Leggi le notizie 🢃

“Rischiamo di tornare a politiche di austerity, in Italia e in Europa. Nel silenzio generale il governo taglia la sanità e la scuola, non rinnova i contratti pubblici, non contrasta anzi alimenta la precarietà. E si è bloccato sul Pnrr”. È quanto ha detto a Repubblica il segretario generale della Cgil, Maurizio Landini.
In questi cinque mesi, secondo il segretario generale della Cgil Landini, “il governo è andato avanti su tutto senza mai discutere con nessuno”“E’ inaccettabile – dice ancora il numero uno della Cgil – non usare presto e bene i fondi per il dissesto idrogeologico e intanto pensare di togliere la ricostruzione delle terre alluvionate dell’Emilia Romagna a chi conosce bene il territorio”.
Rispetto alle critiche di Fitto alla Corte dei Conti, Landini commenta: “Non si risolve con i bavagli. I numeri sono numeri, i conti sono i conti. E anche i ritardi sono ritardi. Si assumano le responsabilità e facciano le loro scelte”. Intanto “crescono solo i profitti e gli extraprofitti. La maggioranza del Paese non si è accorta che l’economia va meglio”.
“Vediamo che si torna a parlare di pensioni”Martedì da Meloni a Palazzo Chigi “andremo e ascolteremo. Vediamo che si torna a parlare di pensioni. C’è anche l’inflazione e la produttività: cosa significano? In questi cinque mesi il governo è andato avanti su tutto senza mai discutere con nessuno. Con Cisl e Uil confermeremo le nostre proposte della piattaforma unitaria. E faremo notare quel che manca: sanità, rinnovo dei contratti, precarietà, subappalti, Pnrr. E che si continua a morire sul lavoro”.
Sull’evasione “siamo alle solite – conclude Landini – Questo governo la tollera e l’avalla. Le tasse vanno pagate tutte, in proporzione a quello che prendi e che hai”.
L'articolo Landini: “Nel silenzio generale il governo taglia la sanità e la scuola, non rinnova i contratti pubblici, alimenta la precarietà. E si è bloccato sul Pnrr” sembra essere il primo su LA NOTIZIA.

Sirene anti missile sono suonate nella notte a Kiev, dove è entrata in azione la difesa aerea. Nel distretto di Holosiivskyi, a seguito di un attacco di droni, tre persone sarebbero rimaste ferite e una persona morta, secondo l’amministrazione militare della città. Altri droni sono stati distrutti a Zhytomyr, in Ucraina occidentale, a Nikopol e nella regione orientale di Dnepropetrovsk.
Nella notte l’attacco aereo più imponente condotto dalla Russia dall’inizio dell’invasione dell’UcrainaL’esercito ucraino, la scorsa notte, afferma di aver abbattuto 52 droni Shahed di fabbricazione iraniana nello spazio aereo del Paese, sui 54 lanciati dall’esercito Russo proprio alla vigilia del Kiev Day, quando la capitale celebra l’anniversario della sua fondazione di 1541 anni fa con concerti, fiere e mostre. I droni sono stati lanciati dalle regioni russe di Bryansk e Krasnodar. L’attacco, come riporta Rbc-Ucraina, è stato effettuato a più ondate per 5 ore. Secondo informazioni non definitive, un uomo di 40 anni è rimasto ucciso in un distretto di Kiev e una donna è stata ferita.
Gli attacchi sono durati ore. Esplosioni registrate ancora questa mattina anche a ZhytomySecondo l’amministrazione militare di Kief si tratta dell’attacco aereo più imponente condotto dalla Russia dall’inizio dell’invasione. Gli attacchi sono andati avanti l’intera notte, con le esplosioni avvertite non solo a Kiev ma anche in numerose altre città. Secondo quanto riferito dal Kiev Independent, i sistemi di difesa aerea sono rimasti attivi a lungo. Le esplosioni sono state registrate ancora questa mattina anche a Zhytomyr.
L’allarme aereo è scattato intorno all’una di notte ora locale (la mezzanotte in Italia), ed è stato attivato in gran parte delle regioni del Paese. Su Telegram il sindaco di Kiev, Vitaly Klitschko, ha invitato i cittadini a “rimanere nei rifugi. Non trascurate la vostra sicurezza. La notte sarà difficile”.
Attacchi anche nel distretto PecherskA seguito dell’attacco nel distretto di Holosiivskyi “detriti sono caduti sul territorio di una stazione di servizio. Inizialmente, tre persone sono rimaste ferite, secondo i dati preliminari, una persona è morta”. Nel distretto di Pechersk è scoppiato un incendio sul tetto di un edificio di 9 piani a causa della caduta di detriti di droni. Nella notte è stata bombardata anche Nikopol, nella regione orientale di Dnepropetrovsk. “Sei abitazioni e e due edifici sono stati distrutti. Il gasdotto e le linee elettriche sono stati danneggiati. Non ci sono stati morti o feriti: questa è la cosa principale”, ha scritto su Telegram il capo militare regionale, Sergey Lysak.
L'articolo Ucraina, nella notte massiccia ondata di attacchi su Kiev. Colpite anche altre città sembra essere il primo su LA NOTIZIA.

Seggi aperti a Catania, Ragusa, Siracusa, Trapani e in altri 124 comuni siciliani e 39 sardi. Sono quasi 1,5 milioni gli elettori chiamati al voto, al primo turno, per rinnovare i consigli comunali nelle due isole più grandi del Paese.
Occhi puntati sui ballottaggi in 7 capoluoghi: Vicenza, Massa, Pisa, Siena, Terni, Ancona e BrindisiSi vota fino alle 23, mentre domani i seggi riapriranno dalle 7 alle 15. L’eventuale ballottaggio è in programma l’11 e il 12 giugno. Si vota anche per il secondo turno elettorale in 7 capoluoghi: Vicenza, Massa, Pisa, Siena, Terni, Ancona, Brindisi. Sono complessivamente 41 i comuni coinvolti nei ballottaggi.
L'articolo Elezioni, si vota per i ballottaggi in 41 Comuni e per il primo turno in Sicilia e Sardegna sembra essere il primo su LA NOTIZIA.

L’attuazione del Pnrr, per il ministro per gli Affari europei, Raffaele Fitto, “è una sfida per tutto il Paese come ci ricorda sempre il Presidente Mattarella. Serve un approccio costruttivo da parte di tutti, affinché i progetti si realizzino e si rendicontino in modo adeguato”.
Per Fitto serve un approccio costruttivo da parte di tutti, affinché i progetti del Pnrr si realizzino e si rendicontino in modo adeguato“Ognuno – afferma in una lunga nota l’esponente dell’Esecutivo – deve contribuire in maniera proattiva al raggiungimento dell’obiettivo comune: realizzare interamente il Piano, ammodernare il Paese e renderlo competitivo. Quindi tutti dobbiamo lavorare soprattutto tra Istituzioni, privilegiando la prudenza e il confronto preventivo.
“In relazione a quanto rilevato dalla Corte dei Conti in merito ai profili temporali di spesa del Pnrr – argomenta Fitto – si rappresenta quanto segue: nel corso del 2021-2022 le spese sostenute sono riferite principalmente alle rendicontazioni di progetti in essere, quindi precedenti alla nascita del Piano, e inseriti nel Pnrr. In particolare alle misure automatiche di incentivazione fiscale, quali il superbonus e il credito di imposta 4.0”.
A tale circostanza, prosegue il ministro per gli Affari europei, “si aggiunge anche il fatto che a febbraio 2023 sulla base di indicazioni Eurostat è stata definita una nuova modalità di rendicontazione dei crediti fiscali che hanno sostanzialmente esaurito la loro dotazione finanziaria a valere sul Pnrr”.
Per quanto riguarda le spese del 2023 “l’effettiva rendicontazione è subordinata all’avvio dei lavori dei circa 110 miliardi di opere pubbliche che, secondo i cronoprogrammi del Pnrr, inizierà nel corso del 2023. Pertanto solo dopo l’avvio dei lavori sarà possibile rendicontare gli stati di avanzamento e quindi si verificherà un conseguente aumento della spesa effettivamente sostenuta. Per le altre misure a sportello, come previsto, sono in corso di finalizzazione le procedure di attivazione e concessione dei finanziamenti e anche per tali interventi l’effettiva spesa sarà effettuata a partire dalla seconda metà del 2023”.
“Nei prossimi mesi partiranno le rendicontazioni di molti progetti e di molti interventi”“Nei prossimi mesi partiranno le rendicontazioni di molti progetti e di molti interventi – conclude Fitto -, sarebbe auspicabile un approccio costruttivo della Corte dei Conti che potrebbe supportare tutti i soggetti attuatori nella fase di rendicontazione, di campionamento, e di verifica del raggiungimento dei risultati, elaborando format, sistemi di autocontrollo che semplificherebbero i compiti dei singoli soggetti attuatori. In tal senso quindi i controlli non si sovrapporrebbero e il sistema sarebbe in grado di rispondere più efficacemente alle richieste europee. Lavorare insieme, lavorare costruttivamente, lavorare bene”.
Meloni: “Siamo nei tempi”“Il nostro piano è il più grande d’Europa, e una sua revisione richiede una verifica attenta per scongiurare il rischio di fare in fretta e male” ha detto, invece, il presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, in un’intervista al Messaggero. “La scadenza per proporre modifiche è il 31 agosto 2023 e Fitto sta lavorando con la Commissione Europea e le singole Amministrazioni per assicurare la piena attuazione degli interventi. Siamo nei tempi”.
“Lo dimostra il fatto – dice ancora il premier – che a oggi solo 5 Stati hanno presentato la proposta di revisione del Piano con l’integrazione del REPowerEU. Faremo tutto quello che c’è da fare per far arrivare queste risorse a terra, in modo utile ed efficiente”.
Meloni sottolinea come in Italia “la capacità di spesa è un problema storico. Accorpare la delega del Pnrr a quella delle Politiche di coesione nasce proprio da questa esigenza: assicurare una maggiore sinergia tra le diverse fonti di finanziamento, sia per garantire che i soldi vengano effettivamente spesi ma anche per privilegiare misure di qualità e in grado di rafforzare la competitività e avere effetti sul PIL”.
L'articolo Fitto e le destre allo sbaraglio sul Pnrr: prima hanno rifiutato l’aiuto di Conte, ora chiedono la collaborazione di tutti sembra essere il primo su LA NOTIZIA.

Il cavallo di battaglia della Lega, che il governo ha fissato come obiettivo di legislatura, viene ancora una volta bocciato. Dopo la Banca d’Italia e la Commissione europea a rilevare i limiti della flat tax è l’Ufficio parlamentare di bilancio. Il passaggio dagli attuali scaglioni Irpef a uno schema di progressività ad aliquota unica “determina effetti redistributivi che penalizzano i soggetti con redditi medi e favoriscono quelli con redditi più elevati a meno di rinunciare a una elevata quota di gettito”, osserva l’Upb.
Dopo la Banca d’Italia e la Commissione europea a rilevare i limiti della flat tax è l’Ufficio parlamentare di bilancioE anche la flat tax incrementale e la sua estensione ai dipendenti, osserva, si pone in controtendenza rispetto all’obiettivo di accrescere l’equità orizzontale, oltre ad apparire “poco giustificabile anche sotto l’aspetto dell’efficienza”. I dubbi dell’Upb però non si limitano alla sola tassa piatta. La delega “non chiarisce se il punto di arrivo del processo di riforma” dell’Irpef sarà “un sistema duale” oppure se continuerà a coesistere una pluralità di prelievi proporzionali con aliquote differenziate. C’è poi il capitolo coperture.
“Non viene esplicitamente escluso che i decreti attuativi possano essere finanziati anche ricorrendo all’indebitamento netto”, ma questa modalità è per l’Upb “inappropriata” per le conseguenze “negative” che avrebbe proprio sull’equilibrio e sulla sostenibilità dei conti.
“Occorre infine rilevare che gli interventi sui tributi che la delega definisce con maggior dettaglio sembrano complessivamente rivolti a una riduzione progressiva e non trascurabile del prelievo”. E tale esito – si osserva -potrà essere raggiunto solo attraverso una riduzione permanente della spesa pubblica che, anche alla luce dei bisogni che saranno determinati in prospettiva dall’invecchiamento della popolazione, richiederebbe una ridefinizione del livello dei servizi pubblici e delle platee dei beneficiari.
L'articolo Nuova bocciatura per la flat tax. Fa comodo solo ai ricchi sembra essere il primo su LA NOTIZIA.

Il buco della Sanità tocca 1,47 miliardi di euro. Certificato dal Rapporto 2023 sul coordinamento della finanza pubblica della Corte dei Conti. Che scatta un’eloquente fotografia dei bilanci sanitari delle Regioni italiane in “netto peggioramento” nel 2022.
La Corte dei Conti scatta un’eloquente fotografia dei bilanci sanitari delle Regioni italiane in “netto peggioramento” nel 2022Dati impietosi, soprattutto nelle Regioni a statuto ordinario del Nord, che passano da un avanzo di 40 milioni del 2021 a un disavanzo di circa 178 milioni: un trend negativo su cui pesano soprattutto i conti di Piemonte, Liguria ed Emilia Romagna: 186 milioni di disavanzo. Che sale invece di 150 milioni nelle regioni del Centro, dove se il risultato della Toscana è in miglioramento, è il Lazio a presentare il peggioramento più “marcato”.
I risultati migliori, invece, si registrano nelle regioni del Mezzogiorno. Ma vediamo nel dettaglio le maggiori criticità descritte nel rapporto dei giudici contabili, che vanno dall’oggettiva difficoltà di tutte le Regioni a recuperare terreno nei tempi delle liste d’attesa, al peggioramento della sanità territoriale fino all’incapacità di utilizzare i fondi del Pnrr dei quali si è riusciti a spendere appena lo 0,7% delle risorse stanziate per la Mission 6 Salute.
I disavanzi maggiori in Piemonte, Emilia e LiguriaNel 2022, la spesa sanitaria pro-capite al netto della mobilità (in altri termini, la spesa riferita alla popolazione residente nella regione) è stata pari a 2.241 euro, con un tasso di crescita rispetto al 2021 del 2,2 per cento. Dal 2019 ad oggi, le regioni non in Piano di rientro hanno registrato un incremento del costo pro capite del 13,1 per cento (il 10,2 le altre). Sono le regioni del Nord a presentare le variazioni più significative in misura maggiore, rispettivamente del 3,6 e del 14,4%.
Quanto alla Rete territoriale, si continuano a segnalare situazioni di inefficiente utilizzo delle risorse ospedaliere e, al contempo, una inadeguatezza della rete stessa: gli indicatori legati agli accessi ai Pronto soccorso che, diminuiti durante la pandemia, sono aumentati nuovamente nel 2021, evidenziando come in numerose realtà territoriali gli ospedali siano il principale (e a volte l’unico) punto di riferimento per l’assistenza. Difficoltà che trovano riscontro sia nel ritardo con cui è stato possibile recuperare le liste d’attesa dei ricoveri e della specialistica ambulatoriale, accumulate durante la pandemia, sia nelle problematiche relative al personale soprattutto ospedaliero.
Nonostante la proroga di alcune misure adottate durante l’emergenza e la possibilità di stabilizzare gli operatori sanitari, nel 2022 si sono rese sempre più evidenti le carenze di organico, specie in alcune strutture. In particolare, sono venute ad aggravarsi criticità nel funzionamento dei servizi di emergenza e urgenza, sia in riferimento all’utilizzo dei cosiddetti medici a gettone, sia, più in generale, in relazione alla disponibilità di risorse professionali necessarie a garantire il funzionamento di una componente cruciale del sistema di assistenza.
Al Centro, la maglia nera va al Lazio. A livello nazionale rete territoriale e liste d’attesa restano le principali criticitàQuanto al recupero delle liste d’attesa, la spesa rendicontata a consuntivo del 4° trimestre 2022 ammonta a circa il 70 per cento del totale. La lettura dei dati evidenzia una forte disomogeneità che dai risultati conseguiti (proporzione delle prestazioni recuperate rispetto al totale delle posizioni in lista al 31.12.2021 e proporzione delle prestazioni recuperate rispetto al totale indicato nei Piani Operativi Regionali). E la spesa sanitaria? Nel 2022 è cresciuta rispetto all’esercizio precedente del 2,9 per cento, raggiungendo i 131,1 miliardi. Mentre continua la graduale flessione dell’incidenza in termini di prodotto rispetto ai livelli raggiunti durante la pandemia: dal 7,4 per cento del 2020, al 7,2 del 2021, a poco più del 6,9 dell’esercizio appena concluso.
L'articolo Buco della Sanità a 1,47 miliardi. Sale la spesa, peggiorano i servizi sembra essere il primo su LA NOTIZIA.

“Gli occhi degli inviati di guerra sono gli occhi di chi ha il coraggio di stare sul campo, al fianco dei civili, dei soldati, lungo la fragile linea che divide la vita dalla morte. I loro occhi sono gli occhi della guerra. Senza di loro noi saremmo ciechi, senza di loro noi non avremmo la possibilità di sapere davvero cosa accade nei teatri di guerra, facendoci sentire parte di quello che sta succedendo”. Lo ha detto la presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, in un videomessaggio all’inaugurazione della mostra fotografica ‘Bearing Witness’ all’Istituto italiano di cultura di New York.
La giornalista Meloni tace su Rocchelli ucciso dagli ucraini. E dopo Saviano, La Notizia e molti altri querela Canfora“Io – ha aggiunto Meloni – voglio cogliere questa occasione per ringraziare i tanti professionisti che attraverso questo straordinario lavoro rendono un servizio grandioso all’informazione, al giornalismo, a noi rappresentanti delle Istituzioni che attraverso quegli scatti vediamo una realtà che ci aiuta a prendere delle scelte più consapevoli, fino ai cittadini”.
Peccato che tra i dovuti ringraziamenti la presidente del Consiglio continui a ignorare un giornalista italiano inviato di guerra ammazzato il 24 maggio 2014 che ancora deve avere giustizia. Per l’assassinio di Andrea Rocchelli e del collega russo Andrej Mironov è stato processato Vitaly Markiv, militare della Guardia nazionale ucraina, condannato a 24 anni in primo grado e poi assolto in Appello e in Cassazione. “La nostra è una irrisolta domanda di verità e giustizia – ha detto Elisa Signori, madre di Andy, in un intervento pubblicato sul sito di Articolo21 e ripreso da La Provincia pavese – per un delitto che la magistratura italiana definisce un crimine di guerra, ma su cui si stende l’oblio. L’obiettivo che ci proponiamo è porre fine all’impunità per questo delitto, consapevoli di difendere così la vita di civili e giornalisti che operano in scenari di crisi e di guerra”.
E peccato che il governo di Giorgia Meloni con i giornalisti qui in Italia insista a usare l’arma delle querele come forma di intimidazione: da Roberto Saviano, alle cause a noi de La Notizia fino alla querela annunciata ieri a Luciano Canfora (nella foto) questo governo dimostra di avere una strana idea della libertà di opinione e di stampa, confidando più nell’effetto giudiziario che nel dibattito.
“Un giorno tornerò alla mia professione” di giornalista, “perché ho sempre pensato che la politica sia un passaggio transitorio per tutti e guardo sempre con un occhio di favore a questa professione fondamentale, per la sua capacità di fare il suo lavoro nel migliore dei modi guardando alla responsabilità che si porta dietro con condizioni di libertà e stabilità, anche salariale”, aveva detto la presidente del Consiglio, nella conferenza stampa di fine anno.
Del passato giornalistico della premier e leader di Fratelli d’Italia, si hanno poche tracce ma della sua idea di giornalismo possiamo capire qualcosa. Giorgia Meloni ama i giornalisti di guerra ma i giornalisti di pace Giorgia Meloni li vorrebbe ciechi e sordi, senza occhi e senza orecchie, per poter stare più tranquilla.
L'articolo Onore ai cronisti morti in guerra e querele ai vivi sembra essere il primo su LA NOTIZIA.

Pochi hanno capito se si tratta di una semplice boutade o se dietro la battuta ci fosse un briciolo di verità. Certo è che ieri, dopo le nomine dei nuovi direttori in Rai, a sganciare quella che lo stesso Fiorello ha definito una “bombetta” è stato proprio il mattatore di “VivaRai2”: “Amadeus continua a seguirci imperterrito e indefesso. L’ho sentito ieri. Mi ha detto una cosa: non so se quest’anno farò Sanremo”. Lo showman d’altronde, nel clima dei grandi cambiamenti in corso a Viale Mazzini, da giorni parla (e ironizza) su temi caldi come il passaggio di Fabio Fazio da Rai 3 a Discovery, i rumors su Serena Bortone che potrebbe anche lei passare sul canale Nove, le nomine di Roberto Sergio e Giampaolo Rossi come ad e direttore della Rai.
Smentite le voci di addio su Amadeus. Insinna e Costamagna resterebbero fuori in caso di new entry da MediasetE ancora: le nomine dei direttori di testata e le questioni di genere. Al di là se ci sia del vero o meno, in tanti hanno preso la “battuta” di Fiorello sul serio. C’è da dire, a onor del vero, che nei giorni di Sanremo, il conduttore e direttore artistico del Festival ha partecipato attivamente al programma di Fiorello, dando anticipazioni sulle giornate della gara. Ed è questo ciò che farebbe pensare alla dichiarazione veritiera. Tanto più che ieri non è arrivato nessuna telefonata o messaggio per far luce sulla “bombetta” da parte dello stesso Amadeus. Non a caso a placare gli animi è arrivata la smentita da fonti Rai, che fanno sapere che il neo amministratore delegato della Rai, Roberto Sergio, e Amadeus stanno lavorando “tranquillamente” all’edizione di Sanremo 2024.
In tanti d’altronde hanno sottolineato che c’è un contratto che lega Amadeus alla Rai per la direzione artistica del prossimo Festival. Ma allo stesso modo c’è anche chi sottolinea che anche Lucia Annunziata era legata da contratto e il suo programma era stato appena rinnovato dallo stesso Sergio. E invece? E invece, come sappiamo, poche ore dopo la nomina dei nuovi direttori, la stessa Annunziata ha annunciato le sue dimissioni irrevocabili, nonostante programma, rinnovo, e compagnia cantando.
Ovviamente quello che ora si teme è il grande esodo dalla Rai. Non è un caso che, da quello che trapela da Viale Mazzini, l’idea dell’amministrazione è confermare “Mezz’ora in più” pur senza la Annunziata così da dare uno spazio a chi invece potrebbe andar via. Un nome caldo è quello della stessa Bortone, a maggior ragione dopo le foto che la stessa conduttrice ha pubblicato insieme a Laura Carofoli, la “mente” dietro la renovatio di Discovery che sta cambiando pelle andando a pescare proprio dai transfughi della Rai.
Ma si fa il nome anche di Luisella Costamagna, nome che non dispiacerebbe ai Cinque stelle ed è cosa rilevante vista la mediazione che c’è stata con Fratelli d’Italia sulle nomine. Altro nome autorevole (e apprezzato anche a destra) è quello di Monica Maggioni. Non è finita qui, però. Nel movimento che si sta creando nell’ultimo periodo, tra chi entra e chi esce in Rai, potrebbe alla fine essere attratto da altri contratti anche Flavio Insinna che come noto verrà sostituito da Pino Insegno. Per adesso resta a guardare anche Marco Damilano: il suo programma su Rai3, “Il cavallo e la torre”, è stato già confermato ma anche in questo caso vale il principio per cui un rinnovo non vale una conferma. Tanto più se si pensa che per una striscia serale (anche se è difficile immaginarlo su Rai3) c’è chi vorrebbe spingere il nome di Marcello Veneziani.
E se in Rai si sta ragionando sulle prossime eventuali fughe, non si respira un’aria troppo diversa in Mediaset. La dirigenza di Viale Mazzini non vedrebbe di cattiva luce l’approdo come noto di Nicola Porro in Rai. Anzi, un ritorno avendo lui già condotto fortunati programmi sulla Tv di Stato. In alternativa i nomi scritti sul taccuino sono innanzitutto quello di Veronica Gentili, ritenuta sicuramente il volto più pacato per una trasmissione del servizio pubblico. Ma non dispiacerebbe neanche sparigliare le carte con un conduttore come Mario Giordano.
L'articolo Non solo Fazio e Annunziata. Chi può prepara l’esodo dalla Rai in versione Meloni sembra essere il primo su LA NOTIZIA.

Ieri mattina Andrea Urbani è stato nominato dalla giunta regionale guidata da Francesco Rocca “Direttore della Direzione regionale “Salute e Integrazione Sociosanitaria”. Una nomina scontata visto che Urbani lavorava come anticipato da La Notizia (e dietro sua ammissione) già da diversi mesi per la Regione Lazio nel ruolo di consulente senza essere formalmente assunto, dove ha audito i direttori generali di Asl e Aziende ospedaliere su questioni contabili.
Il governatore Rocca ha nominato ieri il suo consulente Andrea Urbani a capo della Direzione regionale Salute e Integrazione SociosanitariaMa sull’atto di nomina nonostante Urbani da mesi occupi l’ufficio che solo oggi gli appartiene di diritto è stato scritto che all’avviso per il conferimento dell’incarico di Direttore della Direzione regionale “Salute e Integrazione Sociosanitaria” hanno risposto 5 soggetti esterni. Un atto pubblicato dall’amministrazione regionale, sul BUR n. 35 del 2 maggio 2023 e sul sito istituzionale della Regione Lazio, scaduto il 12 maggio 2023, peccato che il posto a quanto sembra era già occupato.
Ma se a marzo Urbani era senza contratto oggi può addirittura vantarne due. Proprio così Urbani fresco di nomina da direttore regionale della salute l’8 maggio è stato conferito di un ulteriore incarico fiduciario nella posizione denominata “Progetti Speciali”, istituita nell’ambito dell’Ufficio di Gabinetto del Presidente della Regione Lazio. Il dott. Andrea Urbani ha sottoscritto infatti un contratto individuale di lavoro a tempo pieno e determinato della durata di cinque anni che prevede un compenso annuo di 70mila euro integrato da un indennità annua di 44mila euro.
Denaro che va ad aggiungersi ai 155mila euro annui per l’incarico di Direttore della Salute regionale che ha la durata di tre anni. Contratti su cui non sembrerebbe almeno per il momento esserci incompatibilità visto che il ruolo “speciale” per Urbani si legge nell’atto l’Anac “ha chiarito (da ultimo con deliberazione 803/2019) che l’incarico di responsabile degli uffici di diretta collaborazione degli organi di indirizzo politico è espressamente sottratto alla disciplina delle inconferibilità e delle incompatibilità di cui al d.lgs. n. 39/2013”.
Chi è Andrea UrbaniUrbani, 59 anni, laureato in Economia e commercio è stato direttore generale della Programmazione sanitaria del ministero della Salute e nel 2020 fece uscire dal commissariamento la Sanità del Lazio Urbani e oggi dai primi atti di questa nuova amministrazione (blocco assunzioni e bandi) sembrerebbe esserci tutta l’intenzione di commissariare di nuovo la sanità laziale. Urbani è anche tra gli indagati dalla procura di Bergamo per la mancata estensione della Zona Rossa ed era finito in una maxi inchiesta delle fiamme gialle di Catanzaro per degli emolumenti aggiuntivi erogati ad una Task Force veterinaria quando era sub-commissario in Calabria insieme al commissario Massimo Scura. Entrambi erano stati chiamati dal Governo nel 2016 ad attuare il piano di rientro.
L'articolo Regione Lazio, doppia poltrona per Andrea Urbani sembra essere il primo su LA NOTIZIA.

Rete italiana pace e disarmo, l’Arci, Movimento cristiano lavoratori, Acli, Comitato fermare la guerra, di cui è portavoce l’ex sindaco di Roma, Gianni Alemanno. Sono alcune delle realtà che ieri si sono ritrovate, superando tutte le barriere ideologiche, di nuovo attorno a un tavolo per chiedere il cessate il fuoco davanti al conflitto in corso in Ucraina e invocare la pace.
Alemanno qual è il messaggio che avete voluto mandare?
“Esprimere la nostra solidarietà al Santo Padre perché si è trovato isolato dal presidente dell’Ucraina Volodymyr Zelensky e anche dalle istituzioni italiane che non hanno fatto nulla per stargli vicino quando Zelensky gli diceva che Kiev non ha bisogno di mediatori. Vogliamo sostenere dunque l’azione del Papa che è l’unica personalità internazionale che si sta muovendo per la pace. Non è un caso che il convegno si sia svolto a Radio Vaticana, a due passi da San Pietro”.
Mosca ha dichiarato di apprezzare l’iniziativa di pace del Papa. Ma Zelensky appare fermo sul suo piano.
“Certamente se gli europei, oltre che gli americani, continuano a ripetere che l’unica pace possibile è quella che sceglie Zelensky è chiaro che gli mettiamo completamente in mano il discorso e questo non è possibile nel momento in cui c’è questa fornitura costante di armi. Noi dobbiamo partire dalla richiesta del cessate il fuoco. E andrebbe valutato di sospendere l’invio di armi proprio per indurre l’Ucraina a un atteggiamento propositivo. Prima bisogna fermare la strage, poi si può aprire il tavolo di trattativa e trovare una soluzione. Ma se prima pretendiamo di risolvere tutto, come la questione dei confini, questa guerra potrebbe durare anni e anni con costi umani, politici ed economici indicibili”.
È possibile pensare che l’Italia e l’Ue possano svolgere un ruolo diverso da quello della Nato e degli Usa?
“La Nato siamo anche noi, non dipende solo dagli Usa quello che fa. La Nato peraltro è un’alleanza difensiva e non sta scritto in nessun articolo del suo trattato che possa essere utilizzata come un poliziotto del mondo che interviene in paesi che non fanno parte dell’alleanza come l’Ucraina. La Nato non può porre nessun veto. Se gli Usa hanno tutto l’interesse a continuare la guerra, gli europei, a partire dall’Italia, possono cominciare seriamente a parlare di pace. Solo così si può sperare che questo castello che si è costruito in questo anno cominci a smantellarsi. Il punto vero è che l’Italia ha abbandonato in queste circostanze il suo consueto ruolo di mediazione e di moderazione che ha sempre avuto nel contesto Nato. Oggi siamo in una posizione che non ha precedenti nella storia repubblicana. Se già l’Italia cambiasse atteggiamento, dando segnali seri di volere la pace, potrebbe fare da sponda anche a Francia e Germania per un cambiamento complessivo della situazione”.
Cosa comporta la scelta della pace in termini di politica estera ed economica?
“Stiamo entrando in un mondo multipolare in cui non c’è più l’unipolarismo statunitense ma non ci deve essere neanche un bipolarismo Usa-Cina. Ci dev’essere la possibilità per le grandi aree geopolitiche di autodeterminarsi. Per l’Italia si aprirebbe la possibilità di avere nuove relazioni economiche, nuove libertà, anche nei confronti dell’Ue e del contesto occidentale. C’è tutto un mondo – pensiamo ai Brics, all’india, all’Africa, al Brasile – che vorrebbe avere interlocuzioni diverse e invece trova un atteggiamento ottusamente atlantico che non solo è sbagliato ma anche antistorico”.
L’opinione pubblica italiana è pacifista. C’è in questo uno scollamento dall’indirizzo bellicista del governo.
“Esatto. Anche se bisogna dire che c’è un sentimento molto diffuso a destra che critica questa guerra di cui gli unici che si sono assunti la responsabilità di rappresentarlo siamo noi del ‘Comitato fermare la guerra’. Che abbiamo scelto di aderire alla raccolta referendaria lanciata dai due comitati ‘Ripudia la guerra’ e ‘Generazioni future’, che può essere lo strumento per far sentire la voce del popolo al di là di quella che è la politica ufficiale”.
Ci sono speranze che questo conflitto presto finisca?
“Bisogna alimentarle in tutti i modi. Le sponde sono tante, bisogna avere coraggio. Perché c’è la sponda del Papa, quella della raccolta referendaria, tutto un movimento trasversale di comitati e associazioni, e anche in Parlamento ci sono forze che, come il Movimento Cinque Stelle, premono in questa direzione. Io credo che se ci si impegna tutti si può riuscire a far cambiare posizione al governo”.
L'articolo Ucraina, Alemanno: “Senza il cessate il fuoco impossibile trattare. Si segua la via del Papa” sembra essere il primo su LA NOTIZIA.

Se Giorgia Meloni fosse ancora all’opposizione e non a Palazzo Chigi molto probabilmente la frase che userebbe più spesso sarebbe, “Ma che? Ce stai a provà?”. Da quando è al governo, è invece proprio il centrodestra da lei guidato che “ce sta a provà”, infilando nei decreti legge, di cui sta facendo largo uso (sono già venticinque), norme che nulla hanno a che fare con lo stesso decreto.
Il trucco dei decreti omnibus ha infastidito il presidente della Repubblica Sergio MattarellaIl trucco dei decreti omnibus ha infastidito il presidente della Repubblica Sergio Mattarella che, stando a indiscrezioni pubblicate dal quotidiano La Stampa, avrebbe chiamato a rapporto, in “maniera informale”, i presidenti di Camera e Senato, Lorenzo Fontana (Lega) e Ignazio La Russa (Fratelli d’ Italia). Nell’incontro l’inquilino del Colle avrebbe sollecitato seconda e terza carico dello Stato a non ammettere emendamenti del tutto estranei alle materie dei provvedimenti urgenti.
Alla fine dell’iter, quando deve firmare per la promulgazione, il presidente della Repubblica si ritrova, infatti, un testo irriconoscibile, completamente diverso da quello che aveva autorizzato il governo a presentare. Ed è costretto a rinviare il testo, come quando, non più tardi di due settimane fa, nel cosiddetto “decreto bollette” Mattarella rilevò la presenza di alcune norme disomogenee (estranee cioè all’impianto del decreto stesso), tra cui una norma che avrebbe impedito ai parlamentari l’ingresso nelle carceri senza preavviso.
Il Capo dello Stato non ha titolo per intervenire sui lavori del Parlamento, per cui avrebbe esercitato una moral suasion su La Russa e Fontana per sollecitarli, com’è nelle loro prerogative, a prendere l’iniziativa contro l’ammissibilità di quegli emendamenti che trasformano le norme in decreti omnibus. Sono infatti gli emendamenti parlamentari lo strumento per far passare questioni estranee all’impianto dei decreti, uno strumento di cui la stessa maggioranza si avvale in modo sistematico, a volte d’accordo con l’esecutivo, per soddisfare le più svariate istanze.
Le statistiche elaborate dal sito Openpolis parlano chiaro: il governo Meloni ha emesso 25 decreti in 6 mesi. Nello stesso periodo sono state approvate solamente 5 leggi ordinarie. L’attuale esecutivo presenta il dato più alto di decreti legge pubblicati in media al mese (4,17) tra i governi delle ultime 4 legislature. Openpolis rileva anche che “in molti casi il governo ricorre ai decreti legge per ridurre al minimo le discussioni e approvare i provvedimenti così come deliberati in Consiglio dei ministri”.
E in molte occasioni il centrodestra non solo “ci ha provato”, ma è riuscito a far passare norme fuori contesto. Qualche esempio? Il cosiddetto “decreto rave”, che, oltre a introdurre una stretta a contrasto dei raduni illegali, ha previsto nuove norme anche in tema di detenuti, oltre al reintegro del personale sanitario non vaccinato e il decreto 169/2022 che oltre a prorogare la partecipazione dell’Italia alle iniziative della Nato ha disposto la proroga del commissariamento del sistema sanitario calabrese.
L’urgenza a volte è solo politica e non legata a situazioni di emergenza (è successo con il decreto lavoro emanato prima delle ultime amministrative). Se per i provvedimenti più urgenti la pubblicazione è avvenuta nell’arco di massimo 24/48 ore, in 8 casi, rileva Openpolis, la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale è avvenuta con più di una settimana di ritardo. Un lasso di tempo in cui può accadere che le discussioni sul testo del decreto proseguano e che la versione definitiva sia diversa da quella che ha ricevuto l’approvazione.
L'articolo Con i decreti si è superato il limite. Mattarella striglia La Russa e Fontana sembra essere il primo su LA NOTIZIA.

L’ignobile balletto politico intorno alla nomina del commissario per le alluvioni in Emilia-Romagna registra l’ennesima puntata. Si parte con l’intervista di ieri del presidente della Regione Emilia Romagna Stefano Bonaccini (Pd) che ripete che “il tema non è il nome”: “Io spero solo che chiunque scelgano non lo facciano per questioni di consenso senza tenere conto delle urgenze. Sarebbe deprimente. Io ora mi occupo di fare l’amministratore.
L’ignobile balletto politico intorno alla nomina del commissario per le alluvioni in Emilia-Romagna registra l’ennesima puntataLa politica è la mia vita, ma ci sono momenti in cui bisogna metterla da parte e darsi da fare senza tenere conto delle bandiere. Nell’emergenza lo schema politico salta. Io, l’ho già detto, spero solo che il commissario, chiunque sarà, non pensi di poter gestire questa situazione al telefono da Roma. Perché rallenterebbe tutto. Senza un confronto e una collaborazione serrata con gli amministratori di qui, sindaci in primis, la situazione non si risolve”, spiega Bonaccini a Repubblica. Il tema non è il nome ma è un attorcigliarsi continuo intorno al nome.
Giorgia Meloni non ha nascosto il suo fastidio sul dibattito che si è innescato, non mancando l’occasione di accusare i giornalisti di fomentare il chiacchiericcio e dimenticandosi che siano stati proprio i suoi presidenti di Regione (dal presidente della Calabria Occhiuto al veneto Zaia passando per il ligure Toti) a prendere posizione in favore di Bonaccini. “Non mi posso autonominare commissario, né mi interessa quale sarà il mio ruolo.
Ma la cosa certa è che in qualsiasi veste ho sempre dimostrato che ci metto sempre la determinazione per fare ciò che serve a questa terra”, ha detto ieri il presidente della Regione Emilia Romagna, intervenendo alla trasmissione di La7 L’Aria che tira. “Io ci sono e ci sarò finché non avremo ricostruito tutto indipendentemente dal mio ruolo – ha detto Bonaccini -. È il governo che deve decidere cosa fare”.
A stopparlo ci ha pensato subito il vicepresidente del Senato Maurizio Gasparri: “Ha ragione Giorgia Meloni quando dice che la questione del Commissario verrà affrontata a tempo debito. In questi giorni – dice Gasparri – il presidente della Regione Emilia Romagna Bonaccini ha ringraziato pubblicamente per aver avuto la possibilità di incontrare la premier Giorgia Meloni e i ministri competenti a Palazzo Chigi per discutere le azioni da adottare nei territorio colpiti dall’alluvione. Poi, sulla base di diverse valutazioni, sarà il governo stesso a decidere se il Commissario dovrà essere Bonaccini oppure un’altra figura nazionale. Dipenderà dall’entità dell’emergenza”.
Ieri il capogruppo di Fratelli d’Italia Foti ha rilanciato l’accusa contro il presidente dell’Emilia Romagna di non essere riuscito a spendere i fondi del Ministero alle Infrastrtture per la messa in sicurezza dei corsi d’acqua esondati in questi giorni. Dura la reazione del Pd che in una nota congiunta di Marco Simiani, capogruppo Pd in Commissione Ambiente e Virginio Merola Capogruppo Pd in Commissione Finanze di Montecitorio intima alla maggioranza di “gettare discredito sull’operato del governatore Bonaccini: la sua regione, secondo i dati Ispra, visto l’ultimo rapporto del ReNDiS, con 4,4 anni, è infatti la prima, nelle regioni del nord in Italia per i tempi di l’attuazione degli interventi di mitigazione del rischio idrogeologico, a dispetto del Veneto che è l’ultima con 6,8 anni.
Le fake news, in questo contesto, rilanciate dal Capogruppo di Fdi Foti a Montecitorio su presunte inadempienze, si commentano da sole e hanno come unico scopo quello di giustificare i ritardi del governo sulla nomina del Commissario”, scrivono. Il problema politico di fondo è che Bonaccini insiste, anche nelle sue ultime interviste, a contrapporre l’ambientalismo al lavoro come un Feltri qualsiasi. Parlando dell’obiettivo i consumo di suolo a saldo zero a Repubblica Bonaccini ha risposto che “ci si può anche ragionare. Purché si tenga conto che questa regione, da poverissima che era nel primo dopoguerra, è diventata ricca. E che ha il tasso di disoccupazione più basso del Paese. Oltre ad avere il numero più alto di studenti universitari. E livelli altissimi di welfare.
Insomma che non si commetta l’errore di mettere in contrapposizione ambiente e lavoro, perché sarebbe uno sbaglio madornale”, spiega il presidente. Dare per scontato che solo il nuovo cemento possa essere motore dell’economia è un’idea miope e superata da anni ma sopratutto è un’idea considerata vecchia e sbagliata nella gran parte dei partiti socialdemocratici europei.
Il nocciolo politico della questione (vale a destra e a sinistra) è che non c’è più tempo per le promesse di una classe dirigente che sul consumo di suolo e sulla coscienza ambientalista ha già fallito. Le alluvioni recenti e quelli che verranno sono la plastica dimostrazione di un allarme che richiede una svolta di uomini, di pratiche e di idee. E il balletto sul commissario mentre i romagnoli faticano a ripulirsi dal fango è solo l’ennesimo dibattito fuori fuoco.
L'articolo La Romagna annega nel fango. A Roma litigano sul commissario sembra essere il primo su LA NOTIZIA.
È da ottobre che si parla di controffensiva ucraina a primavera. Ma la primavera è quasi finita e non s’è visto niente.
Paco Ruberti
via email
Gentile lettore, non s’è visto e forse non si vedrà niente. Le scene dei guerrieri ucraini che, roteando sciabole tra le fiamme, avrebbero fatto a pezzi le orde russe, erano balle hollywoodiane per indurre i Paesi occidentali a fornire altre armi e soldi a Kiev. E infatti Kiev ora comincia a balbettare. Alcuni, tra cui Mykhaylo Podoloyak, consigliere del presidente Zelensky, dicono che la controffensiva è già cominciata ma i dettagli sono segreti. Altri, incluso Zelensky, dicono che i piani d’attacco non sono ancora pronti. A orecchio, non sanno che pesci pigliare. Penso che presto o tardi saranno costretti, per soddisfare le attese degli alleati, a tentare un’azione massiccia, ma l’esito è già scritto: a parte forse qualche successo tattico di breve durata, gli attaccanti saranno spazzati via dai russi, che poi contrattaccheranno. Una carneficina. Secondo Scott Ritter, ex ufficiale dell’intelligence Usa, la data dell’offensiva ucraina è “probabilmente mai”. Perché Kiev non ne ha le forze. I 30mila soldati addestrati dalla Nato nei mesi scorsi si aggiungeranno ai circa 300mila già sul campo, ma Mosca dispone adesso di 700mila uomini, ha elaborato sistemi elettronici che acciecano i razzi Himars americani, ha la netta superiorità aerea e ha allestito potenti difese sul terreno. L’impresa ucraina è disperata. Per questo Kiev cerca di deviare l’attenzione con sortite fantasiose come quelle del gruppo dei sedicenti “ribelli russi” infiltratisi oltreconfine. Ma sono inutili diversivi.
Inviate le vostre lettere a: La Notizia – 00195 Roma, via Costantino Morin 34 redazione@lanotiziagiornale.it
L'articolo Aspettando l’offensiva ucraina sembra essere il primo su LA NOTIZIA.

Prima è stata la Commissione europea ad avvertirci dei rischi di crescenti ritardi nell’attuazione del Pnrr, ieri è intervenuto il Fondo monetario internazionale a metterci in guardia dalle ricadute negative che lo stallo sui fondi europei potrebbe comportare. “La piena e tempestiva attuazione del Pnrr dell’Italia è necessaria per aumentare la produttività e stimolare la crescita potenziale” in Italia, dichiara il Fmi. Secondo i tecnici di Washington, le riforme del Pnrr “sono mirate a colmare numerose carenze che frenano la produttività e dovrebbero essere attuate pienamente e tempestivamente”.
Il Fondo monetario internazionale bastona l’Italia su debito pubblico e ritardi del PnrrLo stallo, conclude il Fmi, nei progressi dell’implementazione del Pnrr potrebbe indebolire le prospettive future di produttività. E al Fondo monetario internazionale che ci richiama pure all’ordine sull’impegno di riduzione del debito replica il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti. “Lo stiamo riducendo”, assicura il numero uno di via XX Settembre. Mentre sul Mes Giorgetti replica all’Europa, garantendo che il governo non sta usando il freno alla ratifica come arma di “ricatto”. Ma è un fatto che l’Italia sia l’unico paese Ue a non averla ancora votata mentre presenta a Bruxelles una serie di desiderata sulla riforma del Patto di stabilità e chiede “flessibilità” sull’utilizzo dei fondi e sul Pnrr.
A certificare lo stallo sul Pnrr sono stati ancora una volta i magistrati contabili. Nei primi quattro mesi dell’anno – ha spiegato la Corte dei Conti nel Rapporto 2023 sul coordinamento della finanza pubblica – le spese sostenute si fermano a 1,155 miliardi sui 33,8 programmati entro dicembre. A fine 2022 i 24,5 miliardi di spesa sostenuta dalle amministrazioni centrali titolari di misure del Pnrr “testimoniavano un avanzamento del 12,8%”; considerando anche il progresso dei primi mesi di quest’anno, “il tasso sale al 13,4%”.
Se le prime 3 missioni (digitalizzazione, transizione energetica e infrastrutture), “evidenziano progressi più ampi, tutti superiori al 16%”, le missioni 4 e 5 (legate all’istruzione e all’inclusione) presentano tassi di avanzamento vicini al 5%, mentre la 6 in tema di salute non raggiunge neanche la soglia dell’1%. Una situazione allarmante considerato anche che, come indicano sempre i magistrati contabili, i bilanci delle Regioni per la Sanità sono “in netto peggioramento”, con un rosso in crescita che nel 2022 è arrivato a 1,4 miliardi.
Fitto liquida tutto come “isteria”Ebbene, di fronte ai richiami che arrivano dall’esecutivo comunitario e dal Fmi, davanti ai ritardi evidenti accumulati e certificati, il ministro Raffaele Fitto, a cui la premier Giorgia Meloni ha affidato la regia del Piano, pensa bene di buttarla in caciara e derubricare il tutto a semplice “isteria”. Sul Pnrr è in corso “un dibattito che spesso appare un po’ troppo isterico”, dichiara Fitto che parla anche di polemiche politiche surreali. Per esempio “nel dibattito italiano si fa la corsa a prendersi i meriti per le risorse concesse all’Italia, “ma non ci sono meriti né medaglie da appuntarsi” perché, dice, i criteri erano oggettivi.
Eppure il suo collega Adolfo Urso ha spiegato che le responsabilità sul Pnrr sono da addebitare ai governi precedenti quando “vennero richieste risorse a debito senza progetto, poi i progetti uno accatastato sull’altro, alcuni dei quali bocciati”. “Ogni domanda apre un dibattito che non serve a nulla”, prosegue Fitto rispondendo a chi gli chiedeva conto dei rischi legati ai ritardi. “Il Governo sta lavorando, ed è un lavoro serio”, sottolinea, rinviando ogni ulteriore valutazione “alla relazione semestrale”.
Come al solito di rinvio in rinvio. La deadline per presentare le modifiche al piano è quella del 31 agosto. La Commissione europea ha fatto capire che sarebbe bene che arrivassero prima di quella data per aprire al più presto la trattativa. Ma i ministeri sono in notevole ritardo con la presentazione della mappatura dei progetti in capo a loro. Ed ecco che Fitto dichiara di volersi prendere tutto il tempo a sua disposizione. “Abbiamo il termine regolamentare europeo che è il 31 agosto”, ricorda.
L'articolo Schiaffo dal Fondo monetario. Intollerabile stallo sul Pnrr sembra essere il primo su LA NOTIZIA.

Da un lato la sfida finale nei ballottaggi che dovranno decidere la sorte degli ultimi sette capoluoghi e di 41 comuni ancora in palio, dall’altro il primo turno delle amministrative in Sardegna e soprattutto in Sicilia dove saranno in lizza i posti di primo cittadino a Catania, Siracusa, Ragusa e Trapani. Si prospetta una partita accesa tra domenica e lunedì quando le coalizioni si fronteggeranno in quello che viene definito un ‘test’ per i partiti visto che la coalizione di Giorgia Meloni vuole confermare di avere l’appoggio degli italiani mentre Giuseppe Conte e Elly Schlein sperano di avere scoperto la ricetta per battere le destre.
Tra domenica e lunedì i ballottaggi dovranno decidere la sorte degli ultimi sette capoluoghi e di altri 41 ComuniChe la partita sia aperta e decisiva, nonché temuta, lo lascia pensare anche l’impegno profuso dalla maggioranza che mercoledì ha dato il via libera al Ponte sullo Stretto probabilmente nella speranza di capitalizzare consensi in Sicilia. Esigenza che evidentemente viene condivisa dai vertici della coalizione e del governo visto che la premier e i due vice, Matteo Salvini e Antonio Tajani, oggi sono giunti a Catania per la chiusura della campagna elettorale facendo leva sull’approvazione della maxi opera da 14 miliardi di euro.
Così dopo un primo round elettorale che si era concluso con un leggero vantaggio delle destre, le quali si erano assicurate quattro capoluoghi, ossia Sondrio, Treviso, Latina e Imperia, mentre il centrosinistra ha conquistato Brescia e Teramo, quella che andrà in scena tra domenica e lunedì sarà una battaglia letteralmente all’ultimo voto.
Tra le partite più interessanti e combattute spicca la battaglia di AnconaTra le partite più interessanti e combattute spicca la battaglia di Ancona, unico capoluogo di regione al voto, che da trent’anni è nelle mani del Centrosinistra. Un dominio incontrastato che questa volta vacilla pericolosamente visto che il candidato sindaco del Centrodestra, Daniele Silvetti, al primo turno era in forte vantaggio. A lui, infatti, gli anconetani hanno accordato il 45% delle preferenze a fronte del 41,3% finito alla vicesindaca uscente Ida Simonella, sostenuta da una coalizione di centrosinistra ma senza il Movimento 5 Stelle. Si tratta di una partita molto sentita dai due schieramenti visto che per Silvetti è sceso in campo il ministro per lo Sport, Andrea Abodi, mentre per Simonella si è mossa in prima persona la segretaria del Partito democratico Elly Schlein che vuole tentarle tutte pur di evitare quella che, senza troppi giri di parole, sarebbe una batosta epocale per i dem. Battaglia da cui si è chiamato fuori il Movimento 5 Stelle con il suo candidato Enrico Sparapani, il quale è stato sconfitto al primo turno, che ha chiarito da giorni che “non faremo nessun apparentamento” in quanto “rimarremo coerenti e trasparenti con la nostra linea politica”, lasciando “libera scelta ai cittadini”.
Osservata speciale anche la città di PisaOsservata speciale anche la città di Pisa dove il candidato del Centrodestra, Michele Conti, ha letteralmente sfiorato la vittoria già al primo turno con il 49,9% delle preferenze. Allo sfidante Paolo Martinelli, supportato da Movimento 5 Stelle e Partito democratico, è andato il 41,1% dei voti. Nel capoluogo toscano il sogno di Elly Schlein e Giuseppe Conte di riconquistare l’ex roccaforte del Centrosinistra appare un compito molto arduo ma non impossibile. E per riuscirci i dem hanno deciso di schierare pezzi da novanta visto che oggi alla conclusione della campagna elettorale di Martinelli ci saranno Simona Bonafè e Andrea Orlando. Difficile capire come si concluderà questa battaglia anche se è facile immaginare che in caso di affermazione dei dem, allora il Centrodestra non esiterà a fare ricorso al Tribunale amministrativo regionale (Tar) per chiedere il riconteggio delle schede contestate.
Altra città da tenere sott’occhio è VicenzaAltra città da tenere sott’occhio è Vicenza dove il candidato del Partito democratico, Giacomo Possamai, già al primo turno sembrava vicino a poter scalzare il sindaco uscente Francesco Rucco. Al primo sono andati il 46,2% dei voti mentre al secondo il 44%. Qui, davanti al rischio di una sconfitta inattesa, è stato il Centrodestra a schierare i propri pesi massimi così da riuscire ad evitare una possibile débâcle. Per questo a chiudere la campagna elettorale di Rucco ci hanno pensato Matteo Salvini e il ministro della Difesa, Guido Crosetto, così da convincere i tanti vicentini a dir poco scettici.
Ben più curiosa, invece, la situazione a Massa. Qui il Centrodestra, dato come probabile vincente dai sondaggi fatti nei mesi precedenti alle elezioni, è riuscito a complicarsi la vita presentandosi con due candidati che se le sono date di santa ragione. A spuntarla è stato il candidato Francesco Persiani, supportato da Lega e Forza Italia ma non da Fratelli d’Italia che aveva scommesso tutto su Marco Guidi, che con il 35,4% dei consensi si è guadagnato l’accesso al secondo round dove incontrerà Enzo Romolo Ricci, sostenuto dal Centrosinistra, che ha ottenuto il 29,95% dei voti. Spaccatura nella coalizione che supporta il Governo che non è stata sanata neanche in queste settimane visto che Fratelli d’Italia si è sfilato da questa battaglia elettorale lasciando libertà decisionale ai propri elettori. E proprio questo aspetto potrebbe rivelarsi decisivo per Ricci che spera di riuscire a capitalizzare i voti di protesta dei meloniani delusi.
La sfida a Siena si giocherà sul filo del rasoioSi giocherà sul filo del rasoio, invece, la sfida a Siena dove al primo turno la candidata del centrodestra, Nicoletta Fabio, ha scalzato di appena 400 voti la rivale del centrosinistra, Anna Ferretti. Alla prima sono state accordate il 30,5% delle preferenze, alla seconda il 28,7%. Insomma il divario è minimo e per questo saranno decisivi i voti che sono andati agli altri candidati che non sono riusciti ad accedere al ballottaggio, a partire da quelli finiti al civico Fabio Pacciani che ha capitalizzato il 22,65% delle preferenze ma ha rifiutato ogni apparentamento preferendo lasciare libertà di scelta ai cittadini che lo avevano scelto al primo turno. Un tesoretto di preferenze di circa 6mila voti, suddivisi in sette liste con sensibilità molto diverse, che rischia di essere il vero e proprio ago della bilancia di questa tornata elettorale. Come potrebbero essere fondamentali anche le 2mila preferenze accordate al candidato civico, Emanuele Montomoli, di area centrodestra. Quest’ultimo sembrava inizialmente destinato a essere il candidato di Meloni, Salvini e Tajani ma alla fine non se ne fece nulla e si puntò tutto sulla Fabio. Proprio la vicinanza ideologica di Montomoli, con diversi punti del programma pressoché sovrapponibili a quelli della Fabio potrebbero convincere l’elettorato a sostenere quest’ultima. Se le cose andranno come sperano nella coalizione di maggioranza, allora la vittoria della candidata del Centrodestra dovrebbe essere davvero dietro l’angolo.
A Terni la sfida è tutta interna al CentrodestraA Terni la sfida è tutta interna al Centrodestra visto che né il Partito democratico né il Movimento 5 Stelle, i quali si sono presentati separati al primo turno, sono riusciti a portare i rispettivi candidati sindaco al ballottaggio. Così la sfida sarà tra Orlando Masselli, ex assessore sostenuto da Fratelli d’Italia, Lega e Forza Italia, e il civico di centrodestra Stefano Bandecchi, il patron della Ternana calcio su cui ben pochi erano pronti a scommettere. In vantaggio è il candidato supportato dall’intera coalizione di Giorgia Meloni che al primo turno si è imposto con il 35,8% delle preferenze a fronte del 28,1% di Bandecchi. Decisivi per la vittoria finale saranno i voti dei tanti indecisi anche perché, come visto praticamente in ogni altro capoluogo, non c’è stato alcun apparentamento tra i candidati bocciati al primo turno e quelli che sono andati al ballottaggio. Davanti a una partita tanto aperta, è proprio il patron della Ternana calcio che spera di spuntarla e che in questi ultimi giorni ha rivolto numerosi appelli ai cittadini affermando che “se vinco a Terni, non mi fermo più”.
Turno di ballottaggio anche a BrindisiCome già visto pressoché ovunque, anche a Brindisi i candidati sconfitti al primo turno si sono guardati bene dall’apparentarsi con chi si gioca tutto in questo ballottaggio. Così Pino Marchionna, supportato dal Centrodestra unito e che due settimane fa aveva ottenuto il 44% delle preferenze, dovrà vedersela con Roberto Fusco, candidato per conto del Partito democratico e del Movimento 5 Stelle che si era fermato al 33,3% dei voti. Sembra una partita già decisa ma non si possono escludere colpi di scena. Questo perché l’Alleanza Verdi e Sinistra che al primo turno aveva appoggiato il sindaco uscente Riccardo Rossi, al quale erano andate il 10,1% delle preferenze, sta lanciando segnali di apertura al Pd e al M5S in vista di un possibile apparentamento in extremis. Stando a quanto trapela, la trattativa sarebbe in corso con Avs che chiede un accordo formale che metta al primo piano le politiche green da portare avanti in caso di vittoria mentre Fusco per il momento si sarebbe limitato a offrire soltanto dei posti in giunta. La sensazione, perché di questo si tratta, è che alla fine l’intesa si troverà.
Primo turno delle amministrative in Sardegna e in Sicilia dove saranno in lizza i posti di primo cittadino a Catania, Siracusa, Ragusa e TrapaniMa domenica e lunedì si voterà anche in 128 comuni della Sicilia, dove la contesa riguarderà anche importanti città tra cui Catania, Ragusa, Siracusa e Trapani, e in 39 comuni della Sardegna. Pochi dubbi sul fatto che l’osservata speciale di questo primo turno tutto isolano è Catania dove a spingere il candidato unitario del Centrodestra, Enrico Trantino, scenderanno in campo i big della coalizione. Oggi a chiudere la campagna elettorale saranno presenti Giorgia Meloni, Antonio Tajani e Matteo Salvini.
Proprio quest’ultimo, nella sua qualità di ministro delle Infrastrutture, porterà con sé l’approvazione del Ponte sullo Stretto nella speranza di scaldare il cuore dei catanesi. Peccato che non è affatto scontato che ci riesca perché in Sicilia sono tanti i delusi da un Centrodestra che sentono distante e che, a partire dalla decisione di cancellare il Reddito di cittadinanza, hanno dato il via a quella che molti definiscono ‘una guerra contro i poveri’. Lo sa bene Giuseppe Conte che è deciso ad approfittare di questo malumore strisciante con un lungo tour, della durata di due giorni, nell’isola e in cui ha fatto continui bagni di folla. E la sensazione è che il Movimento 5 Stelle che a Catania corre insieme al Partito democratico, potrebbe davvero farcela portando avanti il candidato progressista Maurizio Caserta che nella squadra di assessori designati in caso di vittoria ha già annunciato che sarà presente l’ex ministra del Lavoro, Nunzia Catalfo.
Così la Sicilia e soprattutto Catania, diventano un banco di prova per entrambi gli schieramenti e potrebbe avere ripercussioni anche a carattere nazionale sul medio-lungo periodo. Che si tratti di un test importante per il Centrodestra lo si capisce dal fatto che deve dimostrare di avere ancora il vento in poppa e di riuscire a convincere anche il Sud Italia che fino ad ora ha manifestato una certa insofferenza verso le politiche della Meloni in materia di aiuti nei confornti degli ultimi degli ultimi. Ma è un test anche per l’alleanza progressista di Centrosinistra che proprio a Catania ha costruito quello che in gergo viene definito un laboratorio politico. Proprio nel capoluogo etneo si capirà se una coalizione tra M5S e Pd è ancora possibile oppure se è un progetto politico da abbandonare.
L'articolo Ballottaggi in sette capoluoghi. Occhi puntati su Ancona, Pisa e Vicenza dove il risultato è più incerto che mai. Mentre domenica si vota per il primo turno in Sicilia e Sardegna sembra essere il primo su LA NOTIZIA.
Hits: 6