha sfidato il suo destino».

Il destino e Gianluca

I due quel giorno erano assieme in acqua. Poco distante c’era la cognata di lei Alessandra. «Eravamo nella zona cosiddetta sicura, al di qua delle boe che indicano l’inizio delle acque più rischiose. Nessuno ci aveva allertato di un possibile pericolo. Ovviamente parliamo di boe che galleggiano in acqua. Sotto non c’è una recinzione che possa bloccare l’arrivo di uno squalo», racconta Laurence. «Stavamo facendo snorkeling quando ho visto lo squalo. Era a meno di due metri e puntava dritto verso Gianluca. Ho cominciato a urlare, gli ho detto di allontanarsi, ma in un attimo lo ha aggredito. Ho continuato a gridare con tutte le mie forze, chiedevo disperatamente aiuto, ma non arrivava nessuno. Né un bagnino, né un mezzo di soccorso. Quando poi sono giunta al pontile il bagnino l’unica cosa che faceva era soffiare in un fischietto. Quell’inutile fischio ce l’ho ancora in testa e non potrò mai dimenticarlo».

Il fischietto

«Fischiava, ma nessuno si decideva a mandare un mezzo di soccorso. Una lentezza esasperante. C’erano due gommoni legati, ma non trovavano le chiavi. E quando finalmente sono riusciti e hanno riportato Gianluca sul pontile hanno perso altri dieci minuti prima che arrivasse una macchinina che lo ha portato in un ambulatorio», conclude. La madre di Gianluca, Angela, spiega che c’era anche lei: «Dal pontile ho sentito urlare prima ancora di capire che fosse mio figlio. Ricordo una voce energica, di una persona ancora in forze. Se fossero intervenuti subito, se fosse parito il gommone, se gli avessero legato la gamba bloccando la perdita di sangue mio figlio forse sarebbe ancora vivo. Invece non hanno fatto nulla. Non avevano nulla. Neanche i gommoni erano del resort».

Giuseppe Fappani

A tentare di salvarlo è stato Giuseppe Fappani: «Era in acqua e non ha esitato un momento. Con sangue freddo ce l’ha messa tutta, riportando anche gravi ferite. Non smetteremo mai di ringraziarlo per il suo gesto». Erano in vacanza con il figlio di lei, che ha 10 anni, i suoceri e la cognata Alessandra con il compagno. Una causa contro il resort non è all’orizzonte: «Non lo so e in questo momento non è quello che ci interessa. Ciò che vogliamo ora è che sia fatta giustizia del ricordo di Gianluca. Vogliamo in primo luogo un risarcimento della sua immagine e che venga ristabilita la verità dopo tante bugie che abbiamo sentito. Gianluca era una persona prudentissima. Grande viaggiatore, cittadino del mondo, rispettoso delle regole e della natura. Con il senno di poi l’unica imprudenza è stata quella di scegliere un luogo di vacanza non organizzato e non attrezzato per fronteggiare le emergenze».

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L’amico di Putin stava per andare in onda su Rai3, il caso Vladimir Solovyev da Giletti. Lo stop all’ultimo: chi è il megafono del Cremlino sulla Tv russa

«Stasera a Lo Stato delle Cose non c’è Vladimir Solovyev» conferma Massimo Giletti all’Adnkronos è Massimo Giletti, dopo lo stop che sarebbe arrivato dai vertici Rai al giornalista russo molto vicino a Vladimir Putin. A far scoppiare la polemica era stata la vicepresidente del Parlamento europeo Pina Picierno, del Pd, che Giletti avrebbe annunciato la presenza di «un propagandista russo colpito da sanzioni Ue». Già la sera precedente, comunque, i vertici Rai avevano escluso la presenza del giornalista russo nella trasmissione di Giletti, secondo l’Ansa.

Chi è Vladimir Solovyev

Solovyev in Russia è popolarizzo. Dal 2005 conduce un’importante trasmissione sul canale Rossija 1 ed è considerato uno dei principali propagandisti di Putin. Le sue dichiarazioni controverse, spesso enfatiche e sopra le righe come le continue invocazioni all’uso delle armi nucleari, gli sono valse diversi riconoscimenti in Russia, soprattutto da parte del regime di Putin. Solovyev ha visto crescere il suo patrimonio di anno in anno, rendendolo di fatto un vero e proprio oligarca. 58 anni, nato a Mosca, Solovyev possiede anche due ville faraoniche sul lago di Como, per un valore totale di circa 8 milioni. Nel 2022, la villa a Menaggio, in località Loveno, era stata coinvolta in un incendio.

L’oligarca nella lista dei sanzionati Ue

Esulta l’eurodeputata Picierno, che commenta: «La libertà di stampa o di parola non c’entra nulla, Vladimir Solovjev è il megafono di Putin sulla tv Rossija 1 non è un giornalista. Vorrei ricordare che questo signore all’indomani dell’invasione dell’Ucraina diffondeva video in cui dimostrava che la Russia avrebbe potuto colpire in pochi minuti con bombe nucleari le principali capitali europee. È nella lista dei sanzionati dell’Unione Europea e la Guardia di Finanza gli ha sequestrato due ville sul lago di Como, entrambe furono scoperte dalla fondazione anticorruzione di Alex Navalny che fu arrestato per questo nel 2019. Invitarlo sulla nostra tv di Stato, oltre a configurarsi come una violazione delle sanzioni, sarebbe stato
uno schiaffo a piene mani a coloro che anche in Russia lottano per la libertà».

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Ramy Elgaml, il palo del semaforo buttato tra i rifiuti dopo lo schianto. Il buco nelle indagini: che cosa poteva chiarire sull’incidente

Ramy Elgaml

Il palo del semaforo sotto cui era stato trovato morto Ramy Elgaml non è mai stato sequestrato e quindi è finito in discarica. Si trattava di un «elemento fondamentale» da poter analizzare, secondo l’avvocata Barbara Indovina, che assiste la famiglia del 19enne. Quel palo avrebbe potuto fornire elementi utili a ricostruire la dinamica dell’incidente del 24 novembre 2024, quando il ragazzo è morto a bordo dello scooter guidato da un amico, Fares Bouzidi, dopo un lungo inseguimento dei carabinieri a Milano.

Le richieste inascoltate sul sequestro

L’avvocata Indovina sostiene di aver più volte chiesto nel corso delle indagini di sequestrare e analizzare il palo. Ma l’azienda che smaltisce i rifiuti per il Comune di Milano lo avrebbe smaltito poco dopo l’incidente. Lo confermerebbe in un’email dell’8 febbraio scorso l’ingegnere Marco Romaniello, incaricato dalla procura di un accertamento cinematico sull’incidente. La relazione sarà consegnata domani 11 marzo, dopo l’ultima proroga di circa 10 giorni. Secondo Romaniello, il palo «risultava essere dismesso da A2a due giorni dopo l’incidente».

Che cosa poteva chiarire il palo del semaforo

Quelle 48 ore avrebbero permesso di salvare il palo e metterlo a disposizione degli inquirenti. Ma nessuno deve averci pensato. In un’annotazione della Polizia locale si faceva riferimento ad un urto laterale nelle fasi precedenti e veniva indicato che il 19enne era «in fase di caduta al suolo», mentre l’auto dei carabinieri sarebbe sopraggiunta «in frenata». Dai filmati, acquisiti nelle indagini, pare che il 19enne sia rimasto schiacciato tra l’auto e il palo di un semaforo, perché la macchina e lo scooter si sono schiantate, poi, quasi nello stesso punto.

Gli indagati

Nel fascicolo sono indagati per omicidio stradale Bouzidi e il carabiniere che guidava l’ultima macchina inseguitrice, mentre in un filone per favoreggiamento e depistaggio sono indagati altri due militari che intervennero quella sera perché avrebbero intimato ad un testimone di cancellare un video. Bouzidi, poi, interrogato dal gip per l’accusa di resistenza, aveva parlato di un «urto», di una «spinta da dietro» da parte dei carabinieri nell’ultima fase e i suoi legali hanno avanzato, dunque, l’ipotesi di uno «speronamento volontario».

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