Il quadro rubato a Belluno nel 1973 rispunta in un castello inglese. L’ex baronessa ora vuole un risarcimento

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Nelle cantine di un castello inglese nel Norfolk, che si dice sia stato il «piccolo palazzo di campagna» di re Enrico VIII, giace una Madonna con bambino del 1500, scomparsa dal Museo di Belluno nel 1973. Il nome del dipinto, accanto a quello del suo pittore Antonio Solario, è presente nei database delle opere trafugate «più ricercate»: polizia e carabinieri italiani, fino all’Interpol, stanno tentando di rimettere le mani sul quadro da ormai cinquant’anni. Ma pur sapendo esattamente dove si trova, fino a oggi non c’è stato nulla da fare: la signora Barbara De Dozsa, ex moglie del defunto barone de Dozsa, non ha alcuna intenzione di restituirlo. Non di certo gratuitamente: «Il mio ex marito lo acquistò in buona fede nel 1973», è la sua difesa. E il prezzo lo ha già reso chiaro: l’intero valore del quadro, che si aggira intorno ai 100mila euro.

Il furto e l’approdo in Inghilterra

Acquistato nel 1872 dal Museo di Belluno, per cento anni il quadro di Antonio Solario è stato conservato nella città veneta. Fino al 1973, quando la galleria fu presa di mira da un maxi furto di opere. Molte di queste furono recuperate immediatamente in Austria, altre invece si dispersero per vie traverse in tutta Europa. Così il barone De Dozsa, nel 1973, riuscì ad appendere uno storico quadro del sedicesimo secolo nei corridoi della sua residenza, l’East Barsham Manor a Fakenham, scucendosi solamente qualche centinaia di sterline dal portafoglio. L’opera, però, alla moglie non è mai piaciuta: così, appena l’uomo è mancato, la donna non ha perso tempo a spostarlo in un ripostiglio con l’intenzione di metterlo in vendita.

Le richieste economiche della ex baronessa

Quel momento è arrivato nel 2017, quando Barbara de Dosza si è rivolta a una casa d’aste inglese. Il quadro è stato però individuato da una persona legata al Museo di Belluno, che non ha mancato di segnalare la questione alle forze dell’ordine inglesi. Tra una cosa e l’altra, però, si è messa di mezzo la pandemia: «Le autorità italiane non sono state in grado di fornire i documenti richiesti dalla polizia britannica». Così il dipinto, sequestrato alla donna, le è stato restituito nel 2020. Un atto che la ex baronessa – pur di fronte al chiarimento della polizia – ha letto come una «legittimazione di proprietà». E non ha mancato di citare il Limitation Act del 1980, secondo cui chi acquista beni rubati (non consapevolmente) può essere riconosciuto il legittimo proprietario se per i sei anni successivi al furto nessuno riesce a «collegare l’acquisto al furto». E così, tutti i tentativi di convincere la donna a restituire l’opera sono caduti nel vuoto. Anzi, contattata dall’associazione Art Recovery International, ha fatto il prezzo. Minimo 6mila sterline, quelle che avrebbe pagato per le spese legali fino a oggi. A cui si aggiungerebbero 60-80mila sterline, cioè il valore del dipinto. E, sembra di capire, finché non avrà i soldi in mano non è disposta a collaborare in nessuna forma o modo. E il quadro rimane nel ripostiglio dell’East Barsham Manor.

La battaglia legale

L’avvocato Christopher Marinello, fondatore di Art Recovery International, si sta impegnando da diversi anni per riportare in Italia La Madonna col Bambino. In un’intervista rilasciata al quotidiano britannico The Guardian, ha raccontato di aver più volte cercato di fare appello alla coscienza della De Dosza, senza però ottenere risultati positivi. «È la cosa giusta da fare», avrebbe affermato. Quando gli è stato chiesto perché la polizia non avesse ancora restituito l’opera all’Italia, Marinello ha spiegato che la vicenda «dimostra solo il fallimento delle forze dell’ordine nell’aiutare gli italiani. La polizia britannica ha dichiarato che questa donna non ha commesso alcun crimine, quindi non tratteremo la questione come un caso penale. Si tratta di una controversia di natura civile».

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«I giovani qui si accoltellano, noi invitiamo un trapper che canta di coltelli». L’attacco a Capo Plaza prima del concerto

Capo Plaza

Un minore fermato con un’arma da taglio da 28 centimetri, un sedicenne accoltellato e la cittadina di Montesilvano, in provincia di Pescara, tappezzata di manifesti «anche 6×3» che annunciano un concerto di Capo Plaza. Il tutto durante una giornata, quella di giovedì 6 marzo, in cui due minorenni pescaresi sono stati condannati per l’uccisione – con 25 coltellate – del giovane Thomas Luciani, detto Crox. Una coincidenza e una sovrapposizione reputata inaccettabile dalla consigliera comunale Manuela Natale, del Partito democratico. La richiesta al Comune è semplice: invece che patrocinare con soldi pubblici concerti di trapper che parlano di «droghe, sesso e coltelli», concentrarsi sull’educazione e corsi di legalità nelle scuole.

I testi di Capo Plaza: «Sesso, soldi e coltelli»

«Droghe, sesso, soldi, non facendo mancare menzioni riguardanti coltelli». In una cittadina come Montesilvano, profondamente scossa negli ultimi mesi (e negli ultimi giorni) da episodi di violenza tra minorenni, neanche i testi di un trapper affermato come il salernitano Capo Plaza passano inosservati. Il 26enne si esibirà il 24 agosto al Marea Festival di Pescara, c’è dunque tutto il tempo secondo Natale per fermare il concerto. «Credo che la società abbia un debito verso la cultura e la formazione etica di questi ragazzi, al contrario l’amministrazione di Montesilvano nel calendario degli eventi estivi si fregia della presenza di Capo Plaza», ha protestato. «È sufficiente scorrere i testi per capire che promuove contenuti che vanno nel verso esattamente opposto a quello auspicabile da tutti i genitori».

«Soldi pubblici per iniziative scolastiche»

C’è poi anche una questione personale, che ha spinto Natale a sollevare la questione: «Sono una madre e credo che soprattutto le istituzione dovrebbero promuovere l’educazione al rispetto verso gli altri e alla legalità». Non si tratta però di censura, ha tenuto a specificare la consigliera comunale: «Chiunque può esprimersi come crede, ma un’amministrazione deve valutare e vagliare i contenuti promossi dai cantanti chiamati per i concerti. Sono scelte di un’amministrazione che non dovrebbe impegnare soldi pubblici per eventi nei quali si promuovono quei contenuti». Molto meglio, secondo l’esponente del Partito democratico, utilizzare quei fondi per organizzare corsi di legalità nelle scuole.

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Bloccato nei bagni di Malpensa c’è Jacques Villeneuve, l’ex pilota non aspetta i soccorsi: «Un pezzo di soffitto mi è caduto in testa»

jacques villeneuve malpensa

Un inizio di stagione da incubo per l’ex pilota di Formula Uno Jacques Villeneuve, rimasto bloccato in un bagno dell’Aeroporto di Milano Malpensa proprio mentre stava per imbarcarsi per la prima tappa del campionato del mondo in Australia. Un problema tecnico che il 71enne canadese ha dovuto risolvere con le sue mani. Anzi con i piedi: «Ho dovuto buttare giù la porta a calci», ha scritto in un post su Instagram. «Un pezzo del soffitto mi è caduto in testa, ero pronto a finire sottoterra».

Il racconto sui social media

La disavventura, che è quasi costata il volo all’ex campione del mondo, è avvenuta domenica 10 marzo nei servizi del principale aeroporto lombardo. «Sono rimasto bloccato nei bagni per gli ultimi 20 minuti, la sicurezza non è riuscita a farmi uscire», ha scritto in un primo posto allegando un selfie che lo mostra a metà tra il divertito e il demoralizzato. «Sto tirando lo sciacquone ogni 30 secondi, mi sto divertendo un mondo. Davvero impressionante. Un’ottimo inizio per il viaggio in Australia». Poco dopo l’attesissimo aggiornamento: «Sono riuscito a uscire dopo 30 minuti, ho dovuto buttare giù la porta a calci… Viaggiare è divertente». Insomma, un lieto fine tranne che per la porta.

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