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di Lilia Yapparova (Meduza) Negli ultimi 14 mesi, la Russia ha rapito migliaia di civili ucraini, tra cui volontari, giornalisti, ex soldati e funzionari, e li ha rinchiusi in prigioni russe. Le vittime non hanno lo status di prigionieri di guerra, non possono vedere i loro avvocati o i loro familiari e per la maggior parte di loro è impossibile comunicare con l'esterno. Chi è riuscito a uscire spesso non conosce ancora le ragioni ufficiali della propria incarcerazione o del rilascio. Solo a Sinferòpoli, più di 100 ostaggi civili (così sono chiamati dai difensori dei diritti umani) sono attualmente in custodia. Lilia Yapparova, inviata speciale di Meduza, ha parlato con gli ucraini che sono stati rilasciati dalle strutture, oltre che con i loro familiari e avvocati, per scoprire come funziona questo sistema carcerario clandestino. La mattina del 9 maggio 2022, Alexander Tarasov, all'epoca recluso nel SIZO (centro di detenzione) n. 1 di Sinferòpoli, ha sentito gli agenti delle forze speciali del Servizio penitenziario federale russo (FSIN) gridare fuori dalla porta della sua cella: "In fila! Testa bassa, uscite! Correte, ho detto!". Tarasov e i suoi quattro compagni di cella hanno abbassato la testa, mettendo le mani dietro la schiena. Da quel momento in poi, Tarasov vede solo il terreno, le proprie gambe e gli stivali degli agenti. Abbassandosi nella posizione del delfino, esce dalla cella e si mette di fronte al muro. "Più largo! Allarga le gambe, ho detto!", dice un agente, colpendo Alexander sui polpacci fino a forzarlo in una spaccata. Che cos'è la posizione del defino?nascondi Ciò significa che Tarasov aveva il torso parallelo al pavimento e le braccia sollevate il più possibile dietro la schiena. Questa posa è chiamata "del delfino" perché è usata nella famigerata prigione russa del Delfino Nero. nascondi Tarasov appoggia la fronte al muro, non riesce a pensare ad altro all'infuori dei legamenti in fiamme. Poi sente un nuovo ordine: "Che giorno è oggi? Che giorno è? Tuo nonno ha combattuto nell'esercito? Rispondete alla domanda!". A prescindere dalla risposta data, a ogni detenuto viene data una scossa elettrica. "I vostri nonni si stanno rivoltando nella tomba, fascisti". Diverse ore dopo, gli agenti delle forze speciali fanno ritorno. Questa volta entrano nella cella stessa, ancora armati di strumenti per dare la scossa. L'agente con il cane resta all'ingresso; il cane - ricorda Tarasov parlando con Meduza - si fionda sui prigionieri, ansimando e cercando di liberarsi dal guinzaglio. Gli agenti accusano uno dei compagni di cella di Tarasov, Serhiy Derevensky, di essere un combattente del movimento ultranazionalista ucraino Pravyj sektor. "Lo hanno colpito dandogli la scossa e gli hanno chiesto di cantare Den' pobedy [Giorno della vittoria]", ricorda Tarasov. "Gli hanno dato un calcio nello stomaco, intimandogli di cantare". Nella prigione, accanto al detenuto, Tarasov non si alza. "Ti insegnano in fretta", spiega a Meduza. "Se anche solo muovi gli occhi, la scossa ti colpisce alla base del cranio. Così mi sono limitato a guardare i miei piedi. E ho ascoltato". "Questo Giorno della Vittoria profuma di polvere da sparo", canta Derevensky, con la voce che gli trema. Gli ufficiali delle forze speciali sono chiaramente soddisfatti. "Continua!", gli dicono di tanto in tanto, punendolo con una scossa ogni volta che sbaglia le parole. "La carica sembra attraversare ogni fibra muscolare del tuo corpo ed esplodere", ricorda Tarasov. "E i muscoli continuano a contrarsi anche dopo Questo è lo stato in cui versava mentre cantava". Ascoltando il prigioniero cantare, altre guardie cominciano a radunarsi intorno alla cella. L'agente con il cane continua ad ascoltare, in piedi sulla porta, anche se il cane si è ammutolito. "Ho pregato di non essere il prossimo", racconta Tarasov. "Eravamo in cinque nella cella da tre persone e ognuno di noi temeva che ci avrebbero fatto cantare". Quando finalmente gli agenti se ne vanno e i prigionieri possono di nuovo alzare la testa, Tarasov vede che Derevensky nel frattempo è impallidito. "Eravamo tutti solidali con lui in silenzio. Ma non potevamo fare nulla per proteggerlo", ricorda. "Quando si subisce un abuso del genere, si è costretti a sopprimere i propri riflessi difensivi. Perché ogni resistenza non fa che peggiorare la situazione". Prima del suo arresto nel marzo 2022, Tarasov aveva organizzato manifestazioni di protesta contro l'occupazione russa a Kherson. In cella si è trovato insieme ad attivisti e volontari ucraini che hanno aiutato l'esercito ucraino; sono stati tutti arrestati nei territori occupati dalla Russia all'inizio della guerra. Nessuno di loro ha mai osato ribattere alle guardie; già nel maggio 2022 erano stati tutti torturati. Nikita Cheborat, un prigioniero della città di Hola Prystan', è stato colpito alle gambe con una pistola ad aria compressa e costretto a estrarre con le proprie mani le palline di piombo dalla carne. Alexander Gerashchenko, residente a Kherson, è stato sottoposto a scosse elettriche. Serhiy Tsyhipa, residente a Nova Kakhovka, è stato portato da un centro di detenzione a un edificio dell'FSB a Sinferòpoli, dove lo hanno parzialmente strangolato. Tarasov è stato invece torturato nel seminterrato di un edificio amministrativo di Kherson (che a quel punto le truppe russe avevano già conquistato). I suoi rapitori gli hanno attaccato degli elettrodi ai lobi delle orecchie e gli hanno inviato la corrente mentre gli chiedevano di fare i nomi di altri organizzatori della protesta. Secondo Tarasov, gli ufficiali dell'FSB si riferivano a questa procedura con l’espressione "chiamare Zelensky". “Dopo aver attaccato gli elettrodi, l'ufficiale dell'FSB mi ha puntato una pistola alla tempia, dicendo: ‘Sembra che tu mi stia prendendo per il culo’. Poi ha armato la pistola", racconta. "Non sapevo se avrebbe premuto o no il grilletto". Tarasov ammette che una parte di lui avrebbe voluto "alzarsi e combattere" durante gli interrogatori nella prigione di Sinferòpoli. “Ricordo che una volta eravamo seduti lì, e uno dei miei compagni di cella prese un cucchiaio, scavò un po' nel muro e disse: ‘E se facessimo un coltello?". E io: "E poi? Ci sono almeno tre agenti delle forze speciali, più l’agente col cane e due guardie. E sbarre chiuse all'ingresso dell'unità. E non si conosce la strada una volta usciti". È facile perdersi nel SIZO n.1. Il blocco di isolamento si trova in una vera e propria fortezza carceraria costruita nel XIX secolo; Tarasov la descrive come una "prigione del Medioevo". "Si viene condotti attraverso infiniti corridoi tortuosi, attraverso un'infinità di porte sbarrate. E con un sacco in testa". I civili in ostaggio - i difensori dei diritti umani si riferiscono così ai civili ucraini che la Russia trattiene nei centri di detenzione senza accusarli di crimini e privandoli dello status di prigionieri di guerra - sono tenuti in un'unità speciale al terzo piano del reparto femminile, separato dal resto della prigione. "Nel SIZO girava voce che fossimo super pericolosi", ricorda Tarasov. "Il vero scopo era impedire che le informazioni su di noi uscissero dalla struttura. Una volta stavamo passando accanto ad alcuni cuochi detenuti e le guardie hanno intimato loro di girarsi dall'altra parte e di guardare il muro". Non si conosce il numero totale di ucraini detenuti in Russia che ufficialmente non sono considerati né criminali né prigionieri di guerra. Il 17 marzo 2022, quando Tarasov e Serhiy Tsyhipa sono stati portati per la prima volta nella struttura di Sinferòpoli, sono stati "accolti da un'intera delegazione" di dipendenti della prigione; erano i primi ostaggi civili nella città, ha detto Tarasov. Nei mesi successivi, Tarasov è stato spesso svegliato da "grida, gemiti e comandi", i suoni dei nuovi prigionieri portati nell'unità. "Nelle notti dei nuovi arrivi, torturavano le persone proprio nelle celle", ricorda. "Una scossa elettrica - il corpo cade a terra - 'Alzati, alzati!' - un'altra scossa". “Ci hanno chiesto dell'attentato al teatro di Mariupol" Nell'ottobre 2022, l'intera unità "ucraina" del SIZO n. 1, compreso Alexander Tarasov, è trasferita nel SIZO n. 2, una struttura più recente, separata dalla prima prigione ma situata sullo stesso terreno. La nuova prigione, progettata appositamente per gli ostaggi ucraini, è messa in funzione così in fretta che alcune riparazioni rimangono incompiute, stando a quanto raccontato a Meduza da tre ex detenuti. Le finestre delle celle dei prigionieri sono ridipinte. "Così non potevamo vedere né il cortile esterno né l'ora del giorno", racconta Tarasov. "È stato difficile abituarsi a non sapere nemmeno se fosse la prima metà della giornata o la seconda". Le luci nelle celle restano accese 24 ore al giorno. Un altoparlante trasmette periodicamente le regole interne della prigione e l'inno nazionale russo. Il volume è tale che l'avvocato russo Emil Kurbedinov, che vive a tre chilometri dalla struttura, può talvolta sentirlo dalle sue finestre. Ai detenuti è vietato sedersi o sdraiarsi sui letti di legno dalle 6 del mattino fino all'ora di andare a dormire. "Per questo motivo è vietato anche di pregare ai musulmani", racconta Amide, moglie del tataro di Crimea Ekrem Krosh, che è stato recentemente trasferito al SIZO n. 2. I prigionieri sono tenuti in condizioni di massimo isolamento "per impedirci di riconoscere la nostra gente o le guardie carcerarie", spiega Tarasov. "C'è stato un breve periodo in cui siamo stati in grado di parlare avanti e indietro attraverso le bocchette. Abbiamo persino creato un 'gruppo di chat' che comunicava tra le diverse celle. Ma poi un detenuto, Sasha, che cantava l'inno nazionale ucraino nella 'chat', è stato mandato in una cella di punizione. E Nikita, che ha chiesto un'insalata russa attraverso la 'chat', è stato picchiato sulle gambe". "Durante gli interrogatori, gli agenti dell'FSB iniziano immediatamente con minacce di natura sessuale. O cose come: 'Ti manderemo a Luhans'k, dove la pena di morte è legale, e ti spareranno'", racconta Maxim, un altro ex prigioniero. Là ha capito subito che gli agenti avevano più o meno la sua età, quindi non ha preso sul serio le loro minacce. "Avevano circa 25 anni, come me", racconta. "Hanno guardato il mio telefono e hanno iniziato a parlare di come avessi comprato criptovalute a un prezzo così alto". Oltre agli agenti dell'FSB, Maxim è stato interrogato da un investigatore del Comitato Investigativo Russo. "Penso fosse nato in Ucraina - era di Irpin. Ma ama davvero la Russia", ha ricordato Maxim. Un gruppo di agenti di sicurezza di Mosca si è presentato in prigione "con un fascio di documenti" per capire cosa Maxim sapeva "sui crimini dell'esercito ucraino a Mariupol". Anche a Tarasov sono state poste domande simili. "Ci hanno chiesto di testimoniare per un caso penale sulla violazione delle regole di guerra da parte dell'Ucraina", racconta "Ci hanno chiesto se sapevamo qualcosa del bombardamento delle case e del Teatro di Mariupol". Le autorità russe hanno aperto il primo caso contro l'Ucraina in base all'articolo del Codice penale russo sull'"uso di mezzi e metodi di guerra proibiti" nel maggio 2014, durante la guerra del Donbas e poco dopo l'annessione della Crimea da parte di Mosca. Nella primavera del 2022, quando il mondo è venuto a conoscenza degli omicidi di civili commessi dalle forze russe a Bucha, una fonte vicina al Comitato Investigativo russo ha riferito a Meduza che dopo le "dichiarazioni dei khokhol [termine dispregiativo usato per indicare gli ucraini] sui crimini di guerra nei sobborghi di Kyiv", le autorità russe hanno immediatamente iniziato a "strapazzare gli investigatori e gli agenti russi nei territori occupati, chiedendo loro di denunciare i crimini commessi da Pravyi sektor negli ultimi otto anni". "Il Comitato Investigativo è estremamente interessato a far valere il proprio peso politico, anche per questo ha creato sedi temporanee nei territori occupati", ha dichiarato a Meduza un avvocato russo che lavora con ostaggi civili ucraini. "Gli investigatori militari di tutto il paese sono stati mandati lì e hanno lavorato a lungo: centinaia di casi, migliaia di storie diverse; il capo del Comitato Investigativo, Alexander Bastrykin, ne parla costantemente in pubblico". “Ti sparo, occupante!” Alla fine del marzo 2022, Alexander Tarasov e Serhiy Tsyhipa sono svegliati dalle guardie carcerarie nel cuore della notte. Le guardie fanno una domanda insolita, chiedono se qualcuno conosce lo spagnolo. "Serhiy conosceva il portoghese", spiega Tarasav. "Gli chiesero di andare a consolare uno spagnolo che era appena stato portato da Kherson". Il nuovo ostaggio civile si rivela un uomo di nome Mariano García Calatayud, un pensionato spagnolo che vive in Ucraina dal 2014. "Tsyhipa gli disse che tutto sarebbe andato bene, naturalmente", racconta Tarasov. "Ma Mariano era sotto shock: non capiva dove si trovasse né chi fossero tutte quelle persone che gli urlavano contro. Sembrava un animale maltrattato". Calatayud, che non conosce né l'ucraino né il russo, è costantemente sottoposto a scosse elettriche come punizione per non capire i comandi delle guardie. "Gli hanno insegnato tutte quelle posizioni: 'In fila', 'Fuori', 'A testa bassa'. Dalla mia cella sentivo le guardie e gli ufficiali delle forze speciali ridere, dicevano 'Sono bastate poche scosse per insegnare il russo a uno spagnolo", racconta Tarasov. Calatayud ha trascorso il suo 75° compleanno nel centro di detenzione. Secondo quanto riferito a Meduza dal suo avvocato, Anatoly Fursov, Calatayud ha problemi di cuore, ma le guardie carcerarie gli hanno tolto le medicine. "Chiamava continuamente in spagnolo il medico", ha detto Tarasov. "E a volte ci voleva una settimana prima che arrivasse un medico. Allora l'odore del Corvalol aleggiava per tutto il corridoio". Lo spagnolo diventa rapidamente il detenuto più ordinato della cella, pulisce gli scaffali e gli stipiti delle porte prima ancora che la polvere si depositi. Secondo il suo ex compagno di cella Evgeny Yamkovoy, Calatayud stava cercando di "dimostrare" alle guardie quanto fosse compiacente. "Nel centro di detenzione lo hanno scelto per essere picchiato. Ho visto le cicatrici della dinamo. Una volta il cane da guardia si è attaccato alla sua gamba. Quando ha iniziato a sanguinare, non ha retto e ha dato un pugno in testa al cane. Poi l'agente responsabile del cane lo ha lasciato fare". Prima di essere portato nella prigione di Sinferòpoli, Calatayud si comportava in modo piuttosto spavaldo con gli agenti di sicurezza russi. Nel centro di detenzione [di Kherson], quando è stato portato lì per la prima volta per protestare, diceva: "Gloria all'Ucraina!" e faceva i suoi esercizi", racconta a Meduza la compagna di Calatayud, una residente di Kherson di 39 anni di nome Tatyana Marina. "Le guardie locali hanno perso la testa: lui li ha chiamati in faccia 'puta madre', cioè 'figli di puttana'". Marina racconta che Calatayud si è trasferito in Ucraina per la prima volta nel 2014 per trasportare aiuti umanitari agli orfanotrofi che si trovavano vicino alla linea del fronte nella parte orientale del paese. "Chiamava Putin 'señor de la guerra', o 'il signore della guerra'; non riusciva a sopportare l'ingiustizia della situazione". Lavorava in municipio a Valencia, ma era già in pensione, e venne in Ucraina per fare il possibile per aiutare". Marina spiega che i viaggi del marito verso la linea di contatto sembravano smorzare il suo istinto di autoconservazione: "Nei primi giorni dell'occupazione di Kherson, si comportava come un pazzo. Ogni volta che vedeva un cordone di truppe russe intorno al nostro edificio dell'amministrazione regionale, mimava le armi con le mani, come un bambino, e le minacciava in spagnolo: "Ti sparo, occupante!". Mi spaventavo così tanto che iniziavano a sudarmi i palmi delle mani". Una prigione nella prigione Gli avvocati russi che hanno parlato con Meduza hanno notato che il personale dei carceri in Crimea spesso negano la presenza di ucraini nei centri di detenzione: "Vai nella struttura, la ragazza inserisce il nome nel sistema davanti a te, ti mostra lo schermo - e non riesce a trovare la persona". Secondo alcuni attivisti per i diritti umani (sia in Russia che in Ucraina), le persone impiegate nei carceri non nascondono intenzionalmente nulla, piuttosto non riescono a trovare gli ostaggi civili nei loro database. "Forse si tratta di una sorta di istituzione separata all'interno delle strutture che l'FSIN sta solo aiutando a gestire", ha ipotizzato l'attivista per i diritti umani Roman Kiselyov. Meduza ha appreso che questo tipo di istituto ausiliario esiste effettivamente all'interno del SIZO n. 2. Secondo un ex detenuto del carcere e tre avvocati che lavorano in Crimea, alcuni ucraini sono detenuti in un'unità speciale contenente 10 celle (sufficienti per circa 20 persone). "Proprio di fronte all'ingresso del corridoio che porta all'unità, c'è una lista delle persone che possono entrare", ha detto l'avvocato Alexey Ladin, che rappresenta diversi ostaggi civili ucraini. "In altre parole, nemmeno tutti i dipendenti della FSIN possono entrare". Un altro avvocato della Crimea, che ha chiesto di rimanere anonimo, riferisce di aver notato un cartello su una porta all'interno di un edificio amministrativo del SIZO n. 2 che recita "SIZO n. 8, Ufficio, FSIN RF". "Non so cosa sia. La porta è sempre chiusa. E ufficialmente non c'è nessun SIZO n. 8 nella nostra regione". Secondo i registri ufficiali, un SIZO n. 8 esiste davvero in Crimea, ed è registrato allo stesso indirizzo del SIZO n. 2. Secondo un estratto del Registro pubblico unificato delle persone giuridiche (EGRYuL), la struttura è stata aperta il 24 ottobre 2022 - mesi dopo l'inizio della guerra totale - sulla base di un ordine dell'FSIN. Secondo i dati dell'EGRYuL, il SIZO n. 8 è gestita da un uomo di nome Rauf Idrisov. Una persona con lo stesso codice fiscale ha lavorato in precedenza in una prigione di Vladikavkaz che condivide l'indirizzo con la filiale dell'FSB dell'Ossezia del Nord e che i media locali e i difensori dei diritti umani hanno definito "controllata dall'FSB". Una fonte vicina all'FSB ha confermato a Meduza che è stata creata un'unità separata, controllata dall'FSB, all'interno del centro di detenzione di Sinferòpoli. "Il 'numero otto' è per i casi politici” [casi che potrebbero essere politicamente utili in futuro, NdT], ha detto. Ma non è chiaro quali prigionieri della Crimea siano detenuti nella prigione clandestina e quali piani abbiano le autorità russe per loro. “Un metodo testato in Cecenia” Secondo gli avvocati e i difensori dei diritti umani russi che hanno parlato con Meduza, gli ostaggi ucraini sono detenuti non solo in Crimea ma anche in numerose regioni russe. E mentre gli ucraini detenuti in Crimea sono controllati dall'FSB, quelli in Russia rientrano nella sfera di competenza della direzione principale della polizia militare del ministero della Difesa russo. È stata questa agenzia a inviare le risposte alle richieste degli avvocati su numerosi prigionieri ucraini, risposte che gli avvocati hanno condiviso con Meduza. La maggior parte di esse era firmata dal maggiore Generale Vitaly Kokh, il vice capo della Polizia Militare. Secondo Andrey Soldatov, esperto di servizi segreti russi, non è una sorpresa che il ministero della Difesa russo e l'FSB condividano la responsabilità di conservare i registri degli ostaggi ucraini. Soldatov ha dichiarato a Meduza che la polizia militare è supervisionata dal Dipartimento di controspionaggio militare, una divisione dell'FSB. Una fonte dell'FSB ha confermato che il servizio di controspionaggio dell'agenzia supervisiona gli ostaggi ucraini. Le unità di controspionaggio esistono all'interno di ogni unità militare, ha detto Soldatov, e quando un'unità viene inviata al fronte, anche l'unità di controspionaggio assegnata si reca nella zona di combattimento, dove i suoi agenti "si suddividono in gruppi operativi temporanei". Il controspionaggio russo ha utilizzato questo approccio fin dall'inizio della guerra, spiega. Il filtraggio degli ucraini, il lavoro con le popolazioni locali, tutto questo faceva parte del loro lavoro. Per proteggere la sicurezza delle truppe russe, dovevano trovare e torturare gli informatori. E ripristinare le loro reti di intelligence, ovviamente. E farlo attraverso campi di filtraggio è facile ed efficace: è un metodo che hanno testato in Cecenia. Risucchiano migliaia di giovani ucraini come un aspirapolvere, ne reclutano alcuni e poi li rilasciano tutti". ‘Il livello di morte, distruzione e sofferenza continue inflitte ai civili è terribile e inaccettabile’: il devastante rapporto OSCE sulla guerra in Ucraina Lavorare con gli ucraini incarcerati che sono stati rapiti dai territori occupati è una "naturale estensione" della missione che le unità di controspionaggio militare russe stanno portando avanti in prima linea, ha detto Soldatov. Non è chiaro esattamente quanti cittadini ucraini rimangano nei centri di detenzione russi. Secondo Iryna Badanova, esperta del Dipartimento per il rilascio dei prigionieri dello Stato Maggiore ucraino, potrebbero esserci più di 3000 ostaggi civili. Decine di loro, ha detto Badanova, sono morti durante la detenzione. Il Ministero della Difesa russo, l'FSB, l'FSIN, il servizio stampa del Cremlino e le autorità russe insediate in Crimea non hanno risposto alle richieste di commento di Meduza. Articolo originale pubblicato sul sito indipendente russo Meduza con licenza CC BY 4.0 . Per sostenere Meduza si può donare tramite questa pagina. (Immagine in anteprima: Édouard Hue (User:EdouardHue), CC BY-SA 3.0, via Wikimedia Commons) [...]

La nuova fase in cui è entrato il conflitto in Ucraina vede una crescita continua negli ultimi giorni delle azioni di guerra sul territorio russo. Nella regione di Belgorod, teatro dell’incursione dei combattenti del Corpo volontario russo (Rdk) e della legione Svoboda Rossii il 22 maggio, continuano i bombardamenti dell’artiglieria e si susseguono notizie di raid frammiste a smentite e ad annunci di aver annientato unità ucraine. La città di Shebekino, poco più di quarantamila abitanti a 6 chilometri dal confine con l’Ucraina, nel corso della giornata del primo giugno è stata presa d’assalto dal fuoco d’artiglieria, con incendi e esplosioni in varie parti del centro abitato. Il 2 giugno è stato sospeso il traffico ferroviario con il capoluogo Belgorod e migliaia di abitanti hanno lasciato la zona, venendo ospitati nei punti temporanei d’accoglienza nella parte settentrionale della regione, lontana dall’Ucraina, e in altri posti della Russia. Il canale Telegram della legione Svoboda Rossii ha pubblicato un video dove si vede una colonna di fumo azzurrognolo salire da Shebekino, mentre non è chiaro se i legionari e l’Rdk siano entrati in azione o meno nei pressi di Novaya Talvozhanka, villaggio a 8 chilometri dalla città. Due donne sono rimaste uccise in conseguenza dei combattimenti, con accuse reciproche tra Svoboda Rossii e il governatore della regione Vyacheslav Gladkov sulle responsabilità della morte. Nel solo mese di maggio la regione di Belgorod ha subito 130 bombardamenti, un terzo dei 358 dall’inizio dell’invasione russa dell’Ucraina, ma si tratterebbe di un record già superato nei primi due giorni di giugno, secondo Gladkov sarebbero state sparate circa 850 munizioni di tipo diverso sul territorio di Shebekino. L’intensificarsi dei bombardamenti è proseguito sabato 3 giugno, così come l’evacuazione dei civili, in cui vengono impiegati anche soldati dei corpi speciali, tra le polemiche degli studenti dell’Università statale di Belgorod, costretti a lasciare le proprie camere negli studentati per far spazio agli sfollati, e degli abitanti del distretto di Shebekino, che denunciano come siano stati costretti a pagare 3000 rubli per ogni bambino evacuato, notizia prima confermata e poi smentita dal sindaco della cittadina Vladimir Ždanov, insignito dell’ordine al coraggio da Putin il primo giugno. Nel frattempo, tra venerdì e sabato il bilancio dei morti civili è arrivato a sette. Di quanto accade nella regione di Belgorod si parla poco o nulla nelle trasmissioni delle reti federali, ormai dal febbraio 2022 diventate lo strumento principale della propaganda del Cremlino con ore di dirette e di talk-show dedicati alla guerra, e nel quotidiano incontro con la stampa del portavoce di Putin Dmitrij Peskov non vi è stato spazio per Shebekino. Un silenzio interrotto solo da qualche servizio televisivo, dove la situazione viene presentata come sotto controllo. “L’impressione è che tutto il paese se ne fotta di quello che succede nella nostra regione”, racconta un cittadino di Belgorod ai giornalisti di Mediazona, esprimendo un sentimento diffuso tra gli abitanti della frontiera con l’Ucraina, tale da portare i media locali a lanciare l’hashtag #ШебекиноЭтоРоссия (“Shebekino è in Russia”) per rompere il muro di mezze verità e omissioni. Tra venerdì e sabato, però, l’amara realtà ha cominciato a far capolino nei talk-show. Nel corso del suo programma serale Vladimir Solovyov, volto tra i più noti della propaganda del Cremlino, ha criticato indirettamente l’operato dei vertici militari, colpevoli di minimizzare quanto accade ai confini. "C’è una bella città russa, nel nostro territorio, attaccata dalla feccia nazista" ha dichiarato il conduttore, "e noi davvero diciamo 'hanno tentato un attacco terroristico nella regione di Belgorod ma non gli è riuscito'?? Eccome se gli è riuscito! Hanno trasformato la vita degli abitanti di Shebekino in un vero inferno!” L’irritazione degli abitanti della regione di Belgorod rappresenta un senso di abbandono da parte del centro federale, e risalta ancor di più dopo gli attacchi avvenuti il 30 maggio a Mosca e nei dintorni, con circa una ventina di droni diretti su diversi obiettivi della capitale russa. Non vi sono stati danni ai civili, ma tre droni hanno colpito tre condomini, uno nel sobborgo Moskovskij, gli altri due nella zona meridionale della città, a Leninskij prospekt e Profsojuznaja ulica, importanti assi viari della capitale. Altri droni sono caduti verso la Rublevka, dove sono concentrate le residenze dei principali esponenti di governo e degli oligarchi, e non distante da Novo-Ogarevo, dove abita Putin. L’attacco, seppur simbolico, ha un effetto psicologico da non sottovalutare per tanti: per il Cremlino, che si è limitato a ribadire la lotta ai “terroristi di Kyiv”, si tratta di un ulteriore dimostrazione della fallacia del mito dell’invincibilità putiniana; per il ministero russo della Difesa, perché, nonostante l’entrata in azione del sistema di contraerea Panitsyr, rende evidente i problemi nell’intercettare i droni a bassa quota; per quell’ampia zona grigia della società russa, muta tra terrore e apatia, perché indica le debolezze del sistema. Le difficoltà di questi giorni alimentano ulteriormente quanto accade con la Wagner, i cui combattenti sono in procinto di completare il proprio ritiro da Bakhmut per poter recuperare le forze e impegnarsi in un nuovo periodo di addestramento. Evgenij Prigožin ha colto l’occasione per visitare Vladivostok, Ekaterinburg, Novosibirsk e Nižnij Novgorod per presentare un nuovo progetto, chiamato Wagner. Vtoroj front ("Wagner. Secondo fronte"), volto a informare sul reale stato di cose dell’operazione speciale, come ha dichiarato l’imprenditore nell’incontro di Novosibirsk. Una risposta al tentativo intrapreso dall’Amministrazione presidenziale e dal ministero della Difesa di riprendere sotto controllo media e notizie e di mettere nell’angolo la Wagner, accusata di voler incentrare su di sé meriti e narrazione della guerra. Prigožin ritiene sia necessario "smetterla con i media che edulcorano i problemi" e di dover "parlare onestamente con la gente", per poter mobilitare l’opinione pubblica attorno agli obiettivi dell’operazione speciale. Già nella lunga intervista al blogger Konstantin Dolgov il capo della Wagner aveva analizzato la situazione corrente sul campo di battaglia e nella società, denunciando le responsabilità e la codardia dell’élite, agitando lo spettro di un possibile rivolgimento sociale simile alla rivoluzione del 1917 e di fatto presentando il proprio programma politico, dove si prevede la trasformazione "per qualche anno" della Russia in una macchina da guerra sul modello della Corea del Nord. In una risposta pubblicata dall’ufficio stampa di Prigožin alle domande di una testata locale, l’imprenditore ha ribadito la sua visione di cosa avverrà nell’immediato futuro: 1. Credo che ci stiamo avvicinando rapidamente al culmine dell’escalation, al punto ritenuto accettabile dall'Occidente, e questo sarà un grave conflitto su vasta scala in cui dovremo essere sulla difensiva, se analizziamo come vanno le cose adesso.2. Il conflitto, ne sono certo, non si concluderà con la caduta di Kiev, lo dico ancora una volta partendo dalla situazione in cui ci troviamo3. Per molto, molto tempo, non vi saranno occasioni per stringere la mano (ai leader occidentali) nei summit perché, come ho detto molte volte, dobbiamo capire che per tutti gli altri noi saremo come la Corea del Nord. In termini di standard di vita, ovviamente, saremo in una situazione migliore, perché abbiamo tutto ciò di cui abbiamo bisogno sul territorio. Le dichiarazioni di stampo populista e antielitario hanno portato ad accostare Prigožin a Navalny, con una differenza sostanziale: il primo non ha mai attaccato Putin e l’Fsb, in un tentativo (al momento riuscito) di usare i diversi centri di potere del sistema russo per la propria ascesa. Un obiettivo al momento raggiunto, la popolarità del patron della compagnia mercenaria è in crescita, e secondo un recente sondaggio del Centro Levada, istituzione indipendente di ricerche sociologiche, il 4% dei russi si fida di Prigožin, un dato su cui si possono basare ulteriori ambizioni politiche, testimoniate anche dalla visita a Zachar Prilepin, lo scrittore ultranazionalista caduto vittima di un attentato, in ospedale durante la tappa a Nižnij Novgorod. Ma l’ascesa della Wagner ha trovato un nuovo avversario, nonostante le dolci parole di amicizia e fedeltà eterna dei mesi scorsi. Ramzan Kadyrov, che aveva già criticato aspramente Prigožin per i suoi attacchi a Shoigu e Gerasimov agli inizi di maggio, nel conflitto tra l’imprenditore e l’Amministrazione presidenziale ha scelto di schierarsi con la seconda. Già Abbas Gallyamov, ex speechwriter di Putin ora emigrato in Israele e nella lista degli agenti stranieri, aveva previsto in un articolo dello scorso novembre la rottura tra il leader ceceno e il capo della Wagner, sottolineando come gli interessi dei due fossero in contrasto, ma accomunati dalla necessità di conservare le proprie truppe in vista dei futuri sviluppi all’interno della Russia. Ed è stata proprio una dichiarazione di Prigožin, dove si affermava di non sapere dove erano dislocati gli uomini dell’unità speciale cecena “Akhmat”, ad avviare la polemica tra i capi delle forze cecene e i comandanti della Wagner. Il primo a replicare è stato Adam Delimkhanov, deputato alla Duma e fedelissimo di Kadyrov, decorato lo scorso anno con la medaglia di eroe della Russia, in un video con parole forti: Prigožin dice di non capire cosa faccia l'«Akhmat». Se non capisci, se qualcosa non è chiaro, puoi contattarci, fissare dove e quando, e te lo spieghiamo. […] Ormai sei un blogger e gridi a tutto il mondo che abbiamo solo problemi. [...] Dicci il posto: dove, come, quando e ci vediamo. Dopo quelle del deputato, si sono aggiunte le dichiarazioni di Magomed Daudov, presidente del parlamento ceceno, che ha invitato "Ženja" (diminutivo di Evgenij Prigožin) a smetterla di seminare il panico e ad incontrarsi “da uomo a uomo”. Nel corso della serata del primo giugno sono apparse le risposte dei commilitoni di Prigožin, e il primo è stato Dmitrij Utkin, già ufficiale dei corpi speciali e del controspionaggio militare, fondatore della compagnia a cui ha dato il proprio soprannome come denominazione. Noto per le sue simpatie naziste, Utkin, veterano delle guerre di Cecenia, ha replicato a Daudov e Delimkhanov con estrema durezza, alludendo anche al passato dei due tra i separatisti ceceni durante il sanguinoso conflitto nel Caucaso, senza lesinare l’utilizzo del caps-lock: «Inizio: mi rivolgo al presidente del Parlamento della Cecenia, il signor Magomed Daudov: noi siamo già nella Terza guerra mondiale e in relazione agli avvenimenti correnti sono completamente d'accordo — certi cittadini vanno messi al muro per questa VERGOGNA; NELLA WAGNER NON CI SONO STATI, NON CI SONO NÉ MAI CI SARANNO momenti di panico; ogni tipo di problema lo risolviamo con i mezzi a nostra disposizione, che non contraddicono le Leggi e la Costituzione della Federazione Russa; chi vi ha dato questa confidenza, chi vi ha autorizzato a dare del "tu" e a chiamare "Ženja" (si riferisce al diminutivo di Evgenij) non abbiamo mai ricevuto da voi aeroplani, elicotteri, lanciarazzi; Sì, la «WAGNER» è al primo posto delle compagnie private militari, riconosciuta in tutto il mondo; siamo sempre pronti a parlare "da uomo a uomo", soprattutto perché ci conosciamo dai tempi della prima e della seconda guerra in Cecenia» Dopo Utkin sono intervenuti altri comandanti della compagnia mercenaria, Zombie, Ten’, Ratibor, che hanno ribadito di essere pronti a difendere l’onore della Wagner. Lo scambio di accuse e di insulti al momento è cessato dopo una dichiarazione di Prigožin in cui afferma di aver chiarito per via telefonica con Ramzan Kadyrov, però aggiungendo come in Russia le minoranze nazionali possano offendere e attaccare i russi senza rischiare provvedimenti giudiziari, e non il contrario. Inoltre, secondo il capo della Wagner, uno scontro tra i suoi uomini e i ceceni avrebbe un esito scontato a favore dei primi, e il conflitto sarebbe alimentato da una delle “torri del Cremlino” (termine con cui vengono descritte le varie fazioni nel sistema putiniano), in questo modo alludendo alla subalternità di Kadyrov nei confronti dell’Amministrazione presidenziale. I raid al confine, gli attacchi dei droni, le tensioni tra i vari distaccamenti di mercenari e volontari non devono far nascere illusioni su un repentino e incruento collasso del sistema di potere putiniano. Il processo, però, di sgretolamento della verticale del potere, più volte analizzato per Valigia Blu, continua ad assumere nuove e sempre più fosche forme, aprendo uno scenario per il futuro della Russia fatto di bande armate e di insicurezza generale. L’attesa della controffensiva ucraina, probabilmente in realtà già iniziata con le azioni intraprese all’interno della Russia e ai suoi confini, contribuisce ad acuire le contraddizioni presenti tra i vari centri di potere, con sviluppi imprevedibili per la tenuta del regime sul medio-lungo periodo. Immagine in anteprima Squarcio sull'edificio di Mosca dopo l'esplosione del drone [...]

Il primo giugno 2023 è stato ritrovato il corpo di Giulia Tramontano, il cui omicidio è stato confessato dal fidanzato Alessandro Impagnatiello. Tramontano è la ventiduesima donna che muore per mano del partner solo quest’anno, mentre sono 37 – al momento della stesura di questo articolo – le donne uccise in ambito affettivo e relazionale. L’11 maggio 2023 gli europarlamentari di Lega e Fratelli d’Italia si sono astenuti al voto per la ratifica della Convenzione di Istanbul, un accordo internazionale per la prevenzione e il contrasto della violenza contro le donne, con Alessandra Basso e Susanna Ceccardi (Lega) che hanno votato direttamente contro. Il primo paese a uscire dalla convenzione è stato proprio la Turchia, nel 2021, definendola “una minaccia per i valori della famiglia” che “normalizza l’omosessualità”. Fra le ragioni citate dai rappresentanti delle destre all’Europarlamento per la loro astensione spicca il rifiuto della cosiddetta “ideologia gender”. Le reazioni alle notizie dei femminicidi non sono sempre uguali. Ci sono femminicidi accolti dall’opinione pubblica con poco più che un sospiro rassegnato: si parla di separazioni che avrebbero minato l’autostima del femminicida, che non si rassegnava, non accettava la fine del rapporto, e comunque era depresso, aveva problemi di soldi o sul lavoro. Oppure la violenza arriva a chiudere nel sangue un rapporto conflittuale fra persone per cui la convivenza era da tempo un inferno. In entrambi i casi il sottinteso è chiaro: la responsabilità della morte non è di chi uccide, ma di chi è stata uccisa, che avrebbe causato la sua stessa morte separandosi o dichiarando l’intenzione di separarsi, oppure non separandosi e quindi rimanendo in casa con la persona che le avrebbe tolto la vita. Normale amministrazione, purtroppo, inevitabile come un fenomeno atmosferico: le donne devono imparare a proteggersi. Violenza di genere in Italia: le leggi e cosa non funziona, perché le donne non denunciano, cosa succede negli altri paesi La morte di Giulia Tramontano è uno di quei casi che fanno invece molto rumore. C’è la dinamica del fatto, il femminicidio a cui ha fatto seguito l’occultamento del cadavere (con tanto di messaggi inviati dal cellulare di Tramontano per simularne l’esistenza in vita) scaturito dalla volontà di avviare una nuova relazione con l’amante, levando di mezzo l’ostacolo che glielo impediva. Un ostacolo percepito come molto ingombrante, dato che Tramontano era incinta al settimo mese del figlio di Impagnatiello. È la gravidanza, sopra ogni cosa, a rendere questa morte più grave agli occhi dell’opinione pubblica, soprattutto per il suo avanzamento: se per la legge quello che è morto insieme alla madre era solo un feto, per il mondo era già un bambino in procinto di nascere. Il probabile capo d’accusa a carico di Impagnatiello – interruzione di gravidanza non consensuale – arriva a livello emotivo come la morte di due persone. Questo il quadro emerso finora dalle indagini e dalla confessione dello stesso Impagniatiello. Non c’è molto di nuovo, purtroppo. La memoria torna immediatamente al caso della diciannovenne Jennifer Zacconi, che nel 2006 fu tramortita e sepolta viva dall’uomo di cui era l’amante quando era già entrata nel nono mese di gravidanza. È così tutto già visto che nel tempo intercorso fra la notizia della scomparsa di Giulia Tramontano e la confessione di Alessandro Impagnatiello l’opinione pubblica – soprattutto quella femminile – aveva già cominciato a ipotizzare correttamente che non ci fosse stato nessun allontanamento volontario. L’arresto di Impagnatiello ha fatto esplodere sui social l’hashtag #losapevamotutte, perché sì: lo sapevamo. A questo j’accuse collettivo ha fatto seguito il solito proliferare di articoli e opinioni (più o meno autorevoli, più o meno argomentate) sulla solita linea: dobbiamo insegnare alle donne a difendersi. Sembra più facile, tutto sommato, che insegnare agli uomini a non uccidere, picchiare, stuprare, umiliare le donne, no? Ed è qui che torna in gioco la Convenzione di Istanbul, che nel parlare apertamente di prevenzione riconosce la natura sistemica di una violenza che ci si ostina a trattare come episodica, ogni uomo per sé, ogni uomo un mostro; e dall’altro, che si tende ad attribuire alla scarsa capacità delle donne di proteggersi, perché in fondo sì, ogni uomo può essere quel mostro. Entrambi gli approcci sono sbagliati. La violenza non è episodica, gli uomini che la agiscono non sono mostri, non sono pazzi, non sono colti da “raptus” o poco lucidi: le azioni che compiono sono razionali, sequenziali, conseguenti, caratterizzate da un’evidente logica di manipolazione e tentativo di farla franca. Cadaveri sepolti in luoghi poco frequentati, telefonini sottratti e utilizzati per mandare messaggi a famiglia e amici della vittima, la cui scomparsa viene segnalata con simulata ansia proprio dalla persona che ne è responsabile. Chi si dimentica Salvatore Parolisi che si fingeva affranto davanti alle telecamere? O di Davide Fontana, che rischia l’ergastolo per aver ucciso, fatto a pezzi, nascosto in un congelatore e successivamente gettato in un dirupo la vicina di casa, Carol Maltesi, di cui si era invaghito? L’errore più grande che possiamo fare quando parliamo di violenza maschile contro le donne è quello di considerarla un fenomeno indesiderato, qualcosa che la nostra società ha sempre combattuto e che considera una ricaduta negativa dell’assetto patriarcale, qualcosa che va corretto ed eliminato. Fino al 1956 era in vigore il cosiddetto ius corrigendi, vale a dire il diritto di un uomo di picchiare moglie e figli per correggerne il comportamento. Il motivo per cui le destre si oppongono a una convenzione che agisca in senso preventivo, e non solo punitivo, sulla violenza maschile contro le donne (e più in generale, sulla violenza come elemento base nella costruzione della maschilità) è che quella violenza è considerata un metodo di controllo sociale. Non c’è un modo più chiaro per dirlo: le donne devono crescere nella paura. Solo così è possibile mantenere l’ordine sociale di cui parla il presidente turco Erdoğan, i “valori della famiglia” che devono rimanere intatti, ognuno al suo posto, le donne a custodia della casa e della moralità, gli uomini proiettati verso l’esterno, l’azione, il guadagno. Le donne rinchiuse nel recinto della tradizione, protette dagli “uomini buoni” che si ergono a guardiani contro gli “uomini cattivi”. La violenza come mezzo di risoluzione dei conflitti fino dall’infanzia, perché “sono ragazzi”. La disumanizzazione delle donne, ridotte a pezzi di macelleria da commentare, prendere, utilizzare, da cui pretendere servizi e abnegazione, oggetti di possesso e non persone, punti di scarico di una costruzione della maschilità che passa per la battuta volgare, il sessismo casuale da spogliatoio, il cameratismo che esclude e oggettifica. L’hanno fatto tutti. Tutti. Non esiste al mondo un uomo che prima o poi non abbia compiuto almeno un’azione, pronunciato una frase denigratoria, agito una forma di sopraffazione anche minuscola, impercettibile, normalizzata. Anche il solo pensare alle donne come qualcosa che esiste nello spazio per essere prelevato come da uno scaffale, a disposizione dell’uomo che sceglie. È tutto parte dell’educazione maschile, compreso il vittimismo di chi pensa che ogni femminicida sia un insulto agli uomini “buoni” e di chi di violenza non vuole sentire parlare perché non ha mai fatto niente, lui. E niente di tutto questo è casuale, niente è frutto di un errore. Le donne devono avere paura, devono temere per la loro incolumità ogni minuto. Devono evitare lo spazio pubblico, soprattutto da sole: devono essere sempre accompagnate, perché “là fuori” è pieno di malintenzionati, soprattutto di notte. E anche a casa devono guardarsi le spalle, fare attenzione, proteggersi. È uno stato di allerta costante di cui le donne neanche si rendono conto. Lo sappiamo e basta. Ed è, bisogna ripeterlo, una scelta collettiva della società per tenerle al loro posto, docili, sfruttabili. È per questo, solo per questo che le destre si oppongono a qualsiasi intervento che metta in discussione i ruoli e le identità di genere. Il patriarcato ha bisogno di questo terrore, ha bisogno di tenerci sotto la minaccia di una ritorsione che potrebbe arrivare da un momento all’altro. Il femminicidio di Giulia Tramontano ha scatenato un’ondata di rabbia che bisogna tenere viva, non lasciare che si spenga o che venga scavalcata da altre emozioni. Abbiamo diritto a questa rabbia, abbiamo diritto a vivere non protette, solo libere. You can put me down You can make me mad You can call me mean But I think it's really sad That some days I just want to stay inside You must tell me that I live my lifeOn guard [...]

Quando lo scorso 26 febbraio 94 persone, tra cui 35 bambini, sono annegate a 40 metri dalla spiaggia di Steccato di Cutro, la Presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, disse: “Se avessimo potuto, avremmo salvato i migranti”. E aveva fatto muro contro le richieste di trasparenza sulla opaca catena di soccorso e di dimissioni del ministro degli Interni, Matteo Piantedosi, per le sue parole di rara disumanità subito dopo la tragedia e per l’intervento di salvataggio a naufragio ormai avvenuto. Gli errori, le falle e le falsità della versione del governo sulla strage di Cutro Il governo non ha fatto morire volutamente i migranti, aveva risposto Meloni a queste richieste mentre andava avanti il rimpallo di responsabilità e scaricabarile tra Guardia costiera (che fa capo al ministero dei Trasporti), Guardia di finanza (che fa capo al ministero degli Interni) e Frontex (l’Agenzia europea della Guardia di frontiera e costiera). Tra chi sosteneva di essere stata interpellata solo per conoscenza e che l’operazione fosse di polizia marittima, pur ammettendo che si sarebbe potuti intervenire nella mattina del 26 febbraio ma di non averlo fatto per questioni procedurali (Guardia costiera), chi affermava di non essere titolata a prestare soccorso perché l’intervento si era configurato come “law enforcement” (Guardia di finanza), e chi ribadiva di aver inviato “immediatamente una segnalazione” a tutte le autorità italiane e di aver fatto quanto di sua competenza (Frontex). Un’inchiesta internazionale – portata avanti da Lighthouse Reports, Süddeutsche Zeitung, Le Monde, El Pais, Sky News, Domani – mostra attraverso documenti inediti, fonti confidenziali, immagini satellitari, modelli 3d e decine di testimonianze le falle nella catena di comando che hanno portato prima al naufragio e poi al rimbalzo delle responsabilità tra le tre autorità coinvolte. Ed evidenzia come fin dall’inizio siano stati sottovalutati tutti i segnali di pericolo, decidendo di non intervenire con un’operazione di ricerca e soccorso in mare (SAR) ma con una di “law enforcement”. When 94 people, including 35 children, drowned off the Italian coast in February, Italy said it would have launched a rescue mission had it known enough in time. @LHreports & partners uncover evidence showing Italy lied & @Frontex helped in a cover up pic.twitter.com/0p2egpX4XE— Lighthouse Reports (@LHreports) June 2, 2023 Frontex monitora lo Ionio con aerei e droni per individuare le imbarcazioni sospette. Dopo che il suo aereo Eagle1 è decollato il 25 febbraio, ha incontrato "forti venti" ore prima di localizzare la Summer Love, come risulta da un rapporto confidenziale che abbiamo ottenuto. Frontex monitors the Ionian with planes & drones to detect suspicious boats. After its aircraft Eagle1 took off on Feb 25 it encountered “strong winds" hours before it located the Summer Love, a confidential report we obtained shows. pic.twitter.com/kS41j0IynG— Lighthouse Reports (@LHreports) June 2, 2023 Frontex ha individuato l'imbarcazione tracciando le telefonate satellitari effettuate in Turchia e l'ha segnalata come "possibile imbarcazione di migranti" senza giubbotti di sicurezza visibili e con una "significativa risposta termica" da sottocoperta, che indica un numero "insolito" di persone a bordo. Frontex detected the vessel by tracking satellite phone calls made to Turkey & reported it as a “possible migrant vessel” with no safety jackets visible showing a “significant thermal response” from below deck, indicating an “unusual” number of people on board. pic.twitter.com/QXtkqOTIes— Lighthouse Reports (@LHreports) June 2, 2023 L’inchiesta mostra che sin dalla sera del 25 febbraio, il giorno prima della strage, Frontex aveva avvistato la nave, aveva trasmesso i dati immediatamente al centro di controllo in Polonia e li aveva messi a disposizione delle autorità italiane. Inoltre, nella sala di monitoraggio di Varsavia erano presenti un rappresentante della guardia di finanza e della guardia costiera italiana. Meloni all’epoca aveva invece detto che da Frontex: «non è arrivata alcuna comunicazione di emergenza. Non siamo stati avvertiti». Oltre ad avvistare la Summer Love, le telecamere termiche a bordo del velivolo avevano rilevato “segni” che indicavano la presenza di tante persone sottocoperta. Inoltre Frontex aveva segnalato anche che l’imbarcazione non aveva a disposizione i giubbotti di salvataggio. Tutte le autorità italiane competenti erano a conoscenza dell’imbarcazione e della possibilità che trasportasse migranti verso le coste italiane. È da questo momento, dice l’indagine internazionale, che iniziano le omissioni nei racconti di ciò che è accaduto. Innanzitutto Frontex, ancora prima di individuare la nave di legno sovraffollata con quasi 200 persone a bordo, ha nascosto che il pilota aveva avvertito del forte vento. Barche come la Summer Love hanno in genere spazio per 16 persone. But what @Frontex concealed after the fact was that the pilot warned of strong winds, even before spotting the overcrowded wooden vessel with nearly 200 people on board. Boats like the Summer Love typically have space for 16 people. pic.twitter.com/O1zwFAxQ8C— Lighthouse Reports (@LHreports) June 2, 2023 La ricostruzione in 3D dell’imbarcazione fa capire come sarebbe apparsa sovraffollata a chi guardava i filmati di sorveglianza e fa comprendere meglio la situazione a bordo prima e durante il naufragio. To demonstrate what the overcrowded boat would have looked like to those watching surveillance footage & better understand the circumstances on board before & during the wreck, we made a 3D-model of Summer Love pic.twitter.com/dZA8d7BaNb— Lighthouse Reports (@LHreports) June 2, 2023 Osservando il modello 3D, si può capire come in tempo reale le autorità italiane fossero pienamente consapevoli dei rischi che l'imbarcazione stava affrontando. Come risulta dai documenti, le informazioni rilevate dall'aereo di Frontex sono state trasmesse in diretta alle autorità italiane. Il maltempo, la mancanza di giubbotti di salvataggio e il sovraffollamento sono segni di pericolo, secondo la legge del mare: tuttavia le autorità marittime non hanno avviato un'operazione di ricerca e salvataggio. “Questa decisione ha avuto conseguenze letali”, scrivono gli autori dell’inchiesta giornalistica. Bad weather, lack of life vests & overcrowding are signs of distress under Frontex's & Italy’s own maritime rules; still the maritime authorities did not launch a search and rescue operation. That decision had deadly consequences. pic.twitter.com/jI1p6H7wCK— Lighthouse Reports (@LHreports) June 2, 2023 Ma come è potuto accadere tutto questo? Sentito da Domani, l’ammiraglio ed ex portavoce della guardia costiera Vittorio Alessandro spiega: «Molte situazioni di pericolo conclamato vengono ormai registrate come evento migratorio, mentre prima erano identificati come situazione di soccorso. Quando le imbarcazioni si vedono navigare a galla e con i motori in funzione si ritiene, sbagliando, che non abbiano bisogno di assistenza o addirittura di soccorso. Il caso di Cutro rientra senz’altro fra queste ipotesi» nonostante – aggiunge l’ammiraglio – «quell’imbarcazione, così come fotografata e descritta dall’aereo di Frontex, andava incontro alla rovina perché sovraccarica». La sottovalutazione dell’evento – prosegue l’articolo di Domani – “è figlia di una scelta politica chiara adottata da quando nel 2019 si è insidiato al ministero dell’Interno Matteo Salvini. Secondo una serie di accessi agli atti di Altreconomia dal 2019 ai primi due mesi del 2023 i migranti arrivati via mare in Italia sono stati 232.660 attraverso 6.300 eventi. In quasi sei casi su dieci dei sono stati eventi classificati come law enforcement e non di ricerca e soccorso (SAR)”. Alla domanda di Domani sul perché c’è tanta resistenza a mettere in atto operazioni di ricerca e salvataggio, Matteo Salvini ha risposto: «Perché è provato che si tratta di viaggi organizzati. Gli eventi SAR rispondono a un soccorso per un evento imprevisto». E ha aggiunto: «In questo caso, i viaggi vengono contrattati online con un punto di partenza e una durata. Sarà necessario rivedere le norme SAR in queste aree». Perché si continua a morire nel Mediterraneo Intanto, in Italia sono state avviate due indagini: una sui motivi per cui non è stata inviata alcuna nave di soccorso prima del naufragio, l'altra incentrata sui presunti scafisti, per i quali quattro sospetti – Gun Ufuk, Sami Fuat, Ishaq Hassnan e Khalid Arslan – devono rispondere delle accuse di naufragio colposo, di morte in conseguenza di altro reato e favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. Migranti: dopo Cutro, la maggioranza prepara una nuova stretta sui permessi di soggiorno Khalid Arslan e Ishaq Hassnan (un ragazzo pakistano ancora minorenne al momento del naufragio) si sono dichiarati innocenti e hanno mostrato al loro avvocato le ricevute dei pagamenti per il viaggio, come tutti gli altri richiedenti asilo. Alcuni sopravvissuti hanno identificato Khalid come scafista perché aveva assunto il ruolo di traduttore tra chi guidava la nave e le persone presenti a bordo. Ma per il suo avvocato, Salvatore Perri, non ci sono dubbi: Khalid Arslan è innocente. Oltre ai documenti forniti lo dimostrerebbe anche l’aggressione ricevuta dai due imputati turchi avvenuta all’interno del carcere. Il fallimento delle politiche migratorie e la criminalizzazione degli “scafisti” Ricostruire la rete dei trafficanti che hanno organizzato il viaggio della Summer Love non è semplice. «Questa è una rete difficile da ricostruire, perché ci sono decine di trafficanti anche in ogni nazione. Parte del pagamento di Khalid è stato fatto in Pakistan, mentre altri hanno fatto pagamenti in Afghanistan e in Turchia. Una volta arrivati in Turchia dai paesi di origine il viaggio viene gestito da altre organizzazioni, per lo più turche, ma che utilizzano anche manovalanza di altre nazionalità», spiega l’avvocato Perri a Domani. Una cosa è chiara, conclude l’inchiesta giornalistica: i trafficanti avevano emissari anche in Europa. Immagine in anteprima: Frame video La Repubblica via YouTube [...]

Nel weekend appena trascorso si sono tenute le elezioni locali in Spagna. L’esito è stato inequivocabile: la destra ha stravinto. Non solo a Madrid, dove Isabela Ayuso, nome di punta del Partito Popolare (PP) ha conquistato la maggioranza nel consiglio cittadino, ma anche in città che nel corso degli ultimi anni si erano spostate a sinistra, come Siviglia e Valencia. Non è andata meglio a Barcellona, dove a vincere sono stati gli indipendentisti. Per questo il presidente del Governo spagnolo, Pedro Sanchez, leader del Partito Socialista Operaio (PSOE), ha sciolto le camere portando il paese a elezioni anticipate, rispetto alla naturale scadenza della legislatura prevista per la fine dell’anno. Perché la Spagna va ad elezioni La mossa di Pedro Sanchez di sciogliere le camere non è del tutto inaspettata, viste le tensioni che hanno contraddistinto i vari partiti di maggioranza ancora prima dell’inizio di questo governo. D’altronde il rapporto difficile con la sinistra non è di certo un tema improvviso per Sanchez. Elezioni spagnole: perché la vittoria della destra alle amministrative ha costretto il premier socialista Pedro Sánchez al voto anticipato La storia comincia nel 2018, quando al governo c’era il Partito Popolare guidato da Mariano Rajoy. La maggioranza, nata debole e colpita da vari scandali di corruzione assieme alle critiche per la gestione del referendum indipendentista, non poteva essere sfiduciata senza che, nello stesso tempo, venisse proposto un altro governo: la famosa sfiducia costruttiva. Grazie a un sapiente lavoro dietro le quinte, Sanchez e il PSOE portarono dalla loro parte anche la coalizione Unidas Podemos (UP), formata da Podemos e da altri partiti di sinistra. Nonostante l’accordo raggiunto, il governo di Sanchez che si insedia è di minoranza, con soli ministri del PSOE. Presto, per via della maggioranza risicata in parlamento, Sanchez scioglie la camera per tornare alle urne nell’aprile del 2019, dove il PSOE diventa primo partito, senza avere la maggioranza. Non avendo trovato un accordo di nuovo con UP, il paese torna ancora una volta alle urne nel novembre del 2019: questa volta l’accordo si trova e nasce il governo Sanchez II, con il leader dell’alleanza UP, Pablo Iglesias, tra i vicepresidenti. Ma la situazione, in seno alla sinistra, è molto tesa. Una situazione resa negli ultimi mesi ancora più insostenibile grazie al successo raccolto da Yolanda Diaz, ministra del lavoro e vicepresidente del governo Sanchez II, dopo le dimissioni di Pablo Iglesias. Nel 2022 infatti Diaz, dopo aver rifiutato le redini di UP da Iglesias, ha fondato Sumar, un movimento che vorrebbe funzionare da collante di tutte le sigle di sinistra aprendosi anche alla società civile. Oggi i sondaggi danno Sumar al 13%, doppiando quindi Podemos. Secondo la stampa, i dissidi tra Podemos e Sumar sarebbero niente meno che una battaglia di ego, tra l’ex leader di Podemos tutt’altro che assente, Iglesias, e la ministra del lavoro. Ma proprio Iglesias, in un’intervista rilasciata al giornale italiano Il Manifesto, sottolinea alcuni punti cruciali nel dissidio, tutt’altro che non riconciliabile, con la ministra del lavoro. La speranza di Sanchez, che secondo le ultime indiscrezioni e i tweet sarebbe ben lontana dall’irrealizzabile, è di avere un polo di sinistra in grado di contrastare l’ondata di destra che spira nel paese. La situazione dipinta dai sondaggi, infatti, non è del tutto chiara: nonostante i consensi elevati, è difficile che il PP, il principale partito un tempo di centro-destra e oggi spostato su posizioni più radicali, possa raggiungere la maggioranza in parlamento. A dover fare da stampella sarebbe quindi il partito di estrema destra Vox: un partito in tutto e per tutto simile a Fratelli d’Italia di Giorgia Meloni, compresi i legami con il passato infausto del paese. La strategia quindi che sembra adottare Sanchez e, probabilmente, anche la coalizione di sinistra è quindi quella di uno scontro tra una sinistra progressista e una destra reazionaria troppo vicina a un passato autoritario. Un copione che abbiamo già visto nel nostro paese anche alle precedenti elezioni, quando la campagna elettorale del Partito Democratico era infatti basata sulla contrapposizione tra Letta e la coalizione di destra dipinta, appunto, come nemica della democrazia. Non è detto, però, che il risultato sia simile: non solo il governo di Sanchez ha dalla sua parte dei risultati ottimi da spendere in campagna elettorale, ma differentemente dal PD può vantare di non aver mai governato con i partiti che attacca. Non solo: come scrive il giornalista spagnolo Aitor Hernández-Morales, la mossa di Sanchez può essere vista anche come un tentativo di evitare che, nei prossimi mesi, il dibattito pubblico sia dominato dai temi dell’estrema destra, sfruttando la debolezza del governo. L’esperimento spagnolo e la sinistra L’importanza però del governo spagnolo non si esaurisce entro i confini. L’esperimento di tenere insieme il centrosinistra e la sinistra radicale infatti ha attirato vari tentativi di emulazione: a partire, nel nostro paese, dai richiami proprio all’operato del governo spagnolo da parte sia di Elly Schlein durante la campagna per le primarie sia da parte di Enrico Letta durante la campagna elettorale. Un esempio al di fuori del nostro paese proviene dall’alleanza NUPES in Francia, dove le forze di sinistra hanno unito le forze alle elezioni legislative del 2022. Questo va inserito in un contesto più ampio che, paradossalmente, trova proprio nell’esperienza politica del leader del PSOE Pedro Sanchez il suo esempio più paradigmatico. Quando Sanchez vinse le primarie del PSOE per la prima volta, il partito si trovava a fare i conti con la sconfitta alle urne per le elezioni legislative. Elezioni però che, nonostante la netta vittoria del PP, non avevano conferito al partito una maggioranza assoluta in parlamento. Sanchez era un leader giovane e dinamico che, per cercare di riportare il PSOE al governo, cercava l’appoggio del partito centrista Ciudadanos, guidato al tempo dal giovane Alberto Rivera, in quello che la stampa aveva ribattezzato accordo “mayonesa”. Non mancava poi la vicinanza con il leader del Partito Democratico del tempo, Matteo Renzi, che lo volle a Bologna per siglare quello che venne chiamato “patto del tortellino” e ricordato più per l’outfit che accomuna i leader della sinistra riformista europea lì riuniti che per i risultati ottenuti. Il progetto di Sanchez però non va in porto e, dopo una performance non proprio brillante alle legislative, si dimette da leader del PSOE. L’establishment del partito, infatti, vorrebbe un’astensione sul governo Rajoy per far uscire la Spagna dall'impasse. Sanchez, però, corre da solo alle primarie e, a sorpresa, le vince. Nel 2018, come detto prima, arriva alla Moncloa, l’equivalente spagnolo di Palazzo Chigi, e - soprattutto con il suo secondo governo in cui la sinistra radicale vanta dei ministri - imprime alla Spagna una netta sterzata a sinistra. Il caso più eclatante di questa sterzata a sinistra è proprio la legge sul lavoro, concordata con l’Europa, i sindacati e le imprese, fortemente voluta dalla ministra Diaz. Questa riforma, in netta controtendenza rispetto ai tentativi di incentivazione dei contratti a tempo indeterminato a cui siamo abituati in Italia, interviene rigidamente per limitare il ricorso ai contratti a tempo determinato. Come sottolinea la professoressa dell’Università di Barcellona Paola Lo Cascio, sono quattro i punti principali su cui è intervenuto il governo: recupero dei contratti collettivi rispetto a quelli d’impresa, rafforzando i sindacati; obbligo per le imprese di multiservizi di rispettare le condizioni del contratto collettivo del settore; estensione della cassa integrazione;e infine proprio il limite all’uso di contratti temporanei. I dati mostrano che finora la riforma è stata un successo: nonostante, sia chiaro, non si possa parlare di effetti causali, si è assistito a un aumento dei contratti a tempo determinato e a un aumento dell’occupazione. Ma non è tutto: come fa notare il sociologo Paolo Gerbaudo, il governo ha anche varato una patrimoniale per chi possiede patrimoni superiori ai tre milioni di euro, aumentato il salario minimo, varato un’imposta sugli extra profitti. A questo si aggiunge una delle prime leggi per la tutela dei rider, la Ley rider. Interessante anche come il governo Sanchez non abbia visto alcuna contraddizione tra i diritti sociali e quelli civili: ha infatti passato importanti riforme per la difesa delle persone della comunità LGBTQI+ e l’eutanasia, in un paese a tradizione cattolica come la Spagna. Questi provvedimenti, assieme alla scelta delle alleanze, configurano un primo tentativo pratico, da parte della sinistra, di andare oltre l’idea della Terza Via, che strizza invece l’occhio al centro. Le condizioni, d’altronde, non sono più quelle degli anni ‘90: il mercato non è più visto come il mezzo per portare prosperità e ricchezza, ma un meccanismo da regolare e su cui intervenire anche massicciamente. Gli elettori chiedono più protezione, sono scettici di narrazioni ottimiste sulla globalizzazione e anche la tassazione dei super ricchi non è più un tabù, visto il livello di disuguaglianze che caratterizza le economie occidentali. Su questo cambiamento radicale a cui stiamo assistendo anche la comunità economica è, in parte d’accordo, tanto che il network di economisti Economics for Inclusive Prosperity ha posto l’attenzione proprio su questi temi, proponendo poi il punto di vista degli accademici sulle varie proposte di policy di cui si discute. Il percorso non è tutto rosa e fiori, anzi. E il problema viene proprio dalla sinistra, tesa in un’eterna litania che ricorda i governi dell’Ulivo e dell’Unione: la sinistra di lotta e di governo. Infatti, Podemos nasce, a seguito delle proteste degli Indignados - come movimento “populista”- nel senso proprio del termine, tanto che tra i suoi fondatori vi sono esperti di Ernesto Laclau, uno dei massimi teorici del populismo. La sua permanenza al governo, come mostrano i sondaggi, non ha fatto altro che danneggiare un partito che aveva fatto della lotta la sua ragion d’essere. Il discorso è ribaltato invece proprio per Yolanda Diaz e il suo nuovo movimento Sumar. Come spiega l’esperto Juanlu Sanchez, Diaz rappresenta un caso più unico che raro. A differenza di altri leader della sinistra radicale, non ha ottenuto la sua popolarità da lotte o da manifestazioni, ma dal suo operato come ministra. Tanto che il suo movimento può essere descritto proprio come una versione più istituzionale di Podemos. Questi due anime, appunto, hanno visto varie frizioni in seno alla maggioranza e anche riguardo a una saldatura elettorale tra di loro. Il problema, non solo in Spagna, è se la sinistra radicale, attraverso una strategia di lotta, riuscirà una volta al potere a portare avanti, assieme al centro-sinistra, un programma ambizioso senza sgretolarsi. Il futuro della Spagna e della sinistra Riguardo alle elezioni imminenti, il risultato è tutt’altro che scritto: bisognerà capire come si muoveranno i partiti alla sinistra del PSOE, se riusciranno a formare un’alleanza e se il PSOE sarà in grado di mettere in risalto i traguardi raggiunti da questo governo. Una situazione favorevole per la coalizione è che, a differenza del resto d’Europa, l’estrema destra di Vox non gode del supporto della classe operaia spagnola. Secondo uno studio di tre scienziati politici, infatti, i sostenitori di Vox sono nella fascia alta di reddito, sono istruiti e solitamente giovani. Ovviamente giocheranno un ruolo chiave, come già la volta precedente, i movimenti regionalisti. Ci sono però anche lezioni per la sinistra europea. La prima è che l’unità tra centro-sinistra e sinistra radicale è possibile, ma può essere estremamente deleteria per partiti più movimentisti. Ma quella decisamente più drammatica è che non basta avere un buon programma di governo - certo, aver dimostrato che è possibile governare da sinistra è già un inizio - per avere il vento in poppa nei sondaggi. La strada a sinistra può essere quella di una sterzata verso posizioni più redistributive ed egualitarie, ma “fare la sinistra” non è la soluzione che permetterà, da sola, di vincere le elezioni. Immagine in anteprima via flickr.com [...]

di Juan Luis Manfredi Le elezioni locali e regionali del 28 maggio hanno sconvolto il quadro politico spagnolo. Il Partido Popular, partito di destra, ha ottenuto la maggior parte dei voti e ora ha il maggior numero di seggi nei governi locali e regionali. I socialisti del PSOE sono riusciti a mantenere solo due governi regionali; in Navarra dovranno stringere un patto con il partito nazionalista basco di sinistra EH Bildu per rimanere al potere. Questa debacle segna l'inizio di una nuova epoca. Solo tre città delle 20 più popolate hanno ora un sindaco socialista. In un colpo solo, il partito socialista ha perso circa il 70% del potere locale e regionale che aveva. Di fronte alla terribile sconfitta subita dal suo partito, il presidente Pedro Sánchez ha anticipato al 23 luglio le elezioni generali che avrebbero dovuto svolgersi a novembre o dicembre. La mossa deriva da un misto di audacia e dalla sensazione che il voto nazionale sia la sua unica possibilità di mantenere il potere. L'obiettivo di Sánchez è riconquistare l'iniziativa, forzando un plebiscito sul suo mandato e dimostrando di avere ancora la fiducia dei cittadini. Il futuro della sinistra dopo la caduta del governo Sanchez: uno sguardo oltre i confini spagnoli Identità nazionale Identità e nazionalismo hanno assunto un ruolo importante in quelle che dovevano essere elezioni su questioni locali. In particolare, durante l'ultima settimana di campagna elettorale, le questioni nazionali hanno dominato il discorso. Un'associazione di vittime del terrorismo (Covite) ha denunciato che 44 candidati dell'EH Bildu appartenevano al gruppo terroristico dell’ETA, e che sette di loro erano stati condannati per crimini violenti. Le campagne dei partiti di destra si sono poi trasformate in una denuncia dei patti tra il governo centrale e l'EH Bildu, con l'accusa ai socialisti di "associarsi all'ETA". Il Partido Popular ha costruito una retorica incentrata sull'essere l'unico partito che difende la Costituzione e l'unione del paese. La sua interpretazione costituzionale è conservatrice, ma il messaggio funziona. I suoi elettori sono i più fedeli dell'elettorato spagnolo e la sua aspirazione a occupare il centrodestra si è consolidata. Il partito, presieduto da Alberto Núñez Feijóo, ha assorbito i principali elettori di Ciudadanos, la start-up politica catalana che ha avuto un successo fenomenale quando è salita alla ribalta nazionale nel 2015, ma che ora è già quasi scomparsa. I loro voti sono stati trasferiti al PP, che ha incassato anche il 10% dei socialisti conservatori stanchi della leadership di Sánchez e dei suoi accordi con i nazionalisti baschi e catalani. Nel frattempo, i successi elettorali del partito di estrema destra Vox ne fanno il terzo partito delle amministrazioni locali. Il suo sostegno sarà essenziale per approvare i bilanci e far passare le iniziative legislative. Il suo impatto reale sulle politiche pubbliche è minore, ma ha una forza simbolica. La posizione di Vox sulle questioni di genere, sui programmi scolastici e una certa nostalgia per il passato guidano un discorso nazional-populista in linea con altri partiti europei, come ad esempio Diritto e Giustizia in Polonia, Fratelli d'Italia, Soluzione Greca, il Partito Civico Democratico nella Repubblica Ceca e il Partito dei Finlandesi. A sinistra, la questione nazionalista è marginale. Nei Paesi Baschi, il sostegno all'EH Bildu è aumentato, mentre il PNV conservatore ha perso trazione. In Catalogna, il partito nazionalista di sinistra ERC è passato dalla prima alla terza forza politica, dietro ai socialisti e ai nazionalisti di destra di Junts per Catalunya (Insieme per la Catalogna). In Galizia, i popolari e socialisti si sono divisi le principali città. Leadership politica Pedro Sánchez è alla guida sulla base della sua personalità e del suo carisma, presentandosi come una sorta di supereroe democratico, con una forte presenza mediatica e istituzionale. Il leader dei socialisti fonde il suo status di presidente con quello di candidato in una campagna elettorale permanente. È riuscito a rafforzare la sua immagine internazionale con buone performance in Europa e visite occasionali a Washington e Pechino. Ci sono dubbi, tuttavia, che questa immagine esterna possa portagli voti. Tutto ciò deve ora passare in secondo piano, mentre cerca di riconquistare il sostegno popolare in patria e il controllo sul suo stesso partito, dove cresce il numero di voci discordanti e diminuisce il potere locale. Yolanda Díaz, attuale vicepresidente, ha formato un nuovo partito, Sumar, che si è già registrato come candidato alle elezioni. Cerca di unire tutte le forze a sinistra del PSOE e di ottenere così più voti e più rappresentanza. Ma c'è poco tempo per Sumar per stabilire una strategia che possa trasformare un movimento sociale in un'entità politica con rappresentanza nelle province. Per il momento, le sue scommesse elettorali per le elezioni comunali e regionali non hanno avuto molto successo e Podemos, il partito che un tempo governava in coalizione con il PSOE, è andato a picco. Nel frattempo, Alberto Núñez Feijoo, del Partito Popolare Spagnolo, propugna una leadership all'insegna della pacatezza. Nella sua campagna elettorale, si affiderà all'esperienza maturata nel governare la Galizia. Concentrandosi sull'aumento del costo della vita, della disoccupazione e dell'inflazione, rafforzerà un'agenda filoclericale ma pratica. Plebiscito Per la campagna nazionale, Sánchez sta basando il suo mandato sulla retorica di un leader contro il mondo. Sánchez trionfa quando si oppone ai suoi - si è dimesso da leader dei socialisti nel 2016 in seguito a disaccordi pubblici con l'esecutivo del partito ed è stato nuovamente rieletto un anno dopo, nel 2017 - ma non è chiaro se la sua strategia vincerà le elezioni. Ha perso tre deputati nelle elezioni di ballottaggio del 2019 e ora ha perso terreno in molte regioni. In Catalogna, il suo consenso sta crescendo, ma i seggi che porta alle elezioni generali non sono sufficienti. In questa situazione, l'unica possibilità per Sánchez è quella di avvicinarsi il più possibile agli attuali 120 seggi parlamentari. Non può farlo da solo e ha bisogno del sostegno del resto dei partiti di sinistra. La strategia elettorale consiste nel fermare lo spostamento dell'elettorato verso destra, nell'offrire un contrappeso istituzionale e nell'unificare il voto in un unico blocco. La sua idea è corretta, ma potrebbe non bastare. I governi di Sánchez hanno funzionato perché sono stati in grado di incorporare le sensibilità nelle divisioni dell'identità (nazionalismo) e della politica sociale (sinistra). Nessuna di queste forze sembra attualmente in crescita. Il sanchismo sta mostrando segni di esaurimento. Potrebbe essere in grado di mantenere un numero ragionevole di seggi, ma - senza i suoi sostenitori tradizionali - potrebbe già essere giunto al capolinea. La politica spagnola è in fase di transizione. Non possiamo anticipare l'esito delle elezioni e non è consigliabile estrapolare i risultati comunali come un blocco unico. L'esperienza dimostra inoltre che il voto locale non corrisponde alle elezioni generali, ma varia in modo significativo. Sebbene le elezioni locali non dovessero essere un plebiscito sul governo nazionale, il prossimo 23 luglio sembra essere la replica di un'elezione generale il cui primo turno si è svolto lo scorso fine settimana. Juan Luis Manfredi è professore emerito alla Georgetown University e professore associato all'Università di Castiglia-La Mancia.Questo articolo è una traduzione dell'originale pubblicato in inglese su The Conversation con licenza Creative Commons. Immagine in anteprima via flickr.com [...]

Dopo l'eruzione dell'Etna, che si è verificata nei giorni scorsi, ha ripreso a circolare una vecchia bufala: i vulcani emettono più CO2 delle attività umane. L'Etna ha appena comunicato ai geni di Ultima Generazione chi comanda, sentenzia un profilo su Twitter. Chi rilancia questa bufala pensa, in questo modo, di fare una pernacchia agli attivisti e di svelare al mondo verità che avevamo tutti davanti agli occhi, ma che non vedevamo perché accecati dalla propaganda gretina e green. Perché l'idea, naturalmente, è sempre quella per cui tutto ciò che ruota attorno al cambiamento climatico sia partorito dalla testa degli attivisti. Gli scienziati non sapevano che i vulcani emettono CO2, né che il Sole è più grande della Terra, come ci informa un collaboratore del quotidiano La Verità. Vediamo come stanno le cose. Nel 2022 il settore energetico, quello responsabile della maggior parte delle emissioni, ha prodotto 36,8 miliardi di tonnellate di CO2. Le attività vulcaniche generano ogni anno 200-400 milioni di tonnellate di CO2. Due ordini di grandezza di differenza, 100 volte di meno rispetto alle emissioni del solo settore energetico. Se si sommano i flussi di CO2 che originano da tutti i processi vulcanici della Terra – da aree vulcaniche inattive, laghi vulcanici, sorgenti idrotermali – queste emissioni naturali ammontano a meno del 2% di quelle antropiche. Il vulcanismo e altri fenomeni geologici possono innescare modificazioni del clima attraverso il rilascio di gas serra su scale temporali lunghe, come è accaduto circa 56 milioni di anni fa durante il Massimo Termico del Paleocene-Eocene (PETM). La temperatura allora aumentò di 5-9 gradi, ma nell’arco di circa 170 mila anni. Un tempo brevissimo dal punto di vista geologico, ma molto più ampio della manciata di decenni che noi abbiamo impiegato per modificare il clima terrestre (la maggior parte delle emissioni umane è concentrata nella seconda metà del XX secolo). Noi esseri umani stiamo mandando CO2 in atmosfera a una velocità 9-10 volte maggiore. Grandi eruzioni vulcaniche (e quella dell'Etna non lo è) possono avere effetti sul clima a breve termine non a causa della CO2, ma dell'emissione di massicce quantità di aerosol sparate in atmosfera. È successo, per esempio, nel 1815 in seguito all'esplosione del Monte Tambora in Indonesia. Fu un eruzione enorme, con un indice di esplosività vulcanica (VEI) pari a 7, su un massimo di 8. Sono eruzioni che producono volumi di materiale superiori ai 100 chilometri cubi. La massa di aerosol proiettata nel cielo dal Tambora arrivò fino nella stratosfera e raggiunse l’emisfero settentrionale, dall’Europa agli Stati Uniti. Il 1816 passò alla storia come "l'anno senza estate". La stagione fu più fredda del solito e i raccolti agricoli crollarono. Nel 1991 l'eruzione del vulcano Pinatubo nelle Filippine ha emesso 15-20 milioni di tonnellate di anidride solforosa. Si stima che questa potente eruzione (VEI= 6) abbia causato un abbassamento della temperatura globale di circa mezzo grado. È stato un effetto temporaneo, durato circa un anno, non certo sufficiente a invertire una tendenza al riscaldamento che in quel periodo era già in atto. Ma ciò dimostra, di nuovo, che le grandi eruzioni nel breve termine possono causare un raffreddamento, non un riscaldamento. Il sito dello United States Geological Survey ricorda che l'eruzione del 1980 del Mount St. Helens (VEI=5) «ha rilasciato nell'atmosfera circa 10 milioni di tonnellate di CO2 in 9 ore. L'umanità impiega solo 2,5 ore per emettere la stessa quantità». Molti continuano a sottovalutare la quantità di CO2 che le attività umane sono riuscite a produrre dalla Rivoluzione Industriale. Si tratta di un numero di tonnellate con 12 zeri. L'idea che il clima sia come un gigantesco marchingegno su cui noi, piccoli esseri umani, non possiamo esercitare alcuna influenza, e che sia addirittura da presuntuosi il solo pensarlo, è un vecchio argomento che la retorica negazionista sfrutta per oscurare i fatti. È consolante farsi cullare da questa credenza, perché ci permette di ignorare le nostre responsabilità: il clima va come deve andare e noi possiamo fregarcene e continuare a usare carbone, petrolio e gas. Questa è la vera presunzione. La realtà è che noi esseri umani possiamo, eccome, modificare il clima. Gli effetti sul clima delle nostre attività si sovrappongono a una variabilità naturale, che continua a esserci. La contrapposizione tra umano e naturale si rivela, come in altri casi, fuorviante. Le nostre attività hanno cambiato il clima attraverso gli stessi gas serra e gli stessi meccanismi naturali che sono intervenuti durante altri cambiamenti climatici avvenuti in passato, quando gli esseri umani non c'erano. L'attuale riscaldamento globale è tanto antropico, per le sue cause, quanto naturale, per i meccanismi che lo rendono possibile. Il profilo su Twitter che, insieme ad altri, ha rilanciato la bufala scrive nella propria biografia che «la verità è molto più complicata della falsità. Per questo la falsità è più popolare». Sembra una presa in giro, il ritratto di un mondo al contrario. Ma perché si tratta di una concezione orwelliana della verità: le loro verità sono menzogne. Immagine in anteprima via Wikipedia [...]

Il presidente dell'Uganda, Yoweri Museveni, ha promulgato la legge anti-LGBTQ+ più dura al mondo. Il provvedimento, approvato dai parlamentari a marzo con 389 voti a favore e due contrari, prevede la pena di morte o l’ergastolo per alcuni atti omosessuali, fino a 20 anni di carcere per “reclutamento, promozione e finanziamento” di “attività” omosessuali, fino a 14 anni per chiunque venga condannato per “tentata omosessualità aggravata”. Ad aprile Museveni aveva rinviato il provvedimento in Parlamento per una sua riconsiderazione. Uganda alle elezioni fra repressioni e indicibili violenze. La sfida del cantante reggae Bobi Wine al presidente Museveni in carica dal 1986 “Abbiamo difeso con forza la nostra cultura e le aspirazioni del nostro popolo”, ha dichiarato la portavoce delle parlamento, Anita Annet Among, ringraziando Museveni per la sua “ferma azione nell'interesse dell'Uganda”. Per Martin Ssempa, uno dei principali sostenitori del provvedimento, la legge è una vittoria contro gli Stati Uniti e l'Europa e contro i gruppi che lavorano per affrontare l'HIV. “Il presidente ha dimostrato grande coraggio nello sfidare la prepotenza degli americani e degli europei”, ha dichiarato. In una dichiarazione congiunta, i responsabili del Fondo globale per la lotta contro l'Aids, la tubercolosi e la malaria, di UNAids e del President's Emergency Plan for Aids Relief (Pepfar) degli Stati Uniti hanno reagito con “profonda preoccupazione” e hanno affermato che i progressi nella lotta contro l'Aids e l'HIV sono “ora in grave pericolo”. “Lo stigma e la discriminazione associati all'approvazione della legge hanno già portato a una riduzione dell'accesso ai servizi di prevenzione e cura. La fiducia, la riservatezza e l'impegno senza stigma sono essenziali per chiunque cerchi assistenza sanitaria”, si legge nella dichiarazione. “Le persone LGBTQI+ in Uganda temono sempre di più per la loro sicurezza e vengono scoraggiate dal richiedere servizi sanitari vitali per paura di attacchi, punizioni e ulteriore emarginazione”, ha aggiunto la dichiarazione, firmata da Peter Sands, Winnie Byanyima e John Nkengasong. La comunità internazionale ha fortemente condannato Museveni è stata forte. L'Alto Commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani, Volker Türk ha definito la legge “scioccante e discriminatoria”, la legge ha immediatamente suscitato la condanna di molti ugandesi e un'ampia indignazione internazionale. Il presidente degli Stati Uniti Joe Biden ha dichiarato che l'atto “una tragica violazione dei diritti umani universali” e che Washington sta prendendo in seria considerazione l’ipotesi di “sanzioni e restrizioni all'ingresso negli Stati Uniti contro chiunque sia coinvolto in gravi violazioni dei diritti umani”. Una dichiarazione delle Nazioni Unite recita: “Siamo sconcertati dal fatto che il discriminatorio disegno di legge anti-gay sia ora legge. Violazione sistematicamente i diritti delle persone LGBT e della popolazione in generale. È in conflitto con la Costituzione e con i trattati internazionali e richiede un'urgente revisione giudiziaria”. “La firma da parte di Museveni della legge contro l'omosessualità è un grave colpo al diritto alla libertà di espressione e di associazione in Uganda, che invece di essere limitato dovrebbe essere rafforzato”, ha commentato Ashwanee Budoo-Scholtz, vice direttore per l'Africa di Human Rights Watch. “Questa legge viola i diritti umani fondamentali e costituisce un pericoloso precedente per la discriminazione e la persecuzione della comunità LGBTQ+ in Uganda”, ha dichiarato Steven Kabuye, attivista per i diritti umani a Kampala. “Come abbiamo visto in passato, tali leggi possono portare a un aumento della violenza, delle molestie e dell'emarginazione di gruppi già vulnerabili. È importante lottare insieme alla comunità LGBTQ+ in Uganda e in tutto il mondo contro il bigottismo e l'odio”. Lo scorso febbraio, 110 persone LGBTQ+ in Uganda hanno denunciato al gruppo di advocacy Sexual Minorities Uganda (Smug) arresti, violenze sessuali e l’ordine di spogliarsi forzatamente in pubblico. Secondo il gruppo, le persone transgender sono state colpite in modo sproporzionato. Il 17 aprile, un tribunale della città orientale di Jinja ha negato la libertà su cauzione a sei persone che lavoravano per organizzazioni sanitarie, accusate di “far parte di una rete sessuale criminale”. La polizia ugandese ha confermato di aver condotto esami anali forzati sui sei e di averli sottoposti al test dell'HIV. Gli attivisti hanno intenzione di presentare una petizione al tribunale per annullare la legge. Immagine in anteprima: Frame video ABC News [...]

Il round-up settimanale sulla crisi climatica e i dati sui livelli di anidride carbonica nell'atmosfera. Un nuovo rapporto del Programma delle Nazioni Unite per l'Ambiente (UNEP), “Turning off the Tap: How the world can end plastic pollution and create a circular economy” (“Chiudere il rubinetto: come il mondo può porre fine all'inquinamento da plastica e creare un'economia circolare sostenibile”), ha tracciato una tabella di marcia per ridurre drasticamente l'inquinamento da plastica. Secondo il rapporto – che delinea l'entità e la natura dei cambiamenti necessari per creare un'economia circolare sostenibile, rispettosa dell'uomo e dell'ambiente – l'inquinamento da plastica potrebbe essere ridotto dell'80% entro il 2040 se i paesi e le aziende utilizzassero le tecnologie esistenti per apportare cambiamenti significativi alle politiche e al mercato. Plastic pollution could reduce by 80% by 2040 if governments and companies make policy and market shifts using existing technologies.OUT NOW – UNEP’s new report provides a pathway for nations to #BeatPlasticPollution: https://t.co/dcfBkZaOfN pic.twitter.com/iSQ9QSpYC1— UN Environment Programme (@UNEP) May 16, 2023 L’UNEP propone tre tipologie di interventi – riutilizzo, riciclo, riorientamento e diversificazione – che implicano il passaggio a un’economia di tipo circolare. Questo passaggio comporterebbe un risparmio di oltre mille miliardi di dollari, considerando i costi e i ricavi del riciclo. Mentre altri 3mila miliardi di dollari verrebbero risparmiati grazie agli impatti indiretti sulla salute, il clima, l'inquinamento atmosferico, il degrado degli ecosistemi marini e i costi legati alle controversie legali. Inoltre, questo cambiamento potrebbe portare a un aumento netto di 700.000 posti di lavoro entro il 2040, soprattutto nei paesi a basso reddito, migliorando significativamente le condizioni di vita di milioni di lavoratori impegnati in contesti informali. Tuttavia, non c’è molto tempo da perdere, aggiunge il rapporto. Un ritardo di cinque anni potrebbe portare a un aumento di 80 milioni di tonnellate di inquinamento da plastica entro il 2040. “Il modo in cui produciamo, utilizziamo e smaltiamo la plastica inquina gli ecosistemi, crea rischi per la salute umana e destabilizza il clima”, ha commentato il direttore esecutivo dell'UNEP, Inger Andersen. La plastica provoca un inquinamento diffuso sulla terraferma e in mare, causando danni alla salute umana e danneggiando habitat marini vulnerabili come le barriere coralline e le mangrovie. Secondo un rapporto del 2019 dell'organizzazione benefica Tearfund, ogni anno nei paesi in via di sviluppo muoiono tra 400.000 e 1 milione di persone a causa di malattie legate alla plastica e ad altri rifiuti mal gestiti. La produzione di plastica ha anche un forte impatto sul cambiamento climatico, in quanto viene realizzata con combustibili fossili come petrolio e gas. Secondo l'Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (OCSE), durante il loro ciclo di vita, le materie plastiche emettono il 3,4% delle emissioni globali di riscaldamento del pianeta. L'UNEP suggerisce di definire e implementare standard di progettazione e sicurezza per lo smaltimento dei rifiuti plastici non riciclabili e di rendere i produttori responsabili dei prodotti che rilasciano microplastiche. È questa la posizione anche di un recente rapporto, pubblicato congiuntamente dall'organizzazione no-profit Defend Our Health e dalla campagna Beyond Petrochemicals di Bloomberg Philanthropies. Le bottiglie di plastica PET causano un pericoloso inquinamento chimico in ogni fase del loro ciclo di vita e pertanto le aziende produttrici di bevande come la Coca-Cola dovrebbero essere “ritenute responsabili degli impatti della catena di approvvigionamento delle loro materie plastiche”, si legge nel rapporto. “La plastica ha un terribile impatto sulla salute della popolazione”, ha dichiarato Mike Belliveau, direttore esecutivo di Defend Our Health. Belliau ha esortato l'Agenzia statunitense per la Protezione dell'Ambiente (EPA) a porre limiti più severi all'uso di sostanze chimiche tossiche e ha chiesto alle aziende produttrici di bevande di sostituire almeno la metà delle loro bottiglie di plastica con sistemi di contenitori riutilizzabili e ricaricabili entro il 2030. Il rapporto analizza gli impatti delle bottiglie di plastica lungo tutta la catena di approvvigionamento, dalle materie prime necessarie per la loro realizzazione fino al momento del loro smaltimento. Sebbene i gruppi commerciali del settore amino pubblicizzare le bottiglie di plastica come “riciclabili al 100%”, nel 70% vengono mandate in discarica o incenerite, causando un inquinamento atmosferico che colpisce in modo sproporzionato le comunità a basso reddito e quelle di colore, si legge nello studio. Del restante 30%, solo un terzo è trasformato in nuove bottiglie, il resto viene sprecato durante il processo di riciclo o trasformato in prodotti di plastica di qualità inferiore, come la moquette. Inoltre, “con una produzione globale di rifiuti di plastica che potrebbe triplicare entro il 2060, c’è il rischio che le infrastrutture di riciclo non riescano a tenere il passo”. Proprio questa settimana è attesa la prima bozza del trattato delle Nazioni Unite sull'inquinamento da plastica dopo che lo scorso dicembre i diversi paesi avevano concordato di arrivare a un accordo legalmente vincolante entro il 2024. Il presidente francese Macron, che ha definito l’inquinamento da plastica una “bomba a orologeria”, ha esortato gli Stati riuniti in Francia presso la sede dell’Unesco a porre fine all'attuale modello di produzione “globalizzato e insostenibile”. Tuttavia, i negoziatori riuniti a Parigi hanno idee diverse su come eliminare le plastiche che danneggiano l'ambiente. Uno dei nodi maggiori riguarda se l'accordo debba concentrarsi sulla pulizia dei rifiuti di plastica che già intasano gli oceani del mondo o se debba andare oltre, limitando la produzione di componenti potenzialmente dannosi nei prodotti polimerici o addirittura imponendo il divieto di utilizzo della plastica. Gli Stati Uniti, uno dei maggiori produttori e utilizzatori di plastica, finora stanno spingendo per la prima opzione, riporta Bloomberg. Come il podcaster Joe Rogan sta alimentando la disinformazione sul clima su TikTok Un filmato del famoso podcaster Joe Rogan che sostiene una teoria cospirativa che collega il riscaldamento globale al campo magnetico terrestre è diventato virale su TikTok, nonostante la le policy della piattaforma vietino la disinformazione sul clima. È solo l’ultimo caso di come le aziende Big Tech continuino ad alimentare online affermazioni false e fuorvianti sul cambiamento climatico. Il dibattito scientifico sul cambiamento climatico è finito Il sito Media Matters for America ha identificato sette video di TikTok che promuovono la cosiddetta teoria di "Adamo ed Eva", che sostiene, senza alcuna prova, che gli spostamenti dei poli magnetici terrestri abbiano da tempo causato massicce oscillazioni del clima del pianeta e altri eventi catastrofici del passato, tra cui le inondazioni di cui si parla nel racconto biblico dell'Arca di Noè. Crisi climatica e transizione energetica: le nuove tattiche negazioniste smontate una per una In un episodio del 18 gennaio del podcast “The Joe Rogan Experience”, Rogan ha usato questa teoria del complotto per minimizzare la crisi climatica e definisce gli sforzi per affrontarla “un punto morto”. Tratta da un libro scritto nel 1965 da Chan Thomas, che lavorava nell'industria aerospaziale e sosteneva di essere un sensitivo, la teoria di "Adamo ed Eva" sostiene che i poli magnetici della Terra si spostano ogni diverse migliaia di anni. Secondo Thomas, questo spostamento provoca a sua volta eventi catastrofici, come gli tsunami. Thomas ha intitolato il suo libro "La storia di Adamo ed Eva", da cui il nome della teoria. Secondo la ricostruzione di Media Matters, il libro non è stato disponibile al pubblico fino a quando la CIA non ne ha declassificato 57 pagine nel 2013. Da allora, il libro ha alimentato i teorici della cospirazione, alcuni dei quali ritengono che gli attuali eventi meteorologici estremi siano la prova della veridicità delle affermazioni di Thomas e dell'avvicinarsi di uno spostamento del campo magnetico terrestre. Ma queste affermazioni non poggiano su evidenze scientifiche. Infatti, la NASA riferisce che grandi spostamenti dei poli magnetici del pianeta si sono verificati diverse centinaia di volte negli ultimi 160 milioni di anni, ma che i gli studi a disposizione “non mostrano nulla di rilevante, come eventi apocalittici o grandi estinzioni”. Ad aprile, TikTok ha annunciato che stava intensificando l'applicazione delle sue nuove policy che prevedono la rimozione di qualsiasi contenuto sul cambiamento climatico “che mina il consenso scientifico consolidato, come i contenuti che negano l'esistenza del cambiamento climatico o i fattori che vi contribuiscono”. Tuttavia, fino ad alcuni giorni fa, i video non erano stati ancora eliminati. I lavoratori indiani intrappolati in un circolo vizioso di carbone e ondate di calore Finora il 2023 in India è stato meno rovente del 2022, quando le temperature a Nuova Delhi hanno superato i 49°C. Tuttavia, anche questo anno si preannuncia tra i più caldi generando un circolo vizioso che spinge ad aumentare il consumo di elettricità per alleviare le ondate di calore e a catena anche a far crescere la domanda di combustibile proveniente da grandi miniere di carbone. Nonostante “i notevoli progressi nelle energie rinnovabili, l’India, il paese più popoloso del mondo si affida ancora al carbone per circa tre quarti della produzione di energia e ne avrà bisogno per gli anni a venire. Il combustibile è relativamente economico e, cosa fondamentale per un'economia che importa energia, è facilmente disponibile a livello nazionale. E così i lavoratori indiani si ritrovano intrappolati, stritolati nel giogo di carbone e di ondate di calore con tutti i costi per la salute e la produttività economica che derivano dal lavorare in condizioni disumane”, si legge in un articolo di Bloomberg. La combinazione di calore e umidità può rendere alcune parti dell'India tra i luoghi più inabitabili al mondo, prosegue l’articolo. In presenza di umidità elevata, anche temperature relativamente modeste possono compromettere la capacità del corpo di raffreddarsi attraverso la sudorazione. E questo può portare a svenimenti, colpi di calore e attacchi di cuore. “Con l'attuale livello di riscaldamento globale, il caldo sta superando il limite di sopravvivenza”, spiega Fahad Saeed, esperto di Climate Analytics. Il problema è che la domanda di energia elettrica in India sta crescendo e il carbone rimarrà una parte importante del settore energetico indiano nei prossimi decenni. L'Autorità centrale per l'energia elettrica stima che rappresenterà il 54% della produzione nel 2030 e il paese sta ancora costruendo impianti a carbone. “Questo ritarderà il taglio delle emissioni, e questa è una grande preoccupazione, non solo per l'India ma per tutto il mondo", spiega Ronita Bardhan, ingegnere dell'Università di Cambridge. “Non stiamo dicendo che l'India debba smettere completamente di usare il carbone. Ma probabilmente l'abbandono graduale e la comprensione delle opportunità e del potenziale delle energie rinnovabili, la comprensione di dove possono avvenire gli investimenti... necessitano di ulteriori discussioni”. L'anno scorso il governo Modi ha alzato gli obiettivi di energia prodotta da fonti pulite, puntando su incentivi per incrementare la produzione di energia solare o eolica e mira a diventare un hub globale per la produzione di idrogeno e ammoniaca verdi. Ma, al tempo stesso, Delhi si è opposta alle richieste internazionali di fissare scadenze precise per l’eliminazione dell'uso del carbone. Le Nazioni Unite chiedono di proteggere gli attivisti per il clima dopo la repressione in Germania “Gli attivisti per il clima - guidati dalla voce morale dei giovani - hanno continuato a perseguire i loro obiettivi anche nei giorni più bui. Devono essere protetti e abbiamo bisogno di loro ora più che mai”. Dopo la repressione nei confronti di un gruppo di manifestanti in Germania, il portavoce del Segretario generale delle Nazioni Unite, António Guterres, Stephane Dujarric, è intervenuto in un articolo pubblicato dalla Frankfurter Allgemeine Zeitung per chiedere di proteggere gli attivisti climatici e il loro diritto di manifestare, nel rispetto in ogni caso delle legge e della sicurezza. La politica che criminalizza la disobbedienza civile nonviolenta degli attivisti climatici “I manifestanti sono stati determinanti in momenti cruciali per spingere i governi e le imprese a fare molto di più: gli obiettivi climatici globali sarebbero già fuori portata senza di loro”, ha aggiunto Dujarric. Nelle scorse settimane, In un'indagine contro il gruppo Last Generation, che per mesi ha interrotto il traffico cittadino nelle città tedesche, la polizia ha fatto irruzione nelle abitazioni degli attivisti per il clima di Last Generation, ha chiuso il sito web del gruppo e ha congelato due conti bancaria. I membri del gruppo sono stati accusati di aver “formato un'organizzazione criminale” in procinto di pianificare “nuovi azioni criminose”. Due degli imputati sono sospettati di aver sabotato l'oleodotto Trieste-Ingolstadt - considerato un'infrastruttura critica e quindi soggetto a una protezione speciale - nell'aprile dello scorso anno. Non sono stati effettuati arresti. Molti commentatori e altri ambientalisti hanno condannato la repressione come una risposta sproporzionata dello Stato a una protesta pacifica. Lotta alla crisi climatica: disobbedienza civile ultima via? Per tutto il 2022, Last Generation ha interrotto il traffico in tutta la Germania come forma di protesta contro le politiche climatiche del Governo. Molti politici conservatori hanno criticato le proteste e chiesto dure punizioni. Anche il cancelliere Olaf Scholz aveva definito le azioni di protesta “completamente folli”. Immagine in anteprima: frame video Oceana via YouTube [...]

“A nome dell’International Board, mi scuso profondamente per l’angoscia e la rabbia causate dal comunicato stampa del 4 agosto 2022”. Così scrive Anjhula Mya Singh Bais, presidente del Board Internazionale di Amnesty International, in un comunicato pubblicato lo scorso 17 maggio dal titolo Principali conclusioni e lezioni apprese in relazione al comunicato stampa del 4 agosto 2022 sull’Ucraina. Il riferimento al 4 agosto è naturalmente al comunicato in cui Amnesty International accusava le forze armate ucraine di mettere a repentaglio i civili. Quel testo aveva attirato da subito numerose critiche, anche da parte di membri della stessa organizzazione (con le dimissioni, tra gli altri, della direttrice di Amnesty International Ucraina). Ne è seguita la decisione di affidare a un’indagine indipendente il compito di esaminare l’analisi giuridica alla base del comunicato del 4 agosto e le prove raccolte. Il comunicato di Amnesty International che accusa l’Ucraina di mettere in pericolo i civili e le critiche emerse anche dall’interno della stessa organizzazione L’indagine ha accertato che le conclusioni chiave di Amnesty International non erano “suffragate a sufficienza dalle prove raccolte”. Sono stati evidenziati anche errori riguardanti il mancato confronto con le autorità ucraine circa l’effettiva possibilità di mettere al sicuro i civili nei contesti presi in esame, e il linguaggio “ambiguo, impreciso e per certi versi legalmente discutibile” usato nel comunicato. Come rivelato dal New York Times lo scorso aprile, inizialmente le conclusioni dell’indagine contenevano un giudizio molto più severo (“non suffragate” invece di “non suffragate a sufficienza”), tuttavia la stessa ONG avrebbe esercitato pressioni per far ammorbidire il giudizio. Il rapporto, consegnato a febbraio, inizialmente è stato destinato alla formazione interna, ma dopo l'uscita dell’articolo del New York Times è stato pubblicato sul sito di Amnesty International. Ora, a distanza di poche settimane da quella pubblicazione, sono dunque arrivate le scuse ufficiali, che accompagnano il Rapporto organizzativo sull’Ucraina. Quest’ultimo, oltre a confermare i rilievi dell'inchiesta indipendente si è occupato in particolare di come siano stati rispettati o meno i principi dell’organizzazione (imparzialità, indipendenza, accuratezza, rispetto reciproco e inclusione) e della gestione degli aspetti comunicativi, sia interni che esterni. Per quanto riguarda l’imparzialità, è ribadito il dovere, in un contesto di conflitto, di indagare sulle eventuali violazioni commesse da tutti gli attori coinvolti. Ciò “anche quando potrebbe avere conseguenze negative per Amnesty o quando potrebbe non essere strategicamente utile per ottenere cambiamenti” nel paese oggetto di indagine. Allo stesso tempo, il rapporto riconosce la necessità di “assicurare che le violazioni dei diritti umani commesse dalle parti coinvolte in un conflitto siano contestualizzate”, e quindi di evitare, per esempio, di fornire uguale spazio o evidenza a due parti quando una delle due commette un numero considerevolmente maggiori di violazioni. Nelle ricerche e nella stesura del comunicato del 4 agosto 2022, inoltre, secondo il rapporto organizzativo è stato rispettato il principio di indipendenza di AI. Non sono state ravvisate pressioni esterne o interne, anche se, si legge, “c’è stato uno squilibrio di influenze interne nella struttura di potere” dell’organizzazione. Sul versante dell’accuratezza, si legge: Date le questioni interne sollevate durante il processo di revisione del comunicato stampa e dopo la pubblicazione, è chiaro che una discussione più completa e dettagliata delle prove e dei risultati avrebbe dovuto essere inclusa nel comunicato stesso. Ci sono poi degli aspetti legati al linguaggio usato, come già rilevato dall’inchiesta indipendente. L’aver parlato di uno schema ricorrente (“pattern” in inglese), ha agevolato l’impressione di una sistematicità nell’operato delle forze armate ucraine, ma la scelta linguistica avrebbe dovuto essere in accordo con la rappresentatività del campione esaminato e la possibilità di rendere maggiormente conto delle prove raccolte. Una delle lezioni apprese, in tal senso, riguarda anche il formato scelto, ossia l’essersi affidati a un comunicato stampa invece che a un rapporto vero e proprio o a un documento informativo. “L'uso accurato del linguaggio e l'utilizzo di un linguaggio tecnico e giuridico devono rimanere fondamentali per la stesura e la revisione di tali documenti”. La brevità e il tono più incisivo di un comunicato stampa, per esempio, o l’assenza di informazioni dettagliate sul diritto internazionale umanitario e sui diritti umani, sono fattori che incidono complessivamente sull’accuratezza. Per quanto riguarda il rispetto reciproco e l’inclusione, sotto i riflettori è naturalmente il rapporto con Amnesty International Ucraina. C’è stata una generale percezione di mancato rispetto che non è stata affrontata in modo opportuno. Ciò a partire dalla decisione di consultare lo staff ucraino solo dopo il 22 luglio, poco prima della pubblicazione, e non durante la fase di preparazione del comunicato: Tenere Amnesty Ucraina a distanza dal comunicato stampa è stato considerato un modo per proteggerla dalle reazioni negative, poiché sarebbe stata in grado di negare il coinvolgimento nella produzione del comunicato stampa. C'era la consapevolezza che questo comunicato stampa sarebbe stato controverso e la mancata ricerca preventiva del punto di vista e della comprensione del contesto da parte di Amnesty Ucraina (comprensivo della diaspora ucraina) è stata una considerevole occasione persa, che ha comportato il sentirsi esclusi e non rispettati. La lezione indicata, al riguardo, è di coinvolgere maggiormente nel processo consultivo “il personale del team e dei gruppi più direttamente interessati” quando può essere fatto in modo sicuro. Questo, si legge ancora nel rapporto, non deve ovviamente influire sulle prove e la loro analisi, “ma potrebbe influenzare l’inquadramento, la tempistica e il lavoro preparatorio che precede la pubblicazione”. Si evidenzia poi la necessità di individuare “un meccanismo chiaro e accessibile per il personale interessato che abbia dei dubbi da sollevare” su un contenuto in via di pubblicazione. Altri aspetti evidenziati riguardano la gestione della fase di comunicazione. A partire da come non è stato opportunamente garantito il diritto di replica alle autorità ucraine, fatto già evidenziato dall’indagine indipendente. Ma la stessa crisi comunicativa, interna ed esterna, che è seguito la pubblicazione del comunicato, è stata prodotta da una mancata valutazione circa i rischi e le strategie di diffusione. Così Amnesty International si è trovata esposta senza saper reagire con efficacia non solo alle reazioni negative, ma anche a informazioni false che sono circolate sui metodi di ricerca (ad esempio di essersi basati sulle dichiarazioni di persone sotto custodia delle forze di occupazione). Nel complesso, il coinvolgimento di tutte le parti interessate dai processi decisionali è stato insufficiente, mentre nelle raccomandazioni, tra i vari consigli, si suggerisce di tenere maggiormente conto del team comunicazione. Il riferimento è anche all’infelice tweet della Segretaria Internazionale Agnes Callamard, che commentando le polemiche parlò di “orde di troll”, lasciando intendere che il tutto fosse opera di attacchi coordinati. Un altro aspetto chiave evidenziato nella parte finale riguarda la sicurezza e il benessere dello staff. “In futuro” si legge, “Amnesty deve garantire che tutto il personale sia supportato in modo proattivo e adeguato quando si trova ad affrontare pressioni e tensioni”. Al netto di tutto, la lezione che sintetizza l’intera vicenda e le varie analisi richieste per processarla è contenuta in una semplice frase: “In futuro le cose dovranno essere fatte diversamente”. Immagine in anteprima via Flickr.com [...]
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