Putin esprime apertura verso una tregua in Ucraina, ma pone condizioni per una pace duratura

Vladimir Putin ha recentemente espresso apertura verso una tregua nel conflitto con l'Ucraina

Il presidente russo Vladimir Putin ha recentemente espresso apertura verso una tregua nel conflitto con l’Ucraina, sottolineando che essa dovrebbe portare a una pace duratura e affrontare le cause profonde della crisi.

 

Questa dichiarazione è avvenuta durante una conferenza stampa congiunta con il presidente bielorusso Alexander Lukashenko, in risposta a una proposta degli Stati Uniti per un cessate il fuoco di 30 giorni.

Putin ha affermato: “Siamo d’accordo con la proposta sul cessate il fuoco, partendo dal presupposto che il cessate il fuoco conduca a una pace duratura per rimuovere le ragioni alla base del conflitto”.

Ha inoltre evidenziato la necessità di discutere questioni fondamentali e ha suggerito la possibilità di una conversazione con il presidente americano Donald Trump per avanzare nelle discussioni.

Nonostante l’apertura al dialogo, Putin ha espresso riserve riguardo alla proposta di una tregua temporanea, sottolineando che qualsiasi cessate il fuoco dovrebbe essere ben definito ed efficace. Ha espresso preoccupazioni sul fatto che una tregua potrebbe permettere all’Ucraina di riorganizzarsi militarmente, enfatizzando la necessità di garantire che non venga utilizzata per rafforzare le capacità militari ucraine.

Nel frattempo, il presidente ucraino Volodymyr Zelensky ha accolto positivamente la proposta statunitense di una tregua, esprimendo gratitudine verso il presidente Trump per l’iniziativa. Tuttavia, ha sottolineato l’importanza di assicurare che qualsiasi cessate il fuoco non venga sfruttato per rafforzare le posizioni militari, ma piuttosto come un passo verso una pace completa e duratura.

Parallelamente, i leader del G7 si sono riuniti in Canada per discutere una soluzione al conflitto, ribadendo il loro sostegno all’Ucraina e cercando vie per una risoluzione pacifica.

Inoltre, il presidente bielorusso Lukashenko ha discusso con Putin questioni di sicurezza e ha criticato le sanzioni occidentali contro la Russia, sottolineando la necessità di una cooperazione più stretta tra i due paesi.

In conclusione, mentre la Russia mostra apertura verso una tregua, insiste sulla necessità che essa conduca a una pace duratura e affronti le cause profonde del conflitto. La comunità internazionale continua a cercare soluzioni diplomatiche per porre fine alle ostilità e garantire la stabilità nella regione.

La Siria s’impegna a garantire la separazione dei poteri e i diritti delle donne

Il 13 marzo il presidente ad interim Ahmed al Sharaa ha firmato una dichiarazione costituzionale che garantisce la separazione dei poteri e i diritti delle donne. Sarà applicata per un periodo transitorio di cinque anni.

“Si apre una nuova pagina nella storia della Siria, in cui la giustizia prende il posto dell’ingiustizia e la compassione prende il posto della sofferenza”, ha affermato Al Sharaa.

Il nuovo testo, annunciato durante una conferenza stampa al palazzo presidenziale di Damasco, garantisce una rigida separazione dei poteri, la libertà d’espressione e i diritti politici ed economici delle donne, secondo Abdel Hamid al Awak, un portavoce del comitato responsabile della sua elaborazione.

“Il comitato ha optato per una rigida seperazione dei poteri, con una netta rottura rispetto al regime precedente”, ha affermato il portavoce.

“La dichiarazione garantisce un’ampia gamma di libertà, tra cui quella d’espressione e di stampa, e di diritti, tra cui quelli sociali, economici e politici delle donne”, ha aggiunto.

L’8 dicembre una coalizione ribelle a guida islamista aveva deposto il precedente regime di Bashar al Assad.

Le nuove autorità avevano abolito la costituzione e sciolto il parlamento, che era sottoposto al potere esecutivo.

Il 10 marzo il governo siriano, impegnato a riunificare la Siria dopo tredici anni di guerra civile, aveva annunciato uno storico accordo per integrare nello stato le istituzioni civili e militari dell’amministrazione autonoma curda nel nordest del paese.

L’accordo, firmato da Al Sharaa e dal leader delle Forze democratiche siriane (Fds), a maggioranza curda, Mazloum Abdi, dovrebbe essere attuato entro la fine dell’anno.

Nell’ultima settimana la Siria ha anche vissuto le peggiori violenze dalla caduta di Assad. Secondo l’ong Osservatorio siriano per i diritti umani, quasi duemila persone sono morte nell’ovest del paese nei combattimenti tre le forze di sicurezza siriane e le milizie fedeli al presidente deposto, e nelle esecuzioni di massa di civili.



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Definì «puzzona» Giorgia Meloni, il comico Daniele Fabbri querelato: «Chiesti 20mila euro per battute da terza elementare» – L’intervista

La presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha querelato lo stand up comedian Daniele Fabbri. La denuncia, come racconta lo stesso comico su Instagram, è arrivata per quella che Meloni ha considerato una serie di offese ricevute nel 2021 durante una puntata del podcast Contiene parolacce. Gli insulti di una «volgarità gratuita ed inaudita» che – secondo quanto si legge nella querela – avrebbero lasciato nella nostra più importante esponente politica «profondi strascichi sulla psiche» sono «puzzona», «caccolosa» e «peracottara». Il comico, classe 1982, autore di numerosi spettacoli tra cui Fascisti su Tinder e Fakeminismo, ha risposto alle domande di Open.

La puntata risale al 2021. Quando è arrivata la querela?

«La querela è partita nel 2021 ma a me è stata notificata nell’estate del 2023. Per sapere chi me l’avesse mandato ci sono voluti 6-7 mesi».

E quando ha saputo che si trattava di Giorgia Meloni cosa ha provato?

«Ho avuto un attimo un colpo al cuore. Avevo provato a fare delle ipotesi ma mi sembrava la meno possibile, anche perché nel frattempo era diventata Presidente del Consiglio. Io poi non sono nemmeno uno di quei personaggi pubblici televisivi…».

Quindi possiamo escludere che c’entri lo spettacolo con cui è in tour in queste settimane, Quando c’era lei?

«No, non c’entra niente. Nello spettacolo rievoco un tormentone in voga tra nostalgici di un periodo secondo loro felice ma che felice non era per niente. Non ci sono attacchi a Meloni».

È forse la prima querela ricevuta da uno stand up comedian da un capo di governo?

«Mi viene in mente solo quella di Berlusconi contro Luttazzi, se vogliamo considerare Luttazzi come padre di noi stand up comedian. Probabilmente però è la prima querela di un capo di governo nei confronti di uno stand up comedian della nostra generazione. Anche se ai tempi non lo era ancora»

E adesso che succederà?

«Io e il mio avvocato eravamo convinti che questa cosa sarebbe decaduta in sede predibattimentale e invece Meloni si è costituita parte civile, chiedendo anche una somma ingente, ventimila euro. Una richiesta che supponiamo sia stata fatta adesso. Dunque lei ha deciso di portare avanti la faccenda da presidente del Consiglio. Ora inizia il processo, andrò a difendermi in aula. Lei ha dichiarato di aver subito “profondi strascichi sulla psiche”»

Lei sostiene di averla difesa in quel contesto: cosa intende?

«Meloni ha subito insulti di natura maschilista, discriminatoria, che non approvo, e che alimentano un certo tipo di cultura che ripudio. Le parole nel mio monologo che lei ha percepito come offese – che erano da terza elementare – non erano rivolte a Meloni. Il mio era un ragionamento linguistico, non certo un attacco diretto. Non c’erano insulti alla persona, per questo penso che la cosa sia pretestuosa»

Cosa intende?

«Più che da comico sono preoccupato da cittadino. Il diritto alla libertà di espressione, il diritto alla satira, non appartengono ai comici ma ai cittadini. Il punto è che i politici si fanno forza del fatto che provarci non gli costa niente, pagare un avvocato a loro non costa niente, per un artista indipendente a partita Iva invece ha un peso. Tanto poi se nel processo viene data ragione a me, al capo di Governo non succede niente. Ma, al contrario, se viene data ragione al capo di governo, si crea un precedente molto grave. Se dire a un politico “puzzone” ti fa finire in tribunale, non potrai dire più niente. Perfino “bugiardo” è più grave di “puzzone”»

Crede che questa cosa la condizionerà nel lavoro in futuro?

«Sicuramente senti di avere gli occhi puntati addosso, ma io sono anche molto fiducioso nella giustizia, anche se dover affrontare questo processo non c’entra con la giustizia. Le leggi italiane sono molto sbilanciate nei confronti dei potenti, perché far causa non costa niente e se le perdi non sono tenuti a risarcirti. Però so che queste cose sono fatte apposta per intimidire, non è importante vincere il processo ma solo intimidirmi. E io non voglio farmi intimidire, non voglio darle soddisfazione»

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